Traduzione e commento della Gorakṣa Saṃhitā(Pūrva Śatakam)"; https://www.amazon.it/dp/B09X4M335Z
Si tratta di un "tomo" di 375 pagine, frutto di un lavoro di ricerca durato un anno e mezzo, svolto in collaborazione con il "Gruppo Haṭhayoga" di Yoga Citra Padova, con la prima traduzione in lingua italiana del Pūrva Śatakam della Gorakṣa Saṃhitā, il primo manuale di Haṭhayoga scritto da Gorakhnāth nel X secolo d.C.
Da oggi , 4 aprile 2022, è disponibile su Amazon e nelle librerie "Giunti al Punto" in formato Ebook, Copertina flessibile e copertina rigida. Ecco un anticipazione del libro, il capitolo dedicato alla "Meditazione sull’Oṃkāra".
Meditazione sull’Oṃkāra
Nei versetti 1.82-88 viene descritta la meditazione sulla sillaba sacra Oṁ [1], che, si legge, va praticata
in padmāsana, con lo sguardo fisso
sulla punta del naso (1.82):
Dopo aver assunto padmāsana in un luogo solitario, mantenendo
il collo e la testa dritti e lo sguardo sulla punta del naso, [lo yogi] dovrebbe
recitare l’eterno oṃkāra, la sillaba sacra.
La meditazione sull’Oṁ descritta nella Gorakṣa Saṃhitā non è una semplice recitazione, ma una pratica complessa
che interessa tutte le modalità espressive dell’essere umano, ovvero “corpo, parola
e mente”[2];
la sillaba sacra - scrive Gorakṣa – “va conquistata con la voce”, “praticata con il corpo” e
“ricordata con la mente” (1.87)[3]:
Oṁ, è la luce suprema. Questo bīja va
conquistato con la voce, praticato con il corpo e ricordato costantemente con il
manas
Nei versetti 1.83-86 le tre mātrā dell’Oṁ, ovvero a (अ), u (उ) e m (म्), seguendo uno schema tipico della
speculazione filosofica delle upaniṣad ortodosse[4], vengono associate ad una serie
di divinità, energie e principi della manifestazione che in genere, come vedremo,
corrispondono a organi fisici e processi fisiologici. In 1.83 ad esempio si afferma
che le tre misure (mātrā) contengono i tre mondi,
bhūrloka, bhuvarloka
e svarloka e «somasūryāgnidevatā, le divinità della
Luna, del Sole e del Fuoco».
Bhūrloka[5], bhuvarloka[6], svarloka[7] - i mondi[8] descritti in 1.83 - sono tre delle quattordici dimensioni[9]
che costituiscono l’universo materiale detto aṇḍakaṭāha (अण्डकटाह), il “guscio
dell’uovo della manifestazione”, e di solito sono identificati con “Terra”, “Atmosfera”
e “Cielo”, ma nell’ambito dello haṭhayoga rappresentano l’ombelico
(bhūrloka), l’addome (bhuvarloka) e il cuore (svarloka) [10].
Questa
“analogia qualitativa” tra universo ed essere umano, è tipica del tantrismo, dove
il
corpo umano (microcosmo) viene considerato una riproduzione in scala del “corpo
dell’universo” (macrocosmo) rappresentato spesso come Viṣṇu, ed ogni fenomeno macrocosmico si ripete - qualitativamente identico
– nel microcosmo.
In ambito śakta il macrocosmo è identificato con la dea madre[11], detta Tripura Sundarī (त्रिपुरसुन्दरी)[12], le cui membra
sono associate ad energie, corpi celesti, organi del corpo umano, processi fisiologici,
mantra, divinità[13].
“Somasūryāgnidevatā”, ovvero le divinità
della Luna, del Sole e del Fuoco, possono rappresentare, ad esempio sia i tre canali
principali, sia i tre occhi della divinità[14],
sia i seni e la vagina, sia un particolare asterismo[15].
Nel versetto 1.84 si afferma che nelle
tre mātrā dell’Oṁ sono contenuti
“i tre tempi, i tre veda, i tre mondi, i tre svara e le tre divinità[16]”.
Con “tre tempi” - traikālya (त्रैकाल्य) – si indicano
genericamente tutte le “triadi” collegate allo scorrere del tempo, come “giovinezza,
maturità e vecchiaia” o “crescita, mantenimento, decadimento”[17], ma in questo caso con traikālya si intendono
molto probabilmente “passato, presente e futuro” [18] o “mattino, pomeriggio e sera”[19].
