Kurukulla, nota in Tibet anche come Tara Rossa. By ignat - http://plotnikovna.narod.ru/img/, CC BY 2.5, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1483780
Kurukullā, la Signora delle Lettere
Anche se a molti praticanti potrà apparire sconcertante, lo haṭhayoga non appartiene al sistema religioso e filosofico derivante dai Veda, ma proviene da una tradizione diversa, più affine al buddhismo tantrico che all’ortodossia Hindu. Quando il concetto di Kuṇḍalinī compare nella letteratura sanscrita, grazie all’introduzione delle 20 Yoga Upaniṣad nel gruppo delle 108 Upaniṣad “ortodosse”, nel nord dell’India, in Tibet, e in Nepal è già presente un complesso sistema di pratiche psico-fisiche basate sulla sua “attivazione” e sulla circolazione nei plessi energetici denominati cakra.
Un sistema legato a कुरुकुल्ला Kurukullā, una divinità estranea alla mitologia vedica, conosciuta in Tibet come Tārā Rossa (in tibetano Rigjema o Rije Lhamo).
Il culto di Kurukullā, di
origini misteriose[1] - viene introdotto ufficialmente in
Tibet nell’VIII secolo dallo yogin पद्मसंभव Padmasaṃbhava – il “nato dal Loto”, maestro e
sposo della più grande yoginī tibetana, Yeshe Tsogyal, ma molte delle pratiche e dei rituali che ne
fanno parte sono già presenti in un testo che circolava in Tibet, in Nepal e in
Bhutan già all’inizio del 700 d.C. e che sarebbe stato composto in epoca più
antica, il “Sarvabuddhasamāyayoga”[2].
Per dare un’idea
delle pratiche originarie di ciò che oggi è definito haṭhayoga, descriverò
adesso una parte del साधन sādhana tradizionale di Tārā Rossa[3],
ovvero l’insieme delle
tecniche utilizzate nel buddhismo tibetano per evocare Kurukullā ed
esserne, in un certo qual modo, posseduti.
Il termine
“posseduti” non deve sorprendere: se la parola sādhana è intesa genericamente come
“pratica per ottenere qualcosa”, “addestramento”, “metodo per ottenere un preciso obbiettivo”, per i buddhisti e i
tantrici śaiva e śakta, sādhana è un termine
tecnico che indica una serie di “procedure magiche” o “rituali magici” per
evocare entità sovrannaturali ed energie della natura o per ipnotizzare,
uccidere o guarire gli altri; un sādhana tantrico in altre parole non è un addestramento, ma una pratica
sciamanica. Nel कक्षपुटतन्त्र Kakṣapuṭatantra, un testo del X secolo attribuito
al maestro buddhista Nagarjuna, vengono elencati ad esempio diciannove
diversi tipi di sādhana:
-
Vaśya (ottenere il
controllo delle azioni degli altri);
-
Ākarṣaṇa (Attrarre e
affascinare gli altri;
-
Stambha (immobilizzare i
nemici);
-
Moha (rendere stupidi
i nemici);
-
Uccāṭa (eliminare tutti
i nemici);
-
Māraṇa (uccidere gli
altri);
-
Vidveṣa (provocare
discordia);
-
Vyādhikaraṇa (causare malattie);
-
Paśuśasyārthanāśana (causare la perdita di bestiame, grano e altre proprietà);
-
Kautuka (fare giochi di
prestigio);
-
Indrajāla (creare illusioni);
-
Yakṣiṇīmantra-sādhana (invocare le “yakṣiṇī”);
-
Ceṭaka (rendere schiavi
gli altri);
-
Añjana (acquisire la
chiaroveggenza o curare la cecità);
-
Adṛśya (diventare
invisibile);
- Pādukāgati (creare scarpe magiche per muoversi nel tempo e nello spazio);
-
Guṭikā (creare delle
“pillole” magiche);
-
Khecaratva (volare nel cielo);
-
Mṛtasaṃjīvana (resuscitare i
morti).
Sādhana di Tārā Rossa
1. Recitazione del mantra generico di Kurukullā (108 volte):
“Oṁ Kurukulle Hrīḥ Svāhā”.
2. Recitazione del mantra di Kurukullā Bhagavatī, introduzione sādhana:
“Oṁ namas tārāyai.
Oṁ namo bhagavatyai arya kurukullāyai”.
Innanzitutto, dobbiamo notare che i
buddhisti tibetani definiscono Kurukullā “भगवती Bhagavatī “(“Oṁ namo bhagavatyai” va inteso con “saluto/rendo omaggio a Bhagavatī), termine che
indica prakṛti o śakti
intesa come dea suprema, ad intendere che Kurukullā va considerata una forma di Durgā.
