Nel Canone Pāli - precisamente in Udana
6.4, Titta Sutta - Buddha racconta la parabola dei “ciechi e dell’elefante”.
Si tratta di una storia che ha decine di versioni diverse, ma l’originale
dovrebbe essere questa[1]:
Una volta, a Savatthi, il re che chiese ad un servitore di riunire
tutti i ciechi dalla nascita e di far toccar loro parti diverse di un elefante
dicendo «questo è un elefante».
Il servitore riunì tutti i ciechi di Savatthi e ad alcuni fece toccare
la testa dell’elefante, ad altri la proboscide, ad altri ancora la coda e così
via, dicendo «questo è un elefante».
Allora il re andò
dalle persone cieche e disse loro : «Ora che avete visto l’elefante ditemi a
cosa somiglia».
I ciechi che avevano toccato la testa dell’elefante dissero che
somigliava ad una brocca d’acqua; quelli che avevano toccato la zanna dissero
che somigliava ad una lancia, quelli che avevano toccato la zampa dissero che
somigliava ad una colonna e così via.
Dopo un po’ gridando «L’elefante è così, non è così…» i
ciechi cominciarono a litigare e a prendersi a pugni. Ciò rendeva felice il re.
Come molte
delle storie narrate dal Buddha la parabola dei ciechi e dell’elefante si
presta a molte diverse interpretazioni. Di certo l’elefante è il dharma
(dhamma), e i ciechi sono i filosofi, i brahmani e gli asceti che,
pur avendo solo una visione parziale, relativa della realtà difendono le
proprie credenze e attaccano quelle altrui gridando «Il
dhamma è così, non è così…».
La verità fondamentalmente è sempre
soggettiva, perché dipende dalla nostra percezione, dal nostro punto di vista e
dalla nostra capacità di comprensione; difendere le proprie opinioni come se fossero
veramente importanti è impresa inutile oltre che sciocca, e ancora più sciocco
è attaccare qualcuno che ha punti di vista diversi dal nostro, perché, nella
maggior parte dei casi, sarà convinto di essere nel giusto, anzi sarà nel
giusto: il cieco che tocca la zanna dell’elefante non mente quando afferma la
somiglianza tra l’elefante ed una lancia ed il suo dire non è errato, è solo “relativo”.
La morale della storiella - che viene svelata
dal Buddha stesso nei versi successivi (Udana 6.4, 6.5, 6.6, Tittha Sutra) - è
assai chiara, ma c’è un dettaglio che non comprendo: perché la lite tra
ciechi/brahmani rende felice il re?
E cosa potrebbe mai rappresenta questo
sovrano che gode dell’ignoranza di
brahmani e filosofi?
Un sorriso,
P.
Commenti
Posta un commento