Il riferimento ai tre veda[20] che sarebbero
contenuti nelle tre mātrā riguarda l’abitudine
di recitare la sillaba Oṁ prima e dopo gli inni
vedici. Si legge nella Manusmriti (II,74):
Egli deve sempre pronunciare " Oṁ" alla fine e all'inizio della recitazione dei Veda, perché
se non c'è prima, si perde, se non c'è dopo, questa si dissolve.
Per “tre mondi” si intendono
i tre “loka” - bhūrloka, bhuvarloka e
svarloka - già citati in 1.83, ma se prendiamo come riferimento altri testi, come Uttaragītā o Viṣṇupurāṇa (विष्णुपुराण) potremmo avanzare l’ipotesi che l’autore si riferisca – anche
- alla parte inferiore del corpo, al tronco e alla testa identificati rispettivamente
con l’insieme dei mondi inferiori (pātāla ecc.), la Terra
(pṛthvī) e i mondi celesti
(la dimora di Viṣṇu detta vaikuṇṭha ecc.)[21].
Viṣṇu Viśvarūpa –
rappresentazione dell’universo in forma antropomorfa. Rajasthan
state, former kingdom of Jaipur XIX secolo. Victoria and Albert Museum, London,
given by Mrs. Gerald Clark, IS 33–2006. Public domain.
Per ciò che riguarda i “tre svara”, dobbiamo considerare che svara indica sia la voce[22], sia le note musicali[23], sia le vocali, e che lo stesso Oṁ viene definito “svara”; nel caso del versetto 1.84 i tre svara potrebbero essere sia i tre tipi di vocali, ovvero hrasva, dīrgha e pluta[24], oppure i tre tipi di accenti vedici – udātta, anudātta e svarita[25], o, ancora, i tre tipi di intonazione ovvero: mandra, il tono profondo che parte dal cuore, nel cuore madhya, il tono medio che parte dalla gola e tāra, il tono alto che parte dalla testa[26].
Le tre divinità, deva (देव), infine, sono Brahma, Viṣṇu e Maheśvara (ovvero Śiva) che nel Lalitāsahasranāma vanno considerati
forme della dea[27].
Nel versetto 1.85 alle tre mātrā vengono associate
tre energie - «[…] kriyā [śakti], icchā [śakti], e jñāna [śakti]» – e le tre divinità
tantriche «brāhmī, raudrī e vaiṣṇavī»:
Questo Oṁ è la luce suprema in cui è contenuta
la triplice śakti brāhmī, raudrī e vaiṣṇavī ovvero kriyā [śakti], l’energia dell’azione, icchā [śakti], l’energia del desiderio, e jñāna [śakti], l’energia della conoscenza.
Queste tre śakti - kriyā, icchā e jñāna - concettualmente assimilabile
alle tre kuṇḍalinī e alle tre energie di base della manifestazione[28] - nel Lalitāsahasranāma (130) rappresentano la tre energie che danno vita, mantengono
e dissolvono ciclicamente la manifestazione materiale intesa quale forma percepibile
della madre dell’universo[29].
Identica interpretazione ne dà il Kulakaulinīmata[30],
dove kriyā, icchā e jñāna nel loro insieme vengono definite śaktitraya (शक्तित्रय) e sono associate a kuṇḍalinī, ai mantra e alle vocali sanscrite:
[Quando è chiamata] jñāna, conoscenza, la sua forma
è kuṇḍala [rotonda come un orecchino]. [Quando è chiamata] kriyā, azione, è varṇamātṛkā[31], la madre delle lettere.
[Quando è chiamata] icchā, volontà, la sua forma è
un mantra. Lei emerge dalla pura energia della Luna; possiede tre forme, risiede
su tre sentieri, è l’origine delle tre cause e delle tre energie (śaktitraya samopetā), è associata alla lettera
E (ए) e dimora all'interno di
Śiva.