Dopo una serie di formule tipiche dei
rituali buddhisti il sādhana procede con le offerte alla dea collegate alla recitazione delle sillabe
seme, che vengono sia recitate sia visualizzate, in varie parti del corpo:
Dalla recitazione della sillaba raṁ nel cuore emerge un disco solare al
centro del quale visualizzo la sillaba rossa taṁ. Da taṁ emergono raggi di luce che adornano
la testa della dea.
[…] dal vuoto (simboleggiato dalla
sillaba haṁ) sorge un loto rosso ad otto petali,
nel quale visualizzo un nuovo disco solare al centro del quale visualizzo la
sillaba taṁ che si trasforma in Tārā rossa […].
Ricordiamo che nello Haṭhayoga tradizionale si identificano sette
cakra principali, rappresentati da fiori di loto con un numero variabile di
petali. Su ogni petalo è inscritta una sillaba dell’alfabeto, o meglio “abugida” -
sanscrito seguita dall’anusvara ṃ mentre al centro – pericarpo – di ogni fiore è inscritta una sillaba
seme:
1. Al cakra della fontanella troviamo la sillaba खँ khaṁ[4]- talvolta, più correttamente a mio parere - o il mantra ka e ī la
hrīṃ…;
2. Al cakra della fronte troviamo la sillaba ॐ Oṁ;
3. Al cakra della gola la sillaba हँ haṁ, sillaba
seme dell’elemento spazio;
4. Al cakra del cuore la sillaba यँ yaṁ sillaba seme dell’elemento aria;
5. Al cakra dell’ombelico la sillaba रँ raṁ sillaba
seme dell’elemento fuoco;
6. Al cakra dei genitali la sillaba वँ vaṁ;
7. Al cakra del perineo la sillaba लँ laṁ.
Per ciò che riguarda la sillaba seme taṁ[5] è insieme alle sillabe trīṁ e strīṁ uno degli “śakti bīja” della divinità hindu Tārā.
La luce (color arcobaleno) della Dea
penetra nel cakra della corona; quindi, al cakra della gola e al cakra del
cuore facendo evaporare - come la rugiada evapora ai raggi del sole – i frutti
negativi del karma, le malattie, gli ostacoli e gli effetti della magia nera.
“[…] dalla sillaba paṁ sorge un loto rosso ad otto petali;
dalla sillaba raṁ insorgono la forma di un disco solare e la sillaba hriḥ.
Hriḥ è la dizione tibetana di ह्री Hrī - in sanscrito traducibile con “bellezza” o “modestia” - che nel
giainismo è il nome della dea che risiede nel Loto del centro dell’universo[6]. Nello yoga, seguita dall’anusvara - ह्रीं hrīṃ - o dal candrabindu – ह्रीँ hrīṁ - rappresenta il
“vero nome” della divinità che presiede allo Śrīyantra, detta त्रिपुरसुन्दरी Tripurasundarī – la “bella delle tre città” - o षोडशी Ṣoḍaśī, la sposa di Śiva nella forma di una ragazza di sedici
anni. Il bīja mantra hrīṁ, chiamato हृल्लेख hṛllekha – letteralmente “solco del cuore”, “rammarico”, ma qui inteso come
“conoscenza proveniente dal cuore” – o māyā
bīja, è la sillaba
“chiave” del mantra पञ्चदशी pañcadaśī, il mantra “madre” della Śrīvidyā[7].
È importante notare come la sillaba seme hrīṁ - o hrī o hriḥ – assume
quindi lo stesso significato – il nome di una dea posta nel cuore – ed ha una
grande rilevanza nelle pratiche di tre tradizioni diverse – giainismo,
buddhismo e tantrismo śakta
– considerate eterodosse dalla tradizione brahmanica.
