Pare desueto, l'amore, di questi tempi. Due che si amano e vivono per farsi felici l'un l'altro, non fanno notizia. La paura si vende meglio, e se non se ne ha abbastanza ci ficchiamo sotto le coperte, ad occhi chiusi, nella speranza di scorgere le streghe, i fantasmi ei draghi perduti tanti anni fa, nell'oscurità senza tempo di una sera d'inverno.
A volte, fuggiamo invece nella luce del sole, dove la Ragione, unica maestà, ci inebria di certezze, si, ma non dà gioia, Rassicura, certo, dà conforto, ma le sue mirabili architetture, prima o poi, lo sappiamo bene, perdono fascino, si inaridiscono.
Raro che amore si accompagni alla paura e la luce, accecante, della ragione non gli dona: preferisce la penombra, il pastello del tramonto o la notte stellata.
Malcolm Bilotta, mi aveva organizzatouno stage residenziale alle Querciole di Borgotaro, il casale sulle colline intorno a Parma dove teniamo ancora oggi i nostri ritiri di Yoga.
“Śiva Śakti: ricreazione rituale dello Spazio”, così si chiamava lo stage. Era la prima volta che mettevo piede alle Querciole; quando entrai nella sala di meditazione, un sala bellissima, di pietra e legno con finestre alte fine al soffitto che davano sul bosco, gli altri, 24, 25 persone, erano già seduti sui tappetini. Oltre a Malcolm e a sua moglie, Petulia, c’erano i miei amici/fratelli di sempre: Fabio Cozzi, Gianni Bencista (GB), Andrea Pagano, Sandro Nalin , Onofrio Amendola, Riccardo Cassian Ingoni, Marco Rotonda…Riconobbi degli allievi di Malcolm e dei praticanti di Yoga che avevano partecipato, qualche settimana, prima ad una mia conferenza.
C’era
anche una ragazzina - almeno sembrava una ragazzina - con i capelli lisci, a caschetto, Era Laura Nalin, la sorella di Sandro. Giuro che pensai, appena la vidi - “Ma perché si è lisciata i capelli? Crede forse di piacermi di più?”
– Assurdo! Non ricordavo di averla mai vista prima di allora, né avevo mai sentito parlare
di lei.
Laura
era appena tornata dal Brasile, mi disse Sandro, ed era una maestra di Yoga. L’ultima
cosa che aveva fatto prima di tornare in Europa (ma lo venni a sapere solo dopo
qualche tempo) era stata quella di lisciarsi i ricci come fanno le brasiliane
per addomesticare i capelli troppo crespi.
Ci mettemmo a meditare a coppie, un esercizio semplice che mi
aveva insegnato Jinpa Lobsang: si tratta di cercare il proprio volto e il proprio
sguardo negli occhi del partner. Gli effetti della pratica che feci con Laura
furono devastanti. Rimasi per tutto il week end in uno stato di alterazione
percettiva: le mani vibravano, i suoni e colori erano così vivi e presenti che
pareva di toccarli, e la pelle sembrava così sottile che avevo paura si
sciogliesse da un momento all’altro.
Ricordo che Laura si mise a piangere, a un certo punto, senza motivo ed io le leccai le lacrime - “È acqua di Vita” - le dissi. Assurdo vero? E la cosa ancora più assurda è che ci sembrò assolutamente naturale. Anzi, lo era.
Ricordo anche che ci baciammo, quel giorno d'autunno del 2010. Non raccontammo a nessuno quello che ci era successo. Non ne parlammo nemmeno tra di noi. Eravamo sposati tutti e due e l’idea di mandare a monte due matrimoni non ci sfiorava neppure.
Cominciammo
a vederci un paio di volte l’anno, insieme agli altri del Gruppo Vedanta. Bastava
un sguardo, un abbraccio e, subito, ci immergevamo in una dimensione “altra”.
Ci scrivevamo spesso, lunghe lettere grondanti di filosofia indiana, simboli
esoterici e sogni lucidi. Lei firmava sempre: "Con Amore L." con "L" che stava sia per Laura, sia per Loto, il suo nick name, io la chiamavo "Giovane Dea". A volte, bastava una parola, una frase letta a voce
alta e quella roba che non avevamo il coraggio di chiamare amore, faceva il suo ingresso, ospite inatteso, nelle nostre vite.
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