La triplice śakti fa parte di un gruppo di cinque divinità
fondamentali nella cosmogonia tantrica, le cosiddette pañcaśakti, cinque diverse
manifestazioni della dea madre elencate, in genere[32]
in questo ordine:
- Kriyāśakti, o
śakti dell’azione, detta anche
Brāhmī;
- Jñāna śakti, o
śakti della conoscenza, detta
anche Pratiṣṭhā o Vaiṣṇavī;
- Icchāśakti, o
śakti del desiderio e/o della volontà, detta
anche Vidyāśakti o Raudrī;
- Ādiśakti, o śakti primordiale,
detta anche Ānandaśakti, Parākuṇḍalinī, Śānti o Īśvari;
- Parāśakti, o śakti suprema detta
anche Cit śakti (Cicchakti), Sadāśivā, Mātṛkā, Devī Mūla Prakṛti Bhagavatī, o semplicemente Devī.
Ciascuna
di queste cinque śakti è in unione con una delle
cinque forme di Śiva dette pañcabrahma,
che corrispondono alle seguenti divinità hindu[33]:
1.
Brahma;
2.
Viṣṇu;
3.
Rudra;
4.
Īśvara o Īśāna;
5.
Sadāśiva.
Le coppie di divinità – le energie
femminili e le forme maschili - vengono a loro volte associate ai pañcakṛtya (पञ्चकृत्य) [34], i cinque atti che conducono alla manifestazione fisica dell’universo, elencati
nello Śivapurāna (1.10.1-5) in questo ordine:
1.
Sṛṣṭi (सृष्टि), “creazione”, o sarga, “produzione”
2.
Sthiti
(स्थिति), “mantenimento”, “conservazione”;
3. Saṃhāra (संहार), “dissoluzione”, o laya, fusione
(intesa come unione di Raudrī e Maheśvara).
4.
Tirōdhāna (तिरोधान), “occultamento”, “velamento”;
5.
Anugraha
(अनुग्रह), traducibile con “grazia”, “benedizione”;
Nella meditazione sull’Oṁ, alle pañcaśakti, ai pañcabrahma e ai pañcakṛtya corrispondono
i cinque segni grafici che compongono la sillaba ॐ[35] e che abbiamo indicato
con i numeri da 1 a 5 nell’immagine seguente:
-
Kriyāśakti, Brahma e
sṛṣṭi (creazione)
corrispondono alla a (अ), rappresentata, graficamente,
dalla curva inferiore (1) della sillaba sacra ॐ;
-
Jñānaśakti, Viṣṇu e sthiti (mantenimento)
corrispondono alla u (उ) rappresentata graficamente dalla
linea centrale (2) della sillaba ॐ;
-
Icchāśakti,
Rudra e saṃhāra, (dissoluzione)corrispondono
alla m (म्) rappresentata graficamente dalla
curva superiore (3) della sillaba ॐ.
La mezzaluna ed il punto - detti
nel loro insieme candrabindu (चन्द्रबिन्दु) - nella vocalizzazione
dell’ॐ indicano la nasalizzazione
e sono considerati parte integrante della lettera m (म्); candra e bindu dal punto di vista grafico,
vanno considerati due simboli a se stanti:
-
Candra, la mezzaluna (4) tradizionalmente emblema
di Śiva, viene definita nāda (नाद)[36] e corrisponde alla forma maschile
detta Īśvara o Īśāna, a Ādiśakti (Parākuṇḍalinī) e a tirōdhāna (velamento);
-
Il punto (5) bindu (बिन्दु,), simboleggia
l’origine di tutti i suoni e, quindi, della manifestazione, il luogo dell’infinita
potenzialità e corrisponde a Parāśakti, la śakti suprema, a Sadāśiva e ad
anugraha (grazia).
L’identificazione
di nāda e bindu con Śiva e Śakti è documentata dallo Śivapurāṇa (1.16), in cui si legge che la loro unione,
detta sakalīkaraṇa, dà origine all’universo:
Bindu è Śakti e Śiva è Nāda.
[…] L'unione di Bindu e Nāda è detta sakalīkaraṇa e l'universo nasce a causa di questo sakalīkaraṇa. […] La dea in forma di Bindu è la madre
e Śiva in forma di Nāda è il padre.
L’uso – nel versetto dello Śivapurāṇa – della parola śakalīkaraṇa (शकलीकरण) - che indica
l’azione di “dividere”, “fare a pezzi”, legata all’atto sessuale - rimanda al mito
dell’isola delle gemme, rappresentazione allegorica della genesi della manifestazione
secondo il tantrismo.
