"La mia Felicità dipende solo da me... ma anche no." In questi giorni, in cui per una serie di motivi sono stato chiuso in casa con un bel po' di tempo a disposizione, mi sono fatto una scorpacciata su You Tube di video di nuovi guru, sia occidentali sia orientali, e mi sono sorpreso nell'ascoltare tutta una serie di "segreti per la felicità " e di argomentazioni filosofiche sulla necessità dell'autosufficienza che, già al tempo del mio sadhana advaita vedanta (2006-2013) erano fonte di ironia e , tra gli antichi fratelli del gruppo vedanta, ispiravano delle gustose imitazioni.
L'insegnamento odierno sulla necessità del distacco oggi condiviso anche su You Tube - appunto -instagram e twitter, è frutto di una errata interpretazioni degli insegnamenti tradizionali: da una logicissima constatazione - ovvero la necessità di mantenersi stabili nel dolore come nel piacere, nella sconfitta come nella vittoria per evitare la sofferenza - si è creata una visione della vita grigia e banale secondo la quale occorre difendersi dalle emozioni e dalla espressione dei sentimenti; facciamo attenzione: la non sofferenza non è la felicità. Buddha, Patanjali Lao Tzu insegnavano a vivere pienamente la vita e a danzare le emozioni "senza attaccarsi ad esse".
Se mi telefona mia figlia dicendo che aspetta un mio nipotino, io sono felice.
Se mi dicono che è morto un vecchio amico, io sono infelice; è normale.
Se fossi indifferente alla gioia e al dolore altrui sarei una specie di automa. Il discorso è che non cambiano né la mia essenza né la mia personalità: Paolo felice e Paolo addolorato sono la stessa persona e, ad esempio, il dolore per la morte di un vecchio amico svanisce di fronte ad un bel tramonto o al sorriso immotivato di un bambino.
Lo Yoga insegna a passare liberamente da una emozione all'altra con la consapevolezza che gli stati d'animo sono costumi di scena che il "Danzatore" indossa nel teatro all'improvviso che è la vita. Buddha e gli altri insegnavano a non lasciarsi imprigionare dal "Teatro della Memoria" (ovvero rimanere attaccati alle gioie e ai dolori del passato) o, peggio ancora, al "Teatro delle Speranze" (ovvero attaccarsi ad eventi futuri, possibili o meno, che sono di fatto inesistenti), non certo a non "danzare la Vita"!
Dire che "la mia felicità non dipende dagli altri" significa - dovrebbe significare - che avendo sciolto i blocchi che impediscono l'espressione del gesto, della parola e dell'emozione, lo yogi è libero di godere di un fiore che sboccia o di una stella che cade o del sorriso della sua sposa; e ovviamente deve essere libero di piangere per la morte di un gatto o per una martellata che si è dato su un dito.
Il problema non è il ridere o il piangere, ma il lasciare che quel ridere e quel piangere innestino delle "spirali centripete" di pensieri e si aggancino, grazie al meccanismo dell'analogia e della somiglianza, a ricordi, rimpianti e immotivate speranze.
Questa tendenza dei nuovi guru a instillare nell'animo degli altri l'illusione di una vita senza sofferenza, tramite il distacco dalle emozioni, è più pericolosa di quanto si possa immaginare: la convivialità, la relazione con gli altri e con l'ambiente esterno, la capacità di essere felici per le gioie altrui e di addolorarsi per le altrui pene sono le caratteristiche migliori, più alte e nobili dell'essere umano.
Il distacco dalle emozioni può portare al successo in molte attività, certo, se io non provo compassione posso schiacciare senza pietà un rivale o un concorrente;
se per me è lo stesso passare una giornata al mare con la mia amata o stare otto ore al pc per imparare i segreti della borsa è possibile che prima o poi riesca ad arricchirmi.
Ma che tristezza!
Tra l'altro il superomismo è sempre in agguato: più ci si distacca dalle emozioni e più si rischierà di trovare gratificazione nella propria incapacità di esprimere sentimenti e passioni e avvertire insofferenza o addirittura disgusto per coloro che non riescono a trattenere il riso o il pianto.
La vita è una, ed è degna di essere vissuta pienamente, godendo della bellezza della natura e dell'essere umano, che della natura è parte e, al contempo, spettatore cosciente.
Dopo aver sentito, su You Tube, i discorsi di questi nuovi guru sul distacco e sul controllo delle emozioni, mi è venuta in mente una delle molte storie di Ramakrishna.
Ramakrishna era un tantrico, un sacerdote di Kali, ma dopo che un gruppo di saggi e santoni lo ebbe riconosciuto come maestro illuminato, si recarono da lui maestri e insegnanti di advaita Vedanta con lo scopo di istruirlo "al vero Yoga", alla "vera Filosofia".
Uno di questi era Totapuri che si era messo in testa di educarlo al distacco sensoriale.
Dopo una serie di vani tentativi di costringere Ramakrishna a mantenere l'attenzione sul Brahman, senza farsi distrarre dalla natura, dalle donne o dal canto dei fedeli, Totapuri gli conficcò una scheggia di vetro al centro della fronte "così almeno manterrai l'attenzione su un unico punto".
La sera stessa Totapuri cominciò ad avere la diarrea e si rese conto che nel disagio non riusciva a mantenere l'attenzione sul Brahman. Sconvolto decise di suicidarsi, annegandosi nel fiume vicino.
L'acqua era bassa e con disappunto Totapuri si ritrovò sulla riva opposta, infangato ma ancora vivo.
Volse lo sguardo al tempio di Kali, sull'altra sponda; Ramakrishna stava celebrando un rito alla dea e il tempio era illuminato da mille e mille fuochi che facevano a gara con le stelle di una meravigliosa notte bengalese.
I canti dei devoti si mescolavano ai suoni della foresta e Totapuri si ritrovò a piangere di gioia, una gioia illogica.
La storia ebbe una conclusione inaspettata: non solo Totapuri rinunciò a istruire Ramakrishna all'Advaita Vedanta, me, divenuto suo allievo, venne iniziato al tantrismo.
Lo Yoga è danzare la vita!
Un sorriso,
P.
Gli attori del film https://streamingcommunity.tube/anime-cartoon/ raccontano... Ci piacciono le persone che hanno il coraggio di dirci quello che pensano, purché la pensino come noi.
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