Le
origini dello haṭḥayo
Le
notizie che abbiamo oggi sui gymnosophisti indiani provengono principalmente
dal dialogo tra Alessandro e dieci gimnosofisti, accusati di aver organizzato
la resistenza contro l’esercito macedone nella zona di Taxil[5] (Takṣaśilā तक्षशिला, in
sanscrito). Alessandro aveva dichiarato di voler condannare a morte il primo di
costoro che non avesse risposto correttamente alle sue domande, secondo il
giudizio del più anziano tra loro.
Scrive
Plutarco (“Vita di Alessandro”, 64, 2-12):
“Al primo fu chiesto se a suo giudizio erano più
numerosi i vivi o i morti; rispose:
«I vivi, perché i morti non
ci sono più».
Al secondo fu chiesto se dà vita ad animali
più grossi il mare o la terra; rispose:
«La terra, perché anche il
mare è parte d’essa».
Chiese al terzo qual è
l’animale più astuto. Rispose:
«Quel che l’uomo non ha
ancora conosciuto».
Al quarto chiese per quale
ragione avesse indotto Sabba alla rivolta; rispose:
«Perché volevo che vivesse
nobilmente o nobilmente morisse».
Al quinto fu chiesto se
pensava che fosse stato prima il giorno o la notte:
«Il giorno» disse «e precede d’un giorno [la
notte]».
Il re rimase stupito, ed
egli aggiunse:
«È logico che per domande
impossibili ci siano risposte impossibili».
Passato al sesto, Alessandro
chiese come uno possa farsi amare in sommo grado:
«Se è potentissimo, ma non
ispira timore», disse.
Tra gli ultimi tre, quello
interrogato su come uno da uomo potrebbe diventare dio, rispose:
«Se fa quanto non è
possibile che un uomo faccia»
All’altro fu chiesto se è
più forte la vita o la morte; rispose che la vita è più forte, perché sa
sopportare così grandi mali; l’ultimo poi, cui chiese fin quando è bene che
l’uomo viva, rispose:
«Fino a quando non ritiene
che l’essere morto sia meglio del vivere». […]”
Alla fine, affascinato dall’arguzia dei dieci
filosofi Alessandro li “congedò con ricchi doni e concesse loro salva la
vita”. Della delegazione dei gymnosophisti faceva parte anche il
saggio Calano (Kalyana) che decise di seguire il giovane conquistatore assumendo
la carica di consigliere militare.
Plutarco descrive dettagliatamente le
successive imprese e la morte eroica del saggio Kalyana (che all’epoca
dell’incontro aveva 73 anni): un giorno, resosi conto che il peggiorare delle
sue condizioni fisiche non gli avrebbe permesso di continuare a servire
Alessandro nel migliore dei modi, fece preparare una gigantesca pira al centro
dell’accampamento, regalò il suo cavallo ad un ufficiale macedone e si gettò,
in silenzio, nel rogo. Le esequie furono degne di un re, con i soldati macedoni
schierati lancia in resta e gli elefanti da guerra che barrivano tutti insieme,
quasi volessero rendere, anche loro, un estremo omaggio allo yogin di Taxila[6].
Se
i gymnosophisti di Taxila fossero gli antenati dei moderni haṭḥayogin,
ipotesi tutt’altro che remota, i racconti del loro “duello
filosofico” con Alessandro, delle gesta e della morte gloriosa di Calano potrebbero
mettere in crisi molte delle attuali credenze sullo Yoga e sulla filosofia
indiana.
La
prima credenza che viene messa in discussione dai gymnosophisti di
Alessandro è quella relativa alla non violenza, ahiṃsā (अहिंसा).
In
tutte, o quasi, le scuole di Yoga moderne, è considerato di fondamentale
importanza l’insegnamento – e la pratica - degli yama (यम) – i cosiddetti “cinque no” - ovvero “le cose da evitare
nelle relazioni con gli altri” e dei niyama (नियम) – i cosiddetti “cinque si” - ovvero “le cose da praticare
per migliorare la relazione con noi stessi”.