Rappresentazione tradizionale di Lalitā Tripurasundarī; il letto altare è sostenuto da Brahma, Viṣṇu, Rudra, Īśvara.
Secondo il Lalitāsahasranāma, sulla cima del monte Meru, al di là del Tempo e dello Spazio, c’è
un’isola chiamata Maṇidvīpa[37], “l’isola delle gemme”, un luogo al di là del Tempo e dello Spazio, le cui
spiagge composte da perle e pietre preziose, sono lambite dalle acque dell’oceano di nettare, Sudhā Samudra (सुधा समुद्र). Al centro dell’isola, su una specie di letto altare[38] sostenuto dai pañcabrahma[39], la dea suprema, Parāśakti siede sul corpo inerte del suo sposo
Sadāśiva, detto in questo
caso Śiva niṣkala[40] (शिव निष्कल), “Śiva senza parti”.
Siamo
nel punto di “prima dell’inizio”, l’istante di infinita potenzialità che precede
il dispiegarsi della manifestazione, in uno stato al di là delle possibilità di
comprensione della mente umana detto turīyātīta (तुरीयातीत), in cui non esistono ancora suono, tangibilità, luce, sapore
o odore percepibili, né alcun ente in grado di percepirli. Qui i due sposi divini,
entrambi privi di parti (niṣkalā/niṣkala), nella raffigurazione
grafica dell’ॐ vanno
a rappresentare il bindu (5).
Improvvisamente,
senza nessun motivo apparente, la dea inizia a cantare, esercitando il potere della
grazia (anugraha). Śiva si risveglia,
i due si uniscono sessualmente (śakalīkaraṇa) e, godendo
l’una dell’altro, sembrano dimenticarsi dell’unità fondamentale di materia ed energia.
In questa seconda fase del processo della creazione, rappresentata dalla mezzaluna
(4) Śiva viene definito
sakala (सकल), letteralmente
“con parti”, e assume la forma detta Īśvara o Īśāna, mentre la dea viene chiamata
Ādiśakti o Parākuṇḍalinī. Lo stato coscienziale
corrispondente è turīya (तुरीय), il “quarto”,
e l’azione esercitata dalle due divinità è tirōdhāna, il velamento, a significare che i due sposi divini dimenticandosi
del loro essere una unità indifferenziata, sono la causa della scissione apparente
tra energia e forma, tra femminile e maschile, da cui avrà origine la manifestazione
grossolana, rappresentata da tre divinità maschili e dalle rispettive energie:
-
Rudra e
Raudrī (Icchāśakti) che esercitano il potere della dissoluzione
(Saṃhāra) vanno a rappresentare
la curva superiore della sillaba ॐ (3) e sovraintendono a prajñā (प्रज्ञा),
lo stato
di “sonno profondo”;
-
Viṣṇu e Vaiṣṇavī (Jñānaśakti) che esercitano
il potere della conservazione (Sthiti) e vanno rappresentare la linea centrale della
sillaba ॐ (2) e sovrintendono a taijasa
(तैजस), lo stato di “sogno”;
-
Brahma e Brāhmī (Kriyāśakti) che esercitano il potere
della creazione (Sṛṣṭi) e vanno a rappresentare la curva inferiore
della sillaba ॐ (1) e sovrintendono allo stato
di “veglia”.
Nel tantrismo i vari segni - bindu, mezzaluna, curva superiore, linea centrale, curva inferiore
– vengono definiti “i cinque praṇava (प्रणव)” e nello Svacchandatantra[41] - un testo dell’XI secolo noto anche come Svacchandabhairavatantra –vengono definiti talvolta karaṇa (करण) – strumenti – in quanto simboli della “causa efficiente”, della
“causa materiale”, della “causa formale” e della “causa finale”[42] della manifestazione.
I cinque praṇava, intesi come i cinque elementi della sillaba ॐ, vanno così a simboleggiare, in un certo senso, i cinque strumenti utilizzati
dallo yogi per condurre il proprio viaggio a ritroso dalla percezione della
coscienza di veglia - viśva (विश्व) – rappresentata dalla lettera a (अ), al “quinto stato” – turīyātīta - caratterizzato da una condizione detta unmanī (उन्मनी) rappresentata dal bindu
e riconosciuta nel Manthānabhairavatantra come la meta finale del
percorso yogico. L’energia che porta alla realizzazione finale,
intesa come ottenimento dei poteri psichici – siddhi – della salute, della
bellezza e della longevità viene quindi detta unmanī
śakti[43].
