ॐ नमः शिवाय - oṃ namaḥ śivāya
Ogni simbolo, mantra o sequenza tradizionale si rivolge a quattro diversi piani coscienziali definiti nella filosofia e nella teologia occidentale Letterale, Allegorico, Morale e Anagogico.
Il piano letterale è quello della comprensione, per esempio, delle singole parole i un mantra e di una scrittura, del riconoscimento dei simboli e della giusta maniera di assumere una posizione.
Si tratta di quella che potremmo definire conoscenza eruditiva.
Nel caso dello śiva pañcākṣara (il mantra delle cinque sillabe, OṂ NAMAḤ ŚIVĀYA) la comprensione letterale consisterà, ad esempio, nella conoscenza della giusta pronuncia (OMNG NAMÀHA SCIVÀ YA) e nella traduzione, appunto, letterale, che in questo caso potrebbe essere “Io rendo omaggio al/saluto/invoco il Benefico (Śiva)”.
Andando avanti, sul piano “Letterale” posso raccontare ai discenti che il mantra compare per la prima volta nello Yajurveda (TS 4.5.8.1), in un inno dedicato a रुद्र rudra, il “Terribile”, nella forma:
नमः शिवाय च शिवतराय च
namaḥ śivāya ca śivatarāya ca
Il piano Letterale è il piano della riflessione intellettuale, della logica razionale e della conoscenza eruditiva.
Il piano Allegorico è quello dell’intuizione, il docente dovrà dare la chiave per interpretare il mantra secondo la “simbolica” hindu, introducendo i discenti nella dimensione, paragonato al sogno o alla fiaba, in cui niente è come sembra e ogni lettera, gesto o posizione ha un significato nascosto, legato per lo più alle leggi naturali.
Così verrà spiegato al discente che:
1. NA è il suono della Terra.
2. MA è il suono dell’Acqua.
3. ŚI il suono del Fuoco.
4. VĀ il suono dell’Aria.
5. YA il suono dello Spazio.
Ogni suono verrà collegato ad uno dei cinque sensi, una delle cinque azioni fondamentali, uno dei cinque elementi sottili ecc.:
1. NA è legato all’Olfatto, al Naso, alla Defecazione, all’Ano e all’Odore
2. MA è legato al Gusto, alla Lingua, alla Generazione, agli Organi Sessuali e al Sapore.
3. ŚI è legato alla Vista, all’Occhio, al Movimento, al Piede e alla Luce.
4. VĀ è legato al Tatto, alla Pelle, all’Afferrare, alla Mano, alla Tangibilità.
5. YA è legato all’Udito, all’Orecchio, all’Esprimere, alla Gola, al Suono.
Il piano Allegorico è il piano della rivelazione, in cui il discente deve prendere coscienza della valenza operativa, cioè trasformativa, dei simboli e delle tecniche.
Il piano Morale è quello della comprensione reale delle leggi fondamentali della manifestazione.
Qui il docente metterà in relazione i nomi, i simboli e le tecniche con i principi religiosi e filosofici, innescando la meditazione e mettendo in contatto il discente con le parti più profonde del suo inconscio.
Su questo piano l’apparente differenza tra tecniche, concetti e credenze scomparirà lasciando il posto ad una comprensione unitaria.
Il Docente rivelerà al discente, ad esempio, che le cinque sillabe sono la rappresentazione grossolana dei cinque poteri della manifestazione e che coincidono con i gesti delle statue e delle posture yoga.
1. NA rappresenta il potere dell'assorbimento o distruzione, manifestato, nelle statue nella mano posteriore sinistra che regge il fuoco
2. MA rappresenta il potere del velamento manifestato nel passo del piede destro che schiaccia la testa del "nano dell'ignoranza)
3. ŚI è il potere della creazione manifestato nella mano posteriore destra che regge e suona il tamburello.
4. VĀ è la grazia dello svelamento manifestata nel movimento del piede sinistro, sospeso a metà tra cielo e terra.
5. YA è il potere della protezione/mantenimento indicato dalla mano anteriore destra nell'atto di assumere la mudrā chiamato अभय मुद्रा abhaya mudrā, la mudrā che allontana la paura.
Nelle posture invece:
1. NA rappresenta i piedi dello yogin.
2. MA rappresenta il suo ombelico.
3. ŚI rappresenta le spalle.