Yama –
letteralmente “autocontrollo” – e niyama – “restrizione; regolamento; legame”
– sono i primi due “passi dello aṣṭānga yoga di Patañjali,
e vengono descritti in Yoga Sūtra 2.30, 2.32:
अहिंसासत्यास्तेय ब्रह्मचर्यापरिग्रहाः यमाः ॥३०॥
Ahiṁsā-satya-asteya brahmacarya-aparigrahāḥ yamāḥ ॥30॥
शौच संतोष तपः स्वाध्यायेश्वरप्रणिधानानि नियमाः ॥३२॥
Śauca
saṁtoṣa tapaḥ svādhyāy-eśvarapraṇidhānāni niyamāḥ ॥32॥
I
versetti sono chiari anche per chi non conosce il sanscrito; Patañjali
scrive che i cinque yama[7]
sono:
1.
Ahiṃsā (non
violenza);
2.
Satya (verità, veridicità);
3.
Asteya (non rubare);
4.
Brahmacarya (continenza, astinenza sessuale);
5.
Aparigraha (non possessività, non avidità).
Mentre
i cinque niyama[8] sono:
1.
Śauca (purificazione);
2.
Saṁtoṣa (soddisfazione, tendenza ad accontentarsi);
3.
Tapas (austerità);
4.
Svādhyāya (studio e recitazione
delle scritture “per sé stessi”, talvolta inteso come “studio del Sé”);
5.
Īśvara praṇidhāna (devozione, abbandono al
“Signore”).
Come
è possibile, viene da chiedersi, conciliare l’insegnamento della non violenza -
ahiṃsā -
con il comportamento dei gymnosophisti?
Non solo i dieci filosofi hanno organizzato la rivolta militare contro i
macedoni ma alla domanda “Per quale ragione hai indotto Sabba alla rivolta?”
il quarto filosofo risponde:
“Perché volevo che vivesse nobilmente o nobilmente
morisse».
Prendere
le armi, per uccidere o essere uccisi, per i gymnosophisti è quindi cosa
buona e giusta, tanto è vero che l’anziano Calano seguirà le truppe macedoni e
arriverà a togliersi la vita nel momento in cui prende coscienza del fatto “che
il peggiorare delle sue condizioni fisiche non gli avrebbe permesso di
continuare a servire Alessandro nel migliore dei modi”,
Un’altra
indicazione interessante sulla filosofia dei gymnosophisti proviene dalla
prima risposta fornita ad Alessandro:
“Al primo [gymnosophista] fu chiesto se a suo giudizio
erano più numerosi i vivi o i morti; rispose:
«I vivi, perché i morti non ci sono più».”
Anche se l’affermazione “I vivi [sono più numerosi
dei morti], perché i morti non ci sono più” potrebbe essere oggetto di varie sfumature
interpretative, sembra di capire che i gymnosophisti non credessero né nella
vita oltre la morte né nell’immortalità dell’anima, punti fondamentali del Sanātanadharma (सनातनधर्म)[9], la “filosofia perenne”
nel cui ambito - ci hanno insegnato - si sarebbe sviluppato lo Yoga.
In altre parole: se accettiamo come valida l’ipotesi
che “lo haṭḥayoga, inteso come disciplina psicofisica basata su un insieme
di pratiche posturali e pratiche meditative, prenda le mosse dalla tradizione
dei gymnosophisti indiani del IV secolo a.C.” dovremo anche considerare la
possibilità che lo haṭḥayoga si sia sviluppato al di fuori dell’ortodossia
brahmanica, ovvero delle scuole filosofiche che riconoscono l’autorità dei
Veda.
[1] Vedi: L.