[1] La sillaba ॐ può essere
resa in caratteri latini con Aum, Om, Oṁ ed Oṃ; il segno
diacritico inserito nella “m” di Oṁ e Oṃ ha in
entrambi i casi lo scopo di nasalizzare la vocale.
[2] Può
essere interessante accennare al concetto di “corpo, parola e mente” nel
buddhismo tantrico. Nel Kālacakratantra, che fa parte del “Canone
buddhista tibetano”, corpo, parola e mente sono tre dei canali principali del
corpo umano. In tutto vi sono sei canali fondamentali, tre sopra l’ombelico (da
sinistra a destra: canale della Luna, canale di Rāhu, canale del Sole) e tre sotto
l’ombelico (da sinistra a destra: canale dell’urina, canale delle feci e canale
del seme); di questi sei tre appartengono al principio maschile – detto “mezzo”
– e tre appartengono al principio femminile – detto “saggezza” – e ne
costituiscono i rispettivi “corpo, parola e mente”. Un'altra nozione importante è che il
principio maschile è relato al seme (śukra dhātu) e il principio femminile al sangue (rakta dhātu) per cui si parlerà di “corpo, parola, mente” del seme e
di “corpo, parola, mente” del sangue. Nel dettaglio per il principio
maschile avremo:
1.
Canale della Luna (elemento Acqua), sinistra in alto,
“corpo del seme”;
2.
Canale dell’urina (elemento Aria), sinistra in basso,
“parola del seme”;
3.
Canale di Rāhu (elemento
Spazio/Vuoto), centro in alto, “mente del seme”;
Per il principio femminile invece
avremo:
1.
Canale degli escrementi (elemento Terra), centro in
basso, “corpo del sangue”;
2.
Canale del Sole (elemento Fuoco), destra in alto,
“parola del sangue”;
3.
Canale del seme (elemento della Conoscenza), destra in
basso, mente del sangue.
[3] Probabilmente il testo si
riferisce alle tre diverse modalità di pratica della sillaba Om, ovvero
la modalità recitata, la modalità bofonchiata (in modo da percepire e
utilizzare le vibrazioni) e la modalità silenziosa tesa a identificare la mente
con il mantra.
[4]
Vedi:”La Meditazione sulla Sillaba Oṃ nelle Upaniṣad”.
[5] Bhūrloka (भूर्लोक), è la Terra che è composta da sette dvīpa (द्वीप), parola traducibile con “isole” o “continenti”: Jambūdvipa; Śākadvipa; Kusadvipa; Krauñcadvipa; Salmalidvipa; Gomedadvipa; Puṣkaradvipa.
[6] la seconda “dimensione”, bhuvarloka
(भुवर्लोक), che nei purāṇa
viene definita come “il mondo tra la terra e il sole” che viene “bruciato
dalla fiamma di Rudra nella dissoluzione”, può essere identificata con
l’atmosfera. Vedi: Brahmāṇḍapurāṇa II. 38. 16; Vayupurana
23. 84; 49. 148; 64. 14; 100. 160; Viṣṇupurāṇa II. 7. 17; VI. 3.
26 e 39.
[7] Svarloka (स्वर्लोक) è il Cielo e sta ad indicare sia ciò che è oltre
l’atmosfera, sia il paradiso di Indra sia il monte Meru.
[8]
Abbia tradotto il termine loka (लोक) con mondo, ma assume significati diversi a seconda degli
ambiti in cui viene usato. nel Brahmāṇḍapurāṇa e nel Viṣṇupurāṇa, ad esempio, loka
indica il numero “sette” e di conseguenza i sette “luoghi” – sthala –
inferiori e i sette luoghi superiori che formano l’universo. Vedi: Brahmāṇḍa-purāṇa II. 19.
155-6; 21. 19. 21; III. 41. 54-5; Viṣṇupurāṇa I. 22.
80; V. 2. 16.
[9] 1. Bhūloka, 2. Bhuvarloka, 3. Svarloka, 4. Maharloka,
5. Janarloka, 6. Tapoloka, 7. Satyaloka, 8. Pātāla, 9. Rasātala, 10. Mahātala,
11. Talātala, 12. Sutala, 13. Vitala, 14. Atala.
[10] Vedi
ad esempio Uttaragītā 2.31-32. In “Uttaragītā
and commentary by Gauḍapāda”, ed. J. K. Balasubrahmanyam. (1910).
