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Nessun Guru, Nessun Maestro, Solo Amore. Riflessione sulle Maschere



Ma quanto ci prendiamo sul serio noi insegnanti di Yoga?
Basta fare un giro sui social per trovare discussioni accesissime sui massimi sistemi, con difese a spada tratta di questa o quella scuola, di questo o quell'insegnamento, sul rispetto o meno degli insegnamenti dei Veda che la maggior parte di noi  non ha mai letto neppure in forma di Bignami.

Bastano un corso di 250 ore, una vacanza di un mese in un ashram indiano o un seminario con un monaco buddhista per sentirci autorizzati a spargere ovunque il verbo della vera ricerca del Sé, della legge eterna del Dharma o della giusta via per uscire dalla catena delle rinascite. 

Siamo diventati tutti grandi filosofi e grandi iniziati e, se qualcuno mette in discussione le nostre "competenze" ci irritiamo e, indossando il sorrisino buddhico di circostanza, cerchiamo la maniera migliore per distruggere l'interlocutore tacciandolo, più o meno velatamente, di "orgoglio spirituale", "egotismo" o "ignoranza metafisica".

Non che negli altri campi di quelle che oggi definiamo "discipline olistiche" vada molto meglio: 
Il Web è pieno di pubblicità di corsi di Meditazione, Mindfulness o Analisi dell'Enneagramma che promettono di farci realizzare il vero Sé, e di superare, magari con un corso online, "l'innata ansia di incompiutezza dell'Essere Umano". 

Secondo il buon senso comune, se si insegna una disciplina la si dovrebbe padroneggiare, dovremmo cioè avere la "maestria" in quello specifico campo: Cimabue insegna a Giotto l'arte della pittura perchè è un "maestro pittore", giusto?

Quindi se ci sono mille corsi che promettono la realizzazione del Sé  di regola dovrebbero esserci mille realizzati che conducono questi corsi, un affollamento che renderebbe più facile, al giorno d'oggi, trovare sulle pagine gialle un maestro spirituale che un idraulico.

Il mio sospetto - e lo dico con intento dichiaratamente provocatorio - è che la maggior parte dei maestri e degli insegnati di yoga&derivati dei nostri tempi non sia un reale conoscitore delle "Leggi Universali", ma stia semplicemente interpretando un ruolo.

Ricordo un film di qualche anno fa sulla Tatcher.
Meryl Streep, che interpretava la "lady di ferro" dice ad un certo punto: 

Mi pare che oggi ci sia un sacco di gente che vuole essere qualcuno. Ai miei tempi si pensava a fare qualcosa.


Secondo me si tratta di una grande verità. 
Ai nostri giorni lo scopo principale della vita non è più il viverla - la vita - cercando di superare gli ostacoli e di godere degli attimi di bellezza e felicità che ci concede, ma cercare di "essere qualcuno", un personaggio riconosciuto universalmente o, almeno, all'interno di un gruppo,  una comunità o una rete sociale; e la via più semplice anche se pare strano a dirlo, è quella del maestro spirituale o dell'istruttore di meditazione.

Pensateci un attimo: un musicista per essere apprezzato deve continuamente perfezionare la sua tecnica e se sbaglia una nota se ne accorgono tutti; un falegname deve perfezionare la sua tecnica e se sbaglia le misure di un mobile non lo pagano; un centravanti deve fare gol, se non li fa lo cacciano dalla squadra; ma la ricerca del Sé è così vaga e soggettiva a livello di modalità operative e di finalità che chiunque sia dotato di carisma e capacità di affabulazione può cimentarsi nel ruolo.

Noi insegnanti di yoga scriviamo libri, facciamo conferenze, teniamo corsi ufficialmente per testimoniare e condividere le nostre esperienze e le nostre vere o presunte realizzazioni, ma sotto sotto, in molti casi, c'è il desiderio che venga riconosciuta la nostra "non ordinarietà".

Ci si appropria di tecniche, idee, teorie elaborate da altri o, a volte, ne inventiamo di nuove, per poi  difenderle a spada tratta come se fosse questione di vita o di morte,e  ci amareggiamo quando il nostro dire e il nostro fare, che riteniamo evidentemente degni di plauso e sorrisi di approvazione,  è soggetto a critica o, peggio ancora, passa inosservato.

La maggior parte di noi è in buona fede: crediamo veramente di fare il bene degli altri e questo dipende dal fatto che il desiderio di essere qualcuno  è entrato così profondamente nell'immaginario collettivo ed è stato così impregnato di valori positivi, da sovrapporsi alla cosiddetta "ricerca del Sé" senza che neppure ce ne rendiamo conto.