Cracco Ruggini, L’Epitoma Rerum Gestarum Alexandri Magni e il Liber de Morte
Testamentoque eius, “Athenaeum” 39 (1961), pp. 285-357, Ead., Sulla
cristianizzazione della cultura pagana: il mito greco e latino di Alessandro
dall’età antonina al medioevo, “Athenaeum” 43 (1965), pp. 3-80, il Talmud
(babilonese) Tamid 31b-32a, e vari contributi in R.B. Finazzi - A. Valvo (a
cura di), La diffusione dell’eredità classica nell’età tardoantica e
medievale. Il Romanzo di Alessandro e altri scritti, Alessandria 1998.
[2] I
Digambara (दिगंबर), letteralmente “vestiti d’aria”, sono una
delle due principali scuole Jaina. Si distinguevano dagli Śvetāmbara (श्वेताम्बर) -vestiti
di bianco – per la loro abitudine a praticare completamente nudi.
[3] Vedi: F. Pfister, Das Nachleben der Überlieferung von
Alexander und den Brahmanen, “Hermes” 76 (1941), pp. 143-169; R.C. Majumdar,
The Classical Accounts of India, Calcutta 1960, rist. 1981, pp. 425-448; I.
Dziech, De Graecis Brahmanum aestimatoribus, “Eos” 44 (1951), pp. 5-16; W.H.
Willis - K. Maresh, The Encounter of Alexander with the Brahmans: New
Fragments of the Cynic Diatribe P. Genev. inv. 271, “Zeitschrift für
Papyrologie und Epigraphik” 74 (1988), pp.59-83.
[4] Vedi: L. Skurzak, Études sur les fragments de
Mégasthène. Bracmavna~-Sarmavna~, “Eos” 47 (1956), pp.95-100, citato in “Il
colloquio fra Alessandro Magno e i Gimnosofisti: analisi e prospettive” di
Cristiano Dognini, http://fimim.altervista.org/ASIM-1_QuSIM.14.Dognini.2a.pdf
[5] Taxila,
sede di una delle più importanti Università buddhiste dell’antichità, era il
principale centro economico e culturale del Regno di
Gandhāra.
[6] Fonti: Fonti:
-
Diodoro Siculo, Bibliotheca historica.
-
Flavio Arriano, Anabasi di Alessandro.
-
Plutarco, Vite
Parallele: Alessandro.
-
Quinto Curzio Rufo, Storie di Alessandro Magno.
[7] Secondo la Varāha Upaniṣad (quinta sezione)
gli yama sono dieci anziché cinque:
- Ahiṃsā (non
violenza);
- Satya (verità);
- Asteya (non
rubare);
- Brahmacarya (Continenza,
astinenza, fedeltà al partner);
- Kṣamā (perdono);
- Dhṛti (forza);
- Dayā (compassione);
- Ārjava (non
ipocrisia, sincerità);
- Mitahāra (dieta
misurata);
- Śauca (purezza,
pulizia).
[8] Secondo la Varāha-upaniṣad (quinta sezione) i niyama sono
dieci:
- Tapas (penitenza austerità);
- Santoṣa (contentezza,
accettazione degli altri e di sé, gioia);
- Āstika (riconoscimento dell’autorità
dei Veda);
- Dāna (generosità, carità,
condivisione con gli altri);
- Varapūjana (adorazione del
“Signore”);
- Siddhāntaśrāvaṇa (ascolto delle antiche
scritture, testi su etica, valori e principi);
- Hrī (rimorso e
accettazione del proprio passato, modestia, umiltà);
- Mati (pensare e riflettere
per comprendere, riconciliare idee contrastanti);
- Japa (ripetizione di
mantra, recitazione di preghiere o conoscenza);
- Vrata (mantenimento delle promesse, rituali veloci,
osservazione del pellegrinaggio e yajña).
[9] “Legge eterna”, reso talvolta in occidente con “filosofia perenne”.
Rappresenta l’insieme di culti e concezioni filosofiche che definiamo induismo.
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