[11] Per i vaiṣṇava il corpo dell’universo è Viṣṇu; per gli śaiva è rappresentato in forma dinamica da Śiva naṭarāja – “Śiva re della danza” – e/o in forma statica
dal jyotirliṅga, l’emblema fallico di Śiva.
[12] I
nomi della dea madre variano a seconda
dei luoghi e dei sistemi di insegnamenti. È conosciuta anche come Lalitā
(ललिता), Ṣoḍaśī (षोडशी), Mahārājñī
(महाराज्ञी), Kurukullā ((कुरुकुल्ला), Kubjikā (कुब्जिका), Durgā (दुर्गा) ecc.
[13] Queste corrispondenze tra fenomeni e
corpi celesti e il corpo della dea compaiono in un testo risalente forse al
VIII secolo, il Lalitāsahasranāma (ललिता सहस्रनाम), o “i mille nomi di Lalitā”. Lalitāsahasranāma è un testo
considerato parte integrante del Brahmāṇḍa Purāṇa (ब्रह्माण्ड पुराण), uno dei purāṇa maggiori il cui nucleo
fondamentale risalente al VI secolo, è stato sottoposto a ripetute modifiche
almeno fino all’XI secolo. Vedi in proposito Ludo Rocher, “I Purana”. Wiesbaden:
Otto Harrassowitz Verlag. (1986). ISBN 3-447-02522-0.
[14] Vedi: David Frawley, “Vedic Yoga: The
Path of the Rishi”. Ed. Lotus Pr.(2014).
ISBN-13: 978-0940676251.
[15] La Luna, ad esempio, può
rappresentare iḍā l’occhio sinistro e/o il seno sinistro,
la stella blu Denebola, della costellazione del Leone; il Sole piṅgalā, l’occhio destro
e/o il seno destro, la stella gialla Arturo, della costellazione del
Boote; il Fuoco infine il terzo occhio, la vagina, la stella Spica (In
sanscrito Citrā (चित्रा), nome anche di
una casa lunare detta Citrānakṣatra), della costellazione della Vergine. Le
tre stelle – Denebola, Arturo e Spica – formano un asterismo chiamato
“triangolo di primavera”.
[16] Nell’originale
“trayo devāḥ
[…]”, dei tre deva, che si può riferire sia alle tre divinità citate
precedentemente, ovvero Luna, Sole e Fuoco - somasūryāgni” - sia alle tre
divinità associate tradizionalmente alla “A”, alla “U” e alla “M”, ovvero Brahmā, Viśnu e Maheśvara.
[17] Harivaṃśa 7446.
[18] Mahābhārata 12,
1690. 2.
[19] Yājñavalkya (a cura di
Stenzler) 3, 308.
[20] Si
ricorda che con “tre Veda” si intendono Ṛgveda, Yajurveda e Sāmaveda. Lo Atharvaveda, o Veda delle “procedure della vita quotidiana” viene
inserito nella letteratura vedica solo in epoca tarda. Vedi Maurice Bloomfield, The Atharvaveda, Harvard
University Prss. https://archive.org/details/atharvaveda00bloouoft/page/n5/mode/2up?view=theater.
[21] Vedi
ad esempio Uttaragītā 2.28-34.
[22] Vedi Dharma-śāstra:
Quando un re (rājan)
sta indagando su una causa in tribunale, deve osservare da vicino le variazioni
(ākāra) del soggetto. Per la voce (svara) di una persona, questo significa
monitorare il vacillamento [della voce], l'essere soffocati dalle lacrime ecc.
Fonte: https://www.wisdomlib.org/definition/svara.
[23] Vedi
Nāṭyaśāstra 6.10;
le sette note sono: ṣaḍja (sa), ṛṣabha (ri), gandhara (ga),
madhyama (ma), pancama (pa), dhaivata (dha),
nisada (ni).
[24] Hrasva (ह्रस्व), breve, ha la durata di una misura; dīrgha (दीर्घ), lunga, ha la durata di due misure; pluta (प्लुत), prolungata, ha
la durata di tre misure.
[25] Udātta
(उदात्त) è l’accento acuto/tono alto, anudātta (अनुदात्त), l’accento grave/tono basso, e svarita (स्वरित), corrispondente
all’accento circonflesso, è il tono acuto discendente.