Procedendo nella descrizione del “Sādhana di Tārā Rossa” potremo
osservare un uso delle sillabe dell’alfabeto – o meglio “abugida” –
sanscrito e una serie di simboli che per noi haṭhayogin sono assai
familiari:
Dalla sillaba hriḥ escono raggi luminosi in forma di corde
e ganci che trasformano tutti gli esseri senzienti nella dea Kurukulle [Kurukullā] io stesso divengo Kurukulle rossa,
la ragazzadi sedici anni con tre occhi, una faccia e quattro mani […]. Sulla
mia fronte compare, simile ad un miraggio, la sillaba Oṁ, sulla gola compare la sillaba Aḥ
e sul cuore la sillaba Hūṁ. Al centro del
cakra del cuore […] un fiore rosso
di utpala[8]il
cui pericarpo è un disco solare giallo su cui compare la sillaba rossa hriḥ. […] Assorbo tutte le divinità in me stesso
pronunciando le sillabe Jaḥ Hūṁ Baṁ Hoḥ. [Dopo le purificazioni e le offerte
entro nello stato di vuoto mentale] Lontano dalle sillabe non esiste suono, né
cakra né mente: questa è la grande beatitudine [recito quindi il mantra di Kuṇḍalinī]:
Oṁ Vajra Amṛta Kuṇḍalī Hāna Hāna Hūṁ Hūṁ Hūṁ Phat Svāhā [9]
[…] Dallo stato di vuoto appare allora la sillaba Yaṁ dalla quale nasce il maṇḍāla blu dell’elemento Aria. Sopra al maṇḍāla dell’Aria dalla sillaba Raṁ nasce il maṇḍāla rosso dell’elemento Fuoco. Dalla sillaba A nasce il disco
lunare. Quindi ad Est la sillaba Go [corrispondente alla carne di vacca];
a Sud la sillaba Ku [carne di cane]; a Ovest la sillaba Da [carne
di cavallo]; a Nord la sillaba Ha [carne di elefante]; al centro la
sillaba Na [carne umana].
Ad Est nasce adesso la sillaba Bhruṁ (escrementi), a Sud la
sillaba Aṁ (sangue), a Ovest la sillaba Jriṁ (sperma), a Nord la
sillaba Khaṁ (parte chiara della
carne), al centro la sillaba Hūṁ (urina).
Per spiegare questo passaggio dobbiamo far
riferimento al Kālacakratantra, una serie di testi e commentari che,
formano, nel loro insieme un dettagliatissimo manuale di yoga e di “fisiologia
sottile”.
La traduzione più attendibile pare sia quella di Raniero
Gnoli e Giacomella Orofino, pubblicata nel 1994 da Adelphi con il titolo “Nāropā, INIZIAZIONE, KĀLACAKRA”:
Si legge a pag. 166 (P27oa) del
libro di Gnoli e Orofino:
Custodirò le cinque ambrosie e l’insieme degli aggregati e dei sensi,
ossia GO KU DA HA NA.
Il verso viene spiegato nella nota
[3] sempre di pag. 166:
Le sillabe GO KU DA HA NA alludono alle cinque specie di carni usate
ritualmente, cioè vacca (GO), cane (KUkkura), cavallo (DAmya), elefante (HAstin)[10], uomo (NAra). Si veda per codici analoghi Snellgrove 1959, vol.I, p. 86;
1987, p. 161. Le cinque carni sono chiamate tecnicamente pradīpa (letteralmente: “lampade”, in senso metaforico “stimolanti […].
Proseguendo nella lettura si scopre – sempre alla nota [3] di
pag. 166 – che:
Le cinque ambrosie
sono escrementi, urina, sangue, seme e carne umana. […] Queste sostanze segrete
erano solitamente confezionate in pillole.
Ciò
significa che, almeno in origine, non si tratta affatto di “offerte
mentali o visualizzazioni”; il consumo
di carne, spesso associato all’assunzione di bevande alcoliche e sostanze
psicotrope è assai comune nei riti tantrici.
Il collegamento delle “cinque ambrosie” con le cinque
direzioni- Ad Est nasce adesso la sillaba Bhruṁ (escrementi) ecc. - va legato
alla fisiologia del Kālacakratantra. Per il sistema Kālacakra nel corpo umano ci sono sei canali fondamentali, tre sopra
l’ombelico (da sinistra a destra: canale della Luna, canale di Rāhu, canale del Sole) e tre sotto l’ombelico (da sinistra a destra: canale
dell’urina, canale delle feci e canale del seme).
Ad Est di nuovo Bhruṁ (“Saggezza dello Specchio”), a Sud la sillaba
La (“Saggezza dell’equanimità”), ad Ovest la sillaba Jriṁ (“Saggezza della discriminazione”), a Nord la
sillaba Khaṁ (“Saggezza della realizzazione”), al centro la sillaba Hruṁ (“Saggezza del Dharmadhātu”[11]). Appare il disco lunare, sulla metà
superiore del quale sono inscritte le sillabe A Ā I Ī U Ū Ṝ Ṛ Ḷ Ḹ E Ai O Au Aṃ Aḥ mentre nella metà inferiore sono inscritte le sillabe Ka Kha Ga Gha
Ṅa Ca Cha Ja Jha Ña Ṭa Ṭha Ḍa Ḍha Ṇa Ta Tha Da Dha Na Pa Pha Ba Bha Ma Ya Ra La Va Śa Ṣa Sa Ha Kṣa.
