Insegnare yoga significa cercare di
instradare gli allievi in un percorso di conoscenza. A prescindere dai titoli, dai diplomi e dalle altre medaglie
da apporre sul petto negli incontri pubblici e nelle chiacchiere da salotto, l’insegnante/istruttore/maestro
deve disporre, oltre ad un bagaglio di esperienze e conoscenze, di ciò che viene
definito “qualificazione”.
Esperienza, erudizione e qualificazione
sono le tre caratteristiche fondamentali dell’istruttore di yoga, o meglio, sono
i tre ingredienti fondamentali a disposizione dell’istruttore per preparare il cibo
con cui nutrire l’allievo: la carenza o addirittura l’assenza di uno dei tre renderà
il “piatto” insipido o troppo saporito o poco digeribile.
La necessità dell’esperienza è ovvia: se, ad esempio, non ho mai tentato di assumere la verticale sulla testa come potrò mai riuscire ad insegnarla ad un allievo?
Posso aver letto decine di manuali che insegnano a nuotare, ma se non ho mai fatto l’esperienza dell’acqua l’onda dell’oceano mi annichilirà.
L’erudizione – quando è accompagnata,
ovviamente, dall’esperienza – è altrettanto necessaria perché darà all’istruttore
le parole per trasmettere l’esperienza e chiarirà, sia all’allievo che a lui stesso,
quali siano l’inizio del percorso, quali le tappe intermedie e quale la meta stabilita.
Un erudito senza esperienza è come
una sorgente di acqua distillata: il gorgoglio delle acque – le parole – sarà piacevole
all’ascolto ma inutile per chi voglia dissetarsi.
Il praticante privo di erudizione
sarà invece come un esploratore senza bussola nel deserto: continuerà a girare in cerchio.
In entrambi casi per l’incomprensibile gioco della natura (लीला līlā ?) sia per l’erudito senza esperienza sia per il praticante senza erudizione, è possibile che scocchi, casualmente, una scintilla e che si ottengano risultati insperati[1], ma in tutti i casi deve essere presente il fattore “qualificazione”: entrambi, istruttore e allievo, devono essere “qualificati”, poichè senza qualificazione non ci può essere trasmissione della conoscenza.
Credo che il concetto di qualificazione
sia assai difficile da comprendere.
Per dare un'idea possiamo affermare che la
“qualificazione” rappresenta l’insieme degli strumenti, ovvero “i ferri del mestiere”
dello yogin.
Facciamo un esempio banale:
Se uno ha intenzione di rammendare
un calzino dovrà essere in possesso di ago, filo, ditale e uovo di legno. Giusto? Se non li ha è inutile che tenti di rammendare.
In questo caso:
-
La pratica rappresenta l’azione del rammendare;
-
La teoria rappresenta il come e il perché si rammenda;
- La qualificazione rappresenta gli strumenti necessari.
Se uno ha l’ago, ma non il filo si metterà alla ricerca di qualcuno che possa dargli il filo.
Se uno ha l’ago e il filo ma non il ditale, rischierà di farsi male alle dita e quindi ci vorrà qualcuno che gli dia il ditale.
Se gli manca l’uovo di legno potrà comunque rammendare,
ma rischierà di fare un lavoro imperfetto.
L’insegnante dovrà essere in grado di dare all'allievo gli strumenti di cui è carente, o magari, se questo li possiede tutti e quattro, ma ne è inconsapevole, dovrà mostrargli il cassetto in cui sono stati dimenticati, ma se gli strumenti non sono già presenti, almeno in parte, non potrà esserci nessuna trasmissione di conoscenza: esperienza ed erudizione, in assenza di “qualificazione”, non sono sufficienti a formare uno yogin né, tanto meno, un insegnante di yoga. Questo significa che entrambi – istruttore ed allievo – devono possedere in parte o completamente gli stessi “strumenti di conoscenza”.
So che in quest’epoca, nella quale la maggior parte dei praticanti aspira ad insegnare e basta un corso di nove week end o addirittura di un paio di giorni per ottenere un diploma riconosciuto- un discorso
del genere è tutt'altro che popolare, ma – per fortuna o purtroppo – i fatti sono
questi:
In un certo senso uno nasce yogin,
esattamente come, in un certo senso, si nasce attori, danzatori, cantanti o falegnami.
Tutti possono praticare yoga e trarne
dei benefici.
Non tutti possono insegnare yoga.
Per insegnare qualsiasi altra disciplina - dalla danza, al pugilato, dalla matematica all'ortodonzia, occorre aver fatto anni di studi e soprattutto avere un talento naturale, una "qualificazione" che ci spinge a scegliere quel particolare campo di attività e conoscenza.
Lo yoga è una disciplina assai complessa
che necessita di una conoscenza non superficiale dell’anatomia, dello āyurveda, nonché dell’arte, della
filosofia e dell’astronomia indiana, non basta un corso online di qualche settimana per poterlo insegnare.
E soprattutto bisogna essere "qualificati", bisogna avere un'insieme di capacità innate che non si possono né acquistare al mercato della spiritualità, né imparare su un libro.
[1] Per fare un esempio personale ho
imparato più cose sullo haṭhayoga con il mio antico istruttore di advaita
vedānta, Bodhananda
Premadharma – tendente all’obesità e completamente disinteressato alla
parte “fisica” dello yoga – che nella mia precedente pluridecennale esperienza
di lavoro sul corpo
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