[26] Sulle
triplici suddivisioni delle note (svara) vedi Pañcatantra (पञ्चतन्त्र):
sapta svarās trayo grāmā mūrcchatāś caikatriṃśatiḥ | tānās tv ekonapaūcāśat
tisro mātrā layās trayaḥ ||
52 ||.
Ci sono sette svara, raggruppati in tre gruppi
[…]. Gli svara hanno tre mātrā e tre laya.
[27] Vedi
Lalitāsahasranāma 125.
[28] Vedi
nello schema seguente i legami tra le tre śakti,
i tre guṇa ecc.
kriyā śakti (Azione) |
jñāna śakti Conoscenza) |
icchā śakti (Desiderio/Volontà) |
Vento (Movimento) |
Sole (Ricezione) |
Luna (Rilascio) |
prāṇa |
tejas, |
ojas |
rajas |
sattva |
tamas |
vāta |
pitta |
kapha |
[29] «icchāśaktijñanaśaktikriyāśaktisvarūpīnī
[…]».
[30] Vedi: Bjarne Wernicke Olesen, “Goddess Traditions in Tantric
Hinduism: History, Practice and Doctrine”. Routledge studies in Tantric Tradition. Taylor & Francis Ltd,
(2015).
[31] Altro nome di Sarasvatī/ Brahmī.
[32] Tra le varie scuole e sistemi
filosofici esistono delle differenze, a volte notevoli, di nomi e significati.
Nel Manthanabhairavatantram sono elencate in questo ordine: Icchā, Jñāna, Kriyā, Parākuṇḍalinī, Mātṛkā; vedi: Mark S.G.
Dyczkowski, Manthanabhairavatantram, Kumarikakhandah 12 Vol. The Section Concerning the Virgin
Goddess. Publisher: Indira Gandhi
National Centre, 2009). Nella nostra trattazione faremo riferimento, in genere,
al Mānasāra, un testo di architettura e iconografia hindu risalente al V secolo
d.C. Vedi: P. K. Acharya, “Architecture of
Manasara, Translated from Original Sanskrit”. Oxford University Press
(Republished by Oriental Books, first edition in 1934, 2nd edition in 1980). P.
K. Acharya,). “An encyclopaedia of Hindu architecture”. New Delhi:
Oxford University Press (Republished by Motilal Banarsidass). (2010) ISBN 978-81-85990-03-3.
[33] I
nomi e le caratteristiche delle pañcaśakti e
dei pañcabrahma mutano da scuola a scuola e, addirittura, da
villaggio a villaggio derivando solitamente da culti locali. I pañcabrahma, ad
esempio, vengono identificati sovente con le cinque facce di śiva, i
Pañcamukha, ovvero: Sadyōjāta, Vāmadēva, Aghōra, Tatpuruṣa e Īśāna.
[34] I pañcakṛtya per il tantrismo śakta hanno origine dalla “dea madre” - che viene detta Pañcabrahmāsanāsīna, “Colei che siede
sui cinque Brahma”, e Pañcakṛtyapārāyana, “colei che è il sostegno delle cinque
azioni”. Letteralmente Pañcabrahmāsanāsīna significa “sedersi” (asīna) su un seggio (āsana)[costituito da] i cinque
Brahma (pañcabrahma); Pañcakṛtyapārāyana si può tradurre invece con “oggetto
principale”, “fine ultimo”, “supporto” (parāyaṇa) delle cinque azioni necessarie (pañcakṛtya).
[35] In questo
capitolo utilizzeremo spesso, per comodità il simbolo grafico ॐ, in quanto l’analisi delle sue
parti – la curva inferiore, la linea centrale, la linea superiore, la mezzaluna
e il punto – e delle divinità e concetti a cui, tradizionalmente tali parti
vengono associate, ci risulteranno utili nella comprensione del testo, ma
dobbiamo considerare che il simbolo ॐ è il frutto della fusione di due caratteri della
scrittura devanāgarī, ओ (o) e il candrabindu ँ, la mezzaluna sovrastata dal punto che indica la
nasalizzazione della vocale. La sillaba sacra è “Aum” viene resa solitamente
con la sillaba “Om” – in devanāgarī ओम् - dove la “o” va
considerata come un dittongo risultante foneticamente dalla contrazione
delle vocali “a” e “u” che pronunciate rapidamente danno, appunto, il suono “o”.