Nello Spazio sopra al disco lunare appare una Oṁ rovesciata, poi la sillaba Raṁ, poi la sillaba Huṁ. […] Il nettare [amṛta] discende quindi
nella “coppa del cranio” e viene “benedetto” pronunciando tre volte le sillabe Aḥ
Huṁ Ha Ho Hriḥ[12]
A conferma della somiglianza o addirittura dell’identità tra il Sādhana di Tārā Rossa e le pratiche
dello Haṭhayoga le sillabe A Ā I Ī U Ū Ṝ Ṛ Ḷ Ḹ E Ai O Au Aṃ Aḥ Ka
Kha Ga Gha Ṅa Ca Cha Ja Jha Ña Ṭa Ṭha Ḍa Ḍha Ṇa Ta Tha Da Dha Na
Pa Pha Ba Bha Ma Ya Ra La Va Śa Ṣa Sa Ha Kṣa, con l’aggiunta del visarga “ṃ”,
compaiono esattamente nello stesso ordine, nelle pratiche dello Haṭhayoga.
Si tratta infatti delle sillabe inscritte nei cakra tradizionali,
secondo uno schema leggermente diverso da quello dell’alfa-sillabario sanscrito:
Cakra della Gola:
1. अं aṃ
2. आं āṃ
3. इं iṃ
4. ईं īṃ
5. उं uṃ
6. ऊंūṃ
7. ऋं ṛṃ
8. ॠं ṝṃ
9. ऌं ḷṃ
10. ॡं ḹṃ
11. एं eṃ
12. ऐं aiṃ
13. ओं oṃ
14. औं auṃ
15. अँ aṁ
16. अः aḥ
Cakra del cuore:
1. कं kaṃ;
2. खं khaṃ
3. गं gaṃ
4. घं ghaṃ
5. ङं ṅaṃ
6. चं caṃ
7. छं chaṃ
8. जं jaṃ
9. झं jhaṃ
10. ञं ñaṃ
11. टं ṭaṃ
12. ठं ṭhaṃ.
'
Cakra dell’Ombelico:
1.
डं ḍaṃ
2.
ढं ḍhaṃ
3.
णं ṇaṃ
4.
तं taṃ
5.
थं thaṃ
6.
दं daṃ
7.
धं dhaṃ
8.
नं naṃ
9.
पं paṃ
10.
फं phaṃ
Cakra dei Genitali:
1.
बं baṃ
2.
भं bhaṃ
3.
मं maṃ
4.
यं yaṃ
5.
रं raṃ
6.
लं laṃ
Cakra del Perineo:
1.
वं vaṃ
2.
शं śaṃ
3.
षं ṣaṃ
4.
सं ṣaṃ
Cakra della Fronte:
1.
हं haṃ
2.
क्षं kṣaṃ
[1] La terra
di origine di Kurukullā sarebbe il regno di Uḍḍiyāna, la
misteriosa “Terra delle Ḍākinī” situata forse nell’attuale Pakistan
forse in Asia Minore.
[2] Vedi: Szántó Peter-Daniel &
Griffiths Arlo, "Sarvabuddhasamāyogaḍākinījālaśaṃvara". In Brill
Encyclopedia of Buddhism, Vol. I Literature and Languages. Leiden: Brill,
2015.
[3]
N.B. Nella descrizione del sādhana di Tārā
rossa, la cui documentazione si trova in lingua tibetana o in Hybrid
Buddhist Sanskrit, useremo la traslitterazione IAST, ma dobbiamo tener conto
del fatto che i tibetani pronunciano - e scrivono - alcune sillabe in maniera
diversa dagli indiani, per cui, ad esempio, le vocali lunghe ā-ī-ū vengono
spesso pronunciate come se fossero vocali brevi seguite da visarga, ovvero
aḥ-iḥ-uḥ.
[4]
Con
ṁ in questo testo rendiamo il “candrabindu” - खँ ad esempio è traslitterato khaṁ - mentre con ṃ viene traslitterato
il “visarga” – खं
è traslitterato khaṁ. Di solito le sillabe seme inscritte nel pericarpo dei
cakra, a parte ॐ Oṁ,
vengono indicate con il visarga,
ovvero खं khaṃ,
हं haṃ,
यं
yaṃ, रं
raṃ, वं vaṃ
e लं laṃ,
ma secondo noi sarebbe più corretto utilizzare il candrabindu, quindi: खँ
khaṁ, ॐ Oṁ,
हँ haṁ,
यँ yaṁ,
रँ raṁ,
वँ vaṁ e/o
लं laṃ.
