Si parla spesso, nel nostro ambiente, di "consapevolezza" (awareness) e sembra di capire che ci vuole un percorso di pratica e di studio per ottenerla.
A chi non si occupa di Yoga ecc. la cosa parrà strano, perchè letteralmente la consapevolezza è la "conoscenza degli stimoli percettivi e della risposta che diamo a tali stimoli", per cui, sempre letteralmente, solo chi è incosciente dovrebbe essere completamente inconsapevole., per cui ad occhio, la consapevolezza di cui si parla nel nostro ambiente deve essere una cosa diversa.
A volte, nei corsi di Yoga e meditazione, si insegna ad essere "consapevoli" del respiro, dei propri passi, o dell'origine dei nostri pensieri o della fonte delle nostre emozioni, ma sarà quello che intendevano - con parole diverse che noi rendiamo con consapevolezza - Buddha, Lao tzu o Shankara?
Probabilmente, soprattutto il Buddha, questi antichi meditanti parlavano di "consapevolezza della vacuità" un qualcosa che non ha molto a che vedere con la consapevolezza dei propri movimenti o dei propri pensieri.
Provo a riassumere quello che creedo di aver capito dai miei maestri. Il ricercare la consapevolezza dei propri minimi movimenti o dei meccanismi della propria mente non credo sia consapevolezza della vacuità, perchè, ad occhio, non è una cosa naturale:
Come potrebbe l'onda del mare avere la consapevolezzaa di essere acqua?
E il millepiedi? Se mettesse per un istante la coscienza in una zingola zampa le altre 999 intralcerebbero il suo cammino, e di certo, se inistesse, finirebbe per morire d'inedia.
Cosa è allora la consapevolezza della vacuità di cui parla Buddha?
Sicuramente è una condizione o meglio uno stato coscienziale dell'essere umano raggiungibile con la meditazione.
Milarepa ad esempio, parla dello stagno di Śamatha (samatha in pali), uno stato che precede "il fiore di Vipassana" ed che può essere tanto piacevole o tanto spiacevole da rappresentare, talvolta un ostacolo alla realizzazione.
Samatha sarebbe una condizione in cui si acquisisce la coscienza che "ciò che è realizzato è il tutto, ma che c'è qualcosa che comprende questo tutto"
Non so se questa definizione si avvicina alla Consapevolezza della Vacuità, e probabilmente non ha molta importanza.
Più interessante sarebbe, secondo me, il parlare delle esperienze personali dei meditanti.
Diciamo che qualcuno meditando può fare l'esperienza del "bindu" di un qualcosa legato alla consapevolezza di un prima e alla consapevolezza di un dopo
Lo stupore della reintegrazione e la compresenza della consapevolezza interiore del puntino e della consapevolezza della realtà empirico rappresentano il dopo.
Il meditante fa quindi l'esperienza del "prima" (identificazione con il bindu), del "durante" 8che è un qualcosa di inesprimibile a parole, e del dopo (reintegrazione nella realtà empirica).
Si può testimoniare solo il PRIMA ed il DOPO non potendo assolutamente conservare il ricordo di ciò che è senza tempo e senza spazio.
Sarà questa la Consapevolezza della vacuità?
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