La scrittura devanāgarī inizia a diffondersi intorno al VII-VIII secolo
d.C. per cui è probabile, anche se non certo, che dato Gorakṣa conoscesse il simbolo
grafico ॐ e l’interpretazione delle sue parti. Riferimenti:
-
Margaret Stutley e James Stutley. Dizionario
dell'Induismo. Ubaldini. (1980).
-
Richard
Salomon. “Indian epigraphy: a guide to the study of inscriptions in Sanskrit,
Prakrit, and the other Indo-Aryan languages”. South Asia research. Oxford:
Oxford University Press. ISBN 978-0-19-509984-3.
[36] Vedi
il commento di Kṣemarāja al Netratantra:
“[…] Nāda è il nome dato alla
pulsazione (spanda) del livello supremo della Parola (parā vāc), che anima la
realtà più alta. Il Netratantra si riferisce ad esso come a una forma di
suono che pervade l'universo. […] L’energia dei livelli superiori inizialmente
si manifesta in due aspetti. Uno è soggettivo, come l'aggregato delle
energie della Parola che funzionano come denotatori (vācaka) del secondo
aspetto, che consiste nell'aggregato delle energie della Parola, che esse
denotano (vācya). Quando sorge l'impulso iniziale verso la manifestazione,
l'energia della coscienza trattiene in sé la pulsazione del secondo aspetto ed
esprime la pulsazione del primo aspetto sotto forma di Suono
indifferenziato. […]”.
Mark S. G.
Dyczkowski, “The Doctrine of Vibration. An Analysis
of the Doctrines and Practices of Kashmir Shaivism”. Motilal Banarsidass (1989). ISBN:9788120805965,
8120805968.
[37] Un
altro nome di Maṇidvīpa è Śrī Nagara
(श्री नगर) che significa “città dello splendore” o, vedi Śivapurāṇa 2.2.11, “città di Durgā.
[38] Il “letto altare dell’Isola delle Gemme è solitamente di forma esagonale,
in riferimento all’Esagono invernale, un asterismo avente
forma esagonale i cui vertici sono le stelle note
in occidente con i nomi di (in senso antiorario) Rigel, Aldebaran, Capella, Polluce, Procione e Sirio.
[39] In
alcuni casi sotto al letto-altare troviamo tutte e cinque le forme maschili (Brahma, Viṣṇu, Rudra, Īśvara, Sadāśiva) in altre solo quattro (Brahma, Viṣṇu, Rudra,
Īśvara).
[40] Vedi Śivapurāṇa 1.5:
[…] Śiva è glorificato come Niṣkala [senza nome e senza forma] poiché è identico al Brahman
supremo. È anche Sakala poiché ha una forma incarnata. È sia Sakala
che Niṣkala. È nel suo aspetto Niṣkala che il liṅga è
appropriato. Nell'aspetto Sakala l'adorazione della sua forma incarnata è
appropriata.
[41] Vedi: Kṣemarāja, “Śrī svacchandatantram. Yogatantra-granthamālā, vol. 19”. Sampurnanand Sanskrrit
University, Varanasi (1992-93).
[42] Ricordiamo che
per Aristotele la manifestazione ha quattro diverse “cause”, ovvero: “causa
materiale” (la materia con cui sono costruiti gli “enti”); “causa efficiente”
(ciò che da forma alla materia); “causa formale” (la forma che assumono gli
“enti”); “causa finale” (lo scopo con cui viene data una determinata forma ad un
determinato ente). Nella cosmogonia tantrica le cinque coppie di divinità
rappresentate dai cinque praṇava assumono in
realtà ruoli diversi a seconda dei diversi stati coscienziali e quindi delle
diverse percezioni della realtà; per fare un esempio la coppia Parāśakti – Sadāśiva è la causa
efficiente della manifestazione, ma al tempo stesso ne è la causa materiale
(Sadāśiva è il corpo
ovvero la materia dell’universo), la causa formale (l’universo ha la forma del
corpo della dea) e, nella beatitudine che nasce dalla loro unione, la causa
formale. Lo stesso possiamo dire per le altre coppie di divinità in relazione
ai vari stati coscienziali.
[43] Unmanī śakti va considerata una energia
equivalente a cit śakti
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