Esistono tre diverse modalità di meditare:
- con gli occhi chiusi;
- con gli occhi socchiusi;
- con gli occhi aperti.
Così come esistono tre diverse modalità di recitare i mantra:
- recitati o cantati;
- bofonchiati;
- silenziosi.
Queste diverse modalità corrispondono a tre diversi livelli di profondità o pratica:
1. Livello basso (occhi chiusi e mantra recitato o cantato);
2. Livello medio (occhi socchiusi e mantra bofonchiato);
3. Livello avanzato (occhi aperti e mantra silenzioso).
Questo almeno è ciò che mi hanno insegnato, ma qualche anno fa ho scoperto, con sorpresa devo dire, che in molte scuole di Yoga si insegna a meditare esclusivamente con gli occhi chiusi.
Fermo restando che ognuno debba praticare come meglio gli aggrada, esistono, nello yoga come in ogni altra attività umana, dei "fondamentali", delle istruzioni di base che vengono impartite al primo incontro o alla prima lezione.1. La punta del naso;
2. La radice del naso;
3. Il punto tra le sopracciglia;
4. Il centro della fronte;
5. Il sincipite (Śāmbhavī mudrā).
A volte lo sguardo viene tenuto fisso sulle mani atteggiate in particolari mudrā, altre contemporaneamente all'esterno e all'interno, ma difficilmente un maestro tradizionale chiederà al praticante di chiudere gli occhi durante la pratica di meditazione.
Al fine di una pratica efficace gli occhi "dovrebbero" essere aperti o socchiusi sia per una serie di motivi fisici (che qui non mi sembra il caso di approfondire) sia per evitare che la mente venga distratta dagli oggetti interni ovvero i frutti dell'immaginazione che insorgono spesso ad occhi chiusi.
Di fatto ad un allievo che vuole iniziare a meditare, nelle tecniche taoiste, nello zen, nel buddhismo tibetano, nello haṭḥayoga, si suggerisce di tenere gli occhi aperti o socchiusi .
Perché da noi si insegna quasi sempre a meditare ad occhi chiusi?
Francamente non ne ho idea.
"Se ti fermi allo stato di samatha. non vedrai mai sbocciare il fiore di Vipassana"
Samatha dovrebbe essere lo stato in cui ha inizio la vera pratica, una condizione di quiete che dovrebbe preludere alla pratica autentica.
Samatha, che potremmo tradurre come "dimorare nella tranquillità" nel buddhismo dovrebbe essere la condizione preliminare della meditazione, il cui scopo finale è la visione della realtà autentica, identificata con il vuoto.
è come se un alpinista, una volta acquistati Imbrago, corda, ramponi, picozza e moschettoni passasse il tempo ad ammirarli e lucidarli senza mai avventurarsi in montagna.
Probabilmente ne trarrebbe un qualche piacere, ma di certo non proverebbe mai la gioia incommensurabile di ritrovarsi sulla cima della montagna.
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