Qualche giorno fa discutevo, qui su FB, con l'amico Massimo Takai Celentano, dell'entusiasmo con cui alcuni appassionati di yoga, giovani dal punto di vista della pratica, abbracciano una particolare interpretazione dello Yoga Sutra senza tener conto delle spiegazioni di Vyasa, Shankara o Vachaspati, e, convinti di aver finalmente compreso ciò per cui altri, per secoli magari, si sono inutilmente o quasi, scervellati, si propongono di diffondere la propria vera o presunta conoscenza, a tutti, magari anche a chi non è assolutamente interessato a ricevere tale dono.
In realtà guardo con simpatia a questi eccessi, perchè credo che siano mossi da ingenuità e generosità, e forse chissà, perchè in passato anch'io ho rischiato di essere colpito dalla sindrome del profeta. Comunque sia mi permetto di dare dei consigli, anche se non richiesti, a tutti coloro che intendano muoversi da inesperti, nel periglioso mondo dell'interpretazione del Sutra.
Punto primo:
Studiatevi il commento di Vyasa. Fino agli inizi del XX secolo Yoga Sutra e commentario erano considerati un solo libro probabilmente di un unico autore. Senza il commento molti sutra sono incomprensibili.
Punto secondo:
Studiatevi e confrontate traduzioni diverse - quelle di Vivekananda, Taimni, Sacchidananda, Ballantyne... sono tutte accessibili gratis sul web - perchè i diversi punti di vista possono contribuire a chiarire alcuni brani particolarmente oscuri.
Punto terzo:
studiatevi un pochino le regole del sandhi e procuratevi un buon vocabolario di sanscrito.
Non è necessario sapere il sanscrito per praticare yoga, ma se ci si vuole cimentare con lo Yoga Sutra al fine di divulgarlo forse è meglio studiare un minimo il sanscrito classico e chiedere aiuto a qualche sanscritista autentico.
Per dare un'idea del modo in cuisi dovrebbe affrontare il Sutra , secondo la mia opinabile opinione ovviamente, faccio un esempio di interpretazione, Y.S.4.25:
विशेषदर्शिन आत्मभावभावनाविनिवृत्तिः ॥४.२५॥
Prima di tutto, credo sia meglio traslitterare in caratteri latini:
viśeṣadarśina ātmabhāvabhāvanāvinivṛttiḥ
Poi si scioglie il Sandhi (in questo caso è assai facile):
viśeṣa-darśina(ḥ) ātma-bhāva-bhāvanā-vinivṛttiḥ
Quindi si esaminano le singole parole a livello grammaticale (se scrivo cose non correttissime vi prego di scusarmi: sono un sanscritista dilettante):
viśeṣa (bahuvrīhi, un composto che ha un significato diverso dal significato delle sue singole parti), radice verbale "śis" (lasciare); con la particella "vi" assume il significato di "differenza", "distinzione";
darśinaḥ (nominativo singolare), radice verbale "dr̥ś" ("avere l'intuizione di", guardare", "vedere"); significato "visione";
ātma (Tatpuruṣa, significa che si tratta di una parola composta in cui il secondo membro assume maggior rilievo), radici verbali "an" (respirare) e "at" (mossa, muoversi); significato "Sè", "proprio sè" , "io come essere vivente" ecc.
bhāva (sostantivo maschile derivante da bhāvayanti=pervadere infondere), radice verbale "bhū" (sorgere, esserci); significato "origine", "nascita".
bhāvanā (sostantivo femminile) che può significare "sforzo", "attività". In filosofia "la particolare attività di un agente che contribuisce alla produzione di ciò che deve venire in essere" o più semplicemente "idea".
nivr̥ttiḥ (nominativo singolare/sostantivo femmminile), prefisso "ni" ("dentro", "indietro"), radice verbale "vr̥t"("girare", "voltare", "rotolare"); significato "scomparsa", "fine", "cessazione", "rimozione".
In sostanza abbiamo: "distinzione/differenza", "visione", "Sé/essere vivente/anima","origine/nascita", "nascere/insorgere", "attività/sforzo", "rimozione/cessazione".
Traduzione plausibile:
25. Per chi conosce/ha la visione (darśinaḥ) della differenza/distinzione (viśeṣa) [si riferisce alla differenza tra la mente e/o il sattva e il Puruṣa descritta nei versetti precedenti] c'è la cessazione (vinivṛttiḥ) della pratica/sforzo/azione "di riflettere" (bhāvanā) sulla natura (bhāva) della propria esistenza- del proprio Sé (ātma).
Ecco, secondo me, a parte le mie possibili imprecisioni, quando si sente il desiderio di diffondere urbe et orbi la nostra personale interpretazione dello Yoga Sutra si dovrebbe cominciare a lavorare in questa maniera, oltre ovviamente a studiare i commentari di Vyasa, Shankara e Vachaspati Misra e a confrontare le varie traduzioni fatte dai maestri del XIX e XX secolo.
Così facendo si limiterebbe, sempre secondo me, la possibilità di fare figure barbine e di suscitare l'ironia o i silenzi imbarazzati da parte di coloro che magari studiano Yoga Sutra da 30 o 40 anni.
Ripeto che si tratta di una mia opinabile opinione, e ribadisco che coloro che, dopo un qualche episodio da loro ritenuto eccezionale - e dopo pochi anni di pratica in genere - sentono il desiderio di pratire lancia in resta per l'alfabetizzazione del mondo dei praticanti mi fanno simpatia.
Ma prego i nuovi giovani profeti di fare attenzione a non prendersi troppo sul serio, perchè una cosa sono le chiacchiere da web, un'altra è la conoscenza reale, quella fatta di gesti e simboli che, se attivati, trasformano la mente e l'esistenza del praticante.
L'illusione della conoscenza è più pericolosa dell'ignoranza.
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