A questo irrefrenabile desiderio di essere qualcuno si aggiunge un altro fattore: la mancanza di una visione di insieme.
Ricordo mio padre, ex poliziotto decorato per la lotta alla ndrangheta, che vedendo me i miei amici discutere  di Dharma e karma seduti per terra in salotto, diceva che eravamo dei citrulli vestiti in pigiama che non avevano voglia di lavorare.

All'epoca lo guardavo con sufficienza, ma adesso so che dal suo punto di vista aveva ragione. 
Noi insegnanti di Yoga stiamo spesso tra di noi, usiamo un gergo poco comprensibile agli altri e ci prendiamo così sul serio da non rendersi conto di quanto, chi è estraneo al nostro ambiente, possa giudicare ridicole e inutili certe nostre affermazioni e certe nostre pratiche.

Cosa  sarebbe successo se io avessi cercato di convincere dell'importanza di controllare le vṛtti, della mente/citta mio padre, reduce da un mese di notti insonni sull'Aspromonte alla caccia di qualche pericoloso ricercato? 
Forse mi avrebbe guardato come un oggetto misterioso o, più probabilmente, mi avrebbe mandato a cagare.

Se sviluppassimo la visione d'insieme impareremmo a non prenderci troppo sul serio e a goderci la vita per quello che è, ma si tratta di un'impresa ardua. 

Visto che abbiamo in genere, il desiderio sotterraneo di un qualche riconoscimento, possibilmente planetario, si passa più tempo a difendere opinioni nostre o altrui che a vivere la vita.

Ci impegnamo di più a lottare contro chi sembra minacciare la nostra autostima che a godere della natura e del vario combinarsi di energie, colori ed emozioni; e questo vale per tutti, non solo gli yogin e i meditanti:
Vogliamo sentirci bravi, indispensabili, autorevoli e non riusciamo a vedere che si tratta di un ostacolo, perché ci hanno insegnato che lo scopo della vita è essere qualcuno.

Credere di "essere qualcuno", voler affermare a tutti costi la propria individualità, lottare per accrescere l'autostima, serve a pensare di essere unici, mentre ciò che è unico, invece, è questa vita, qui ed ora.

La vita umana è un'occasione, ed è maledettamente bella, come la Dea, «con i capelli neri come l'ala del corvo, e le labbra morbide come il frutto del gelso».

Ogni volta che in nome di una qualche ideologia o filosofia ci si allontana dalla vita o si cerca di cambiarla, si va sul sentiero della magia, intesa come tentativo di modificare la realtà.
Lo Yoga non è magia.
La magia vuole mutare la realtà, lo Yoga vuole penetrarla, con dolcezza.
Prima bisogna riconoscerla, poi spogliarla dei veli dell'illusione, e infine ci si può unire a Lei, nella danza senza fine della Vita.

Si cerca di "fare magia", e nel momento in cui la vita non risponde alle nostre aspettative, ai nostri progetti, ci arrabbiamo, ci deprimiamo, ci sentiamo abbandonati.

In fondo siamo solo dei maghi frustrati e un po' idioti, così impegnati nella ricerca della considerazione altrui da non vedere i tesori che ci passano vicino.
Basterebbe allungare la mano per essere felici, ma non ne siamo capaci.
Preferiamo vivere nel desiderio di essere qualcuno e nella nascosta paura della morte, nostra e delle persone che amiamo. 
Morte non vista come un passaggio di stato, ma come la fine della nostra individualità, delle nostre possibilità di successo e di affermazione.

Ecco un altro punto importante: se, con tutto il nostro interessarci a vite precedenti ed esistenze oltre la morte prendessimo coscienza della nostra temporaneità su questa terra forse riusciremmo ad essere meno seri e pesanti;

Forse riusciremmo a comprendere che quelli dello yogi, del maestro spirituale o del filosofo non sono altro che ruoli, né migliori' né peggiori di quello del poliziotto, del dirigente d'azienda, del calciatore o del macellaio: sono solo maschere che l'Essere - la Vita? - indossa in quel teatrino della memoria che è la nostra esistenzza terrena.

Se comprendessimo questo non prenderemmo mai sul serio le nostre opinioni, non ci attacheremmo ai nostri ruoli, o o meglio alle nostre maschere, e tantomeno riusciremmo a difendere con le unghie e con i denti il nostro onore, la nostra professionalità, la nostra dignità, la nostra visione del mondo, il nostro vissuto....sono solo gli oggetti di scena che la maschera utilizza per rendere godibile il suo gioco teatrale, oggetti che perderanno completamente la loro importanza quando calerà il sipario del teatrino della memoria.

Non esistono maestri. Non esistono guru. C'è solo Amore, Amore per la Vita; una vita che va vissuta pienamente, fino all'ultimo respiro, consapevoli del fatto che si tratta solo di un gioco teatrale.

Il corpo è il palcoscenico.
I sensi sono gli spettatori.
Śiva è il danzatore

Ryu no Kokyu






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