[5] O तं taṃ.
[6] “Hrī (ह्री,
"modestia") è il nome di una divinità che risiede nel loto (puṣkara)
nel mezzo del lago Mahāpadma, che si trova in cima alla montagna Mahāhimavat (Mahahimavān). Questa montagna si trova a Jambūdvīpa: il primo
continente del Madhya-loka (mondo centrale), secondo Tattvārthasūtra 3.10 del II secolo.
Jambūdvīpa (dove risiede Hrī) è al centro di tutti i continenti e gli oceani; tutti i
continenti e gli oceani sono cerchi concentrici con Jambūdvīpa al centro. Come l'ombelico è al centro del corpo, Jambūdvīpa è al centro di tutti i
continenti e gli oceani. Il monte Sumeru
si trova al centro di Jambūdvīpa. È
anche chiamato Monte Sudarśana.” Fonte: Encyclopedia of Jainism: Tattvartha Sutra 3:
The Lower and Middle worlds.
[7]
Esistono due diversi pañcadaśī - pañcadaśa significa “quindici” ad indicare il numero di bīja o sillabe
seme di cui è composto – ognuno dei quali con varianti di vario genere, attribuiti
rispettivamente ad अगस्त्य Agastya – uno degli autori degli inni
vedici considerato il fondatore delle arti marziali del Sud dell’India – e alla
sua sposa, la principessa लोपामुद्रा Lopāmudrā.
Mantra
di Agastya:
कएईलह्रीं ka e ī la hrīṃ
हसकहलह्रीं ha sa ka ha la hrīṃ
सकलह्रीं sa ka la hrīṃ.
Mantra di Lopāmudrā:
हसकलह्रीं ha sa ka ha la hrīṃ
हसकहलह्रीं ha sa ka
ha la hrīṃ
सकलह्रीं sa ka la
hrīṃ.
Queste sillabe misteriose potrebbero essere combinazioni delle
iniziali dei nomi delle Ḍākinī – di cui parleremo in seguito - divinità
o semi-divinità collegate agli elementi estremamente importanti sia nel
buddhismo tantrico sia nello Haṭhayoga, chiamate Hākinī, Śākinī, Kākinī, Lākinī, Rākinī, Yākinī, Dākinī.
[8] उत्पल Utpala è il nome di un fiore usato nell'adorazione di Śiva,
secondo 2.1.11: - “[...] offerte di
fiori, specialmente fiori bianchi e fiori rari, devono essere fatte al Signore Śiva. Devono
essere usati fiori di Apāmārga, Karpūra, Jātī, Campaka, Kuśa, Pāṭala, Karavīra,
Mallikā, Kamala e Utpala. Quando l'acqua viene versata, deve essere versata in
un flusso continuo”.
[9]
N.B. sto usando la traslitterazione IAST; bisogna tener conto che la pronuncia
tibetana è leggermente diversa. Il significato del mantra, secondo i miei
istruttori tibetani, dovrebbe essere più o meno “grazie alla discesa dell’Amṛta la dea Kuṇḍalī sopprime (Hāna) e taglia
(Phat) i motivi dell’ignoranza”, ma ciò che pare essenziale è la vibrazione
delle sillabe più che il significato.
[10] DA viene
inteso talvolta con elefante (DAntin) e HA come cavallo (Haya).
[11] Dharmadhātu (धर्मधातु) si riferisce all '"elemento
fondamentale" ed è menzionato come uno dei sinonimi di Dharmatā (il
"dharma-natura" o "vera natura" dei dharma). Di
conseguenza, “i dharma presi individualmente (pṛthak, pratyeka) sono
vuoti. Questi vuoti hanno le loro rispettive modalità (viśeṣa) che sono, tuttavia, Tathatā. Insieme formano un unico
vuoto: il dharmadhātu. [...] Anche questo dharmadhātu stesso è di due tipi: il primo, con una mente
libera da attaccamenti, distingue i dharma in quanto ciascuno ha la propria
natura (svabhāva , prakṛti); il secondo è l'immenso
dharma (apramāṇadharma), cioè la vera
natura dei dharma (dharmatā) ”.
Fonte: Mahāprajñāpāramitāśāstra capitolo XLIX.
[12]Hriḥ, come abbiamo già detto, è la
dizione in tibetano di Hrī.
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