Cosa è lo Haṭḥayoga?
Molti praticanti, più di quanti pensassi fino a poco tempo fa, credono che lo Haṭḥayoga sia uno "Yoga ginnico" in cui si sta fermi in certe posizioni, a differenza del vinyāsa in cui si passa fluidamente da una posizione all'altra. Una disciplina fisica insomma, abbastanza statica, che viene collegata alle religiosità hindu e alla spiritualità new age .
Fino ad una cinquantina di anni fa, quando ho cominciato a fare yoga, si considerava invece lo Haṭḥayoga come una pratica alchemica finalizzata ad ottenere dei poteri psichici in seguito ad un'esperienza che chiamavamo "apertura del Terzo Occhio".
Ogni āsana era (è...) anche e soprattutto un rito, e non solo un esercizio per sciogliere le articolazione e rilassare i muscoli.
La foto che accompagna questo post ( l'autrice è Jacqueline Hargreaves) ritrae un'affresco del XVIII secolo in cui si vede uno Haṭḥayogin impegnato nella pratica di paścimottānāsana così come viene descritta in un testo Nāth, il Jogapradīpyakā:.
Lo scopo di paścimottānāsana non è quello di allungare i muscoli della schiena e delle gambe, ma, secondo Jogapradīpyakā quello di "bloccare la circolazione nel canale del Sole e della Luna per far discendere il seme attraverso il canale centrale" ed aprire il Terzo Occhio".
Stravagante, vero?
Ma cosa è per i Nāth il “Terzo Occhio”?
La
ghiandola Pineale?
La
Pituitaria?
Il
“Corpo Calloso”?
Il
controllo dei “Soffi Vitali”?
Probabilmente, al di là delle “sciocchezze
blavatskyane e post blavatskyane” di cui parlava Agehananda Bharati, non si
tratta di un organo fisico – o almeno non solo di un organo fisico – ma di una
condizione del corpo umano raggiungibile attraverso la pratica alchemica
definita Haṭḥayoga.
Lo Haṭḥayoga,
così come il Qi Gong Nei dan che probabilmente dallo Haṭḥayoga deriva
– è una pratica di Alchimia Interiore finalizzata alla
modificazione di processi naturali del corpo e all’utilizzazione di una o più
sostanze chiamate “Amṛta” o “Soma”: queste sostanze
vengono prima accumulate nel corpo e poi utilizzate per ottenere il
ringiovanimento, l’aumento della vitalità e della resistenza alle malattie ed
in genere uno stato di costante beatitudine - Ānanda – che allontana l’essere umano dalla
sua innata ansia di incompiutezza. La percezione e l’utilizzazione di Amṛta,
secondo gli yogin medioevali, è accompagnata dall’insorgere di
particolari abilità fisiche e psichiche – siddhi – come l’acquisizione
di una forza sovrumana, la capacità di comprendere e parlare tutte le lingue, o
il potere di attrarre sessualmente ogni persona dell’altro sesso. Queste “abilità”,
che nella nostra epoca vengono considerate suggestioni da film di fantascienza,
per gli autori indiani di epoca medioevale e moderna – dall’XI al XVIII secolo
- erano i frutti ordinari della pratica dello Haṭḥayoga; si legge ad esempio nel Gorakṣa Paddhati (X-XI secolo):
(G.P.
2.48) “Se la lingua [di uno yogin] tocca costantemente l'apice dell'ugola,
provocando il flusso di un succo [Amṛta} che [può avere] sapore salato,
caldo o acido e (può essere simile al] latte,
miele o burro chiarificato [avrà luogo] la scomparsa delle malattie,
l'annientamento della vecchiaia, la recitazione [spontanea] degli śāstra e
degli agama [ovvero i testi di insegnamento tradizionali], l'immortalità
connessa con le otto [siddhi], e si attrarranno irresistibilmente le “donne
perfette.”[1]
Il
Gorakṣa Paddhati non è un
caso isolato: dal IX al XVII secolo vengono scritti e diffusi decine di manuali
di Haṭḥayoga,-sia hindu sia buddhisti, in cui si descrivono
i processi di produzione e utilizzazione dell’Amṛta
e la conseguente acquisizione di poteri psichici quali “normali” conseguenze
del percorso yogico. Ciò, ovviamente, non significa che gli eventi straordinari
promessi o descritti da quei testi corrispondano alla realtà, e in un’epoca
come la nostra affollata da falsi maghi e prestigiatori mascherati da guru, è
lecito sospettare che quello del “Terzo Occhio” – e dei poteri che
deriverebbero dalla sua “apertura” - sia un mito o una favola da raccontare
nelle sere d’inverno, né più né meno di certe miracolose guarigioni e
trasformazioni che riempivano le cronache dell’Europa medioevale.
L’unica
possibilità per sciogliere i dubbi, secondo noi, sarebbe quella di verificare
personalmente gli effetti delle pratiche descritte negli antichi testi di Haṭḥayoga.
[1] Testo in sanscrito: चुम्बन्ती यदि लम्बिकाग्रमनिशं जिह्वा रसस्यन्दिनी
सक्षारं कटुकाम्लदुग्धसदृशं मध्वाज्यतुल्यं तथा |
व्याधीनां हरणं जरान्तकरणं शास्त्रागमोद्गीरणं
तस्य स्यादमरत्वमष्टगुणितं सिद्धाङ्गनाकर्षणम् || ४८ ||
cumbantī yadi lambikāgram aniśaṃ
jihvā rasa-syandinī
sa-kṣāraṃ
kaṭukāmla-dugdha-sadṛśaṃ madhv-ājya-tulyaṃ tathā |
vyādhīnāṃ haraṇaṃ jarānta-karaṇaṃ śāstrāgamodgīraṇaṃ
tasya syād amaratvam aṣṭa-guṇitaṃ siddhāṅganākarṣaṇam || 2.48 ||
Traduzione letterale:
cumbantī :
toccato, baciato;
yadi: se;
lambika: palato/ugola;
agram: l'estremità, la
"punta";
aniśam :
costantemente, senza fine;
jihvā: la lingua;
rasa: succo, estratto,
elisir;
syandinī: Flusso;
kṣāram: salato;
kaṭukāmla-dugdha-sadṛśam : simile
a caldo o acido (gusto o latte paragonabile a…;
madhu: miele;
ājya: burro chiarificato;
tulyam: come;
tathā :
allo stesso modo;
vyādhīnām : (le
sue) malattie
haraṇam: scomparsa, distruzione;
jara: vecchiaia;
antakaraṇam: l'annientamento, processo che pone fine;
śāstra: scritture
tradizionali;
agama: manuali tantrici,
a volte i veda;
udgīraṇam: il racconto, la recitazione;
tasya: questo;
syāt: è (concesso);
amaratvam :
immortalità, divinità;
aṣṭa: otto;
guṇitam: connesso con;
siddhāṅgana: donna perfetta, femmina perfetta;
akarṣaṇam: l'attrazione irresistibile;
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