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LO YOGA, LA MALATTIA E L'AMORE DI PRAKRITI E PURUSHA

 


La mia amica Tatiana Rossi, commentando un post su swami Veda Bharati, chiedeva il motivo per cui persone, tra virgolette, "spiritualmente evolute" come Swami Veda, Swami Rama [e aggiungo io] Ramakrishna, Swami Vivekananda o Ramana Maharishi muoiono relativamente giovani, spesso dopo lunghe e penose malattie.
La domanda, assai frequente in ambito yogico, presuppone:
1) La possibilità, da parte di uno yogi, di controllare completamente il corpo fisico mediante la mente (o la "supermente");
2) L'idea che il dolore e la malattia siano un qualcosa di non naturale, un qualcosa che può essere eliminato dall'esistenza umana grazie ad una corretta pratica yogica.

In realtà queste due ipotesi sono appunto ipotesi che, se si studiano la storia dello yoga e le biografie dei maestri, si rivelano tutto meno che attendibili.

La prima cosa da fare, per cercare di rispondere alla domanda, è discriminare tra un certo tipo di pratica che si può definire tantrica finalizzata - vedi Goraksha samhita - "alla longevità, alla salute, alla bellezza del corpo fisico e alla potenza sessuale"; ed una pratica che si può definire "filosofico/spirituale" finalizzata alla separazione tra corpo fisico e Anima o Spirito.

Esponenti, moderni, della prima scuola sono Maharishi Kartikeya vissuto ben più di un secolo, il suo allievo Dhirendra Brahmachari, maestro a sua volta di Yogi bhajan e Swami Buaji morto a 120 anni poco tempo fa; e potremmo aggiungerci anche Krishnamacharya, morto a 103 anni arrabbiato, pare, per aver vissuto "così poco".

Esponenti della seconda scuola sono Vivekananda, morto credo a causa di un ictus a poco più di 30 anni, Yogananda, morto d'infarto poco più che cinquantenne e appunto swami Rama e swami Veda.

Il primo tipo di Yoga, con tutte le differenze e le sfumature del caso, prende le mosse da una filosofia "nAstika", a-teistica, che non crede all'autorità dei Veda nè alla soppravvivenza del principio di individualità dopo la morte [o meglio alla domanda "esiste qualcosa dopo la morte?" credo che un "nastika" risponderebbe "non è dato di sapere"]; per cui mette l'accento sulle pratiche di purificazione - kriyA - sulla dieta equilibrata - mai avere lo stomaco troppo pieno o troppo vuoto - su una sana vita sessuale - e su una serie di pratiche fisiche ed energetiche che potremmo definire Hathayoga.

Il secondo tipo di yoga deriva da filosofie "Astika", che credono nell'origine divina dei Veda e sulla sopravvivenza del principio di individualità dopo la morte.

La salute del corpo per gli yogi del secondo tipo non è una priorità, e alcuni, in accordo con le credenze del pensiero positivo occidentale, pensano che tutto ciò che riguarda la materia, compresa la malattia, sia un illusione creata dalla mente.

Quindi quando ci si stupisce del fatto, ad esempio, che un maestro famoso sia morto poco più che 50enne tra sofferenze immani, si fa confusione tra tra due scuole, direi due yoga, completamente diverse per basi filosofiche e finalità.

Bisogna tuttavia fare delle considerazioni basate sul semplice buon senso: quando si parla di yogin che vivono in salute per 100 e più anni, occorre anche tener conto del DNA: se Krishnamacharya, che aveva una salute di ferro, a 100 anni praticava ancora Hathayoga ed è stato sorpreso dalla morte a 103 anni ancora in perfetta salute, la vita di altri come paramhamsa Ramakrishna, è stata caratterizzata da condizioni fisiche precarie, peggiorate dal fumo e da cattive abitudini alimentari.

In ultimo vorrei far notare che lo Yoga prende le mosse dal Sāṃkhya, forse la più antica filosofia indiana, che vede la manifestazione come la storia d'amore tra Puruṣa inteso come "Coscienza" e Prakṛti intesa come "Natura";

La Natura, caratterizzata dalla continua trasformazione - il susseguirsi delle diverse forme dette dharma create con la medesima sostanza - causata dai Guṇa, non ha altro scopo se non farsi ammirare dalla "Coscienza";

La Coscienza, caratterizzata dall'assenza di trasformazioni dovute a Tempo, Spazio e condizione, non ha altro scopo se non quello di ammirare lo spettacolo della Natura.

Quando la Coscienza e la Natura sono "puri", esiste un equilibrio perfetto tra "veggente" e "spettacolo", che per Yoga Sutra 4, ad esempio, coincide con la realizzazione.

Ma lo spettacolo è caratterizzato dalla trasformazione della Natura e di questa natura fanno parte gli organi di senso, la mente e ovviamente il corpo fisico.

La malattia e la morte, per lo yoga derivante dal Sāṃkhya, fanno parte dello spettacolo.
Tutto qui.

Il credere che una persona "evoluta spiritualmente" non soffra di malattie dolorose e possa vivere in eterno o quasi, è frutto di una serie di equivoci. Alcuni ad esempio, che a mio parere hanno mal compreso lo Yoga Sutra, non comprendono che secondo Patañjali la mente fa parte del corpo fisico, della natura, e non è altro che una forma (Dharma) del sostrato (Dharmī) rappresentato da Prakṛti.

l'identificazione della "coscienza" (Puruṣa) con la mente è la causa prima della sofferenza umana perchè porta a scambiare "IL PURO PER L'IMPURO, L'ATMAN PER L'ANATMAN, L'ETERNO PER L'IMPERMANENTE". Solo quando si discrimina la coscienza dagli stati luminosi della mente (sattva) si può realizzare la conoscenza intuitiva (Taraka) e la conseguenza discriminazione tra spettacolo e spettatore, tra Natura e Coscienza.

L'unica cosa permanente della natura, Tatiana, è la trasformazione, e la trasformazione segue le leggi della natura. credere di poter intervenire sulla natura con la mente - è come cercare di tagliare l'acqua con l'acqua o rinchiudere l'aria in mura di aria.

Un sorriso,
P.

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