4. VĀ rappresenta la bocca.
5. YA rappresenta la “Fontanella posteriore”, il “Sincipite”.
Meditando sui cinque poteri della manifestazione (creazione, distruzione, mantenimento, velamento, grazia) e sulle loro corrispondenze nella realtà grossolana può accadere che i pensieri comincino a girare da soli fino a farmi perdere il concetto dell'individualità e il desiderio del voler conoscere/comprendere. La mente del discente a questo punto si può identificare completamente nel mantra ॐ नमः शिवाय - OṂ NAMAḤ ŚIVĀYA - che “rimane” come seme della meditazione.
Il piano Morale è il piano della Meditazione, ovvero del “momentaneo” annichilimento dell’individualità dovuto alla realizzazione, magari per un istante, della sostanziale identità tra macrocosmo e microcosmo.
Infine vi è il piano Anagogico nel quale il docente non ha nessuna possibilità di intervento diretto, e la parola, il simbolo o la posizione non hanno alcuna rilevanza.
Il piano Anagogico è il piano della Contemplazione, nel quale il praticante, realizzata l’identità sostanziale tra microcosmo e macrocosmo, si svela a sé come Testimone nell’atto di contemplare se stesso.
[1] Samādhi, talvolta usato come sinonimo di dhyāna o jhāna nel buddhismo è l’esperienza che apre le porte a prajñā, la condizione di conoscenza intuitiva che permette, a sua volta, di accedere alla bodhi, o Risveglio spirituale. Il Canone Pāli descrive otto stati progressivi di jhāna: quattro meditazioni con forma (rūpa) e quattro meditazioni senza forma (arūpa jhāna). Una nona forma è Nirodha-Samapatti. Come vedremo sia i termini che gli insegnamenti ad essi relativi, sono simili o identici a quelli che incontriamo in questo testo.Secondo molti commentatori, i quattro rupa jhana sono un contributo originale del Buddha, ovvero non appartenente alla tradizione vedica. Gli arupa jhana invece erano incorporati nelle tradizioni ascetiche non buddiste.
[2] Samāpatti, termine usato in atharva-veda-prātiśākhya con il significato di “assumere la forma originale”, è considerato solitamente un sinonimo di samadhi. Nel buddhismo si opera invece una distinzione tra i due termini con samadhi che viene inteso come “meditazione che conduce all’identità della mente con un oggetto” e samāpatti che indica invece “la realizzazione, l’estasi”.
[3] Saṁskāra letteralmente significa “mettere insieme correttamente, formare nel modo corretto, rendere perfetto”, ma si usa anche nel senso di “realizzazione, abbellimento, ornamento, purificazione, pulizia, preparazione del cibo, estrazione e raffinazione dei metalli, lucidatura di gemme preziose, allevamento di animali” (vedi Mahābhārata), ma per estensione semantica va ad indicare anche “i sacramenti, le iniziazioni e le cerimonie di purificazione” (vedi manu-smṛti e Mahābhārata). Nella filosofia indiana saṁskāra indica “la facoltà della memoria, il ricordo, l'impressione mentale di atti compiuti nel passato in un precedente stato di esistenza”. Nel buddismo i saṁskāra sono le impressioni lasciate del karma passato che causano i fenomeni presenti. Sono in pratica i “semi dell’esistenza individuale” in quanto formerebbero formano la cosiddetta “coscienza deposito (ālayavijñāna) in cui si accumulano le tracce delle azioni passate. Ciò che facciamo nel presente non sarebbe altro che un riportare alla coscienza, rendendoli “attivi”, i saṁskāra giacenti nell’ ālayavijñāna. Nel Nyāya e nel Vaiśeṣika saṁskāra viene definito come “disposizione latente”, e viene suddiviso in tre tipi: inerzia, elasticità e traccia psichica (bhāvanā). “L’inerzia spiega la continuità del moto di una sostanza in una determinata direzione, mentre l’elasticità è la tendenza di certi oggetti, come il ramo di un albero, a riprendere autonomamente la posizione originale quando la sollecitazione esterna viene meno. La traccia psichica è la disposizione attitudinale degli individui, una qualità inerente al sé (ātman), che è prodotta da esperienze singole o abitudinarie ed è anche un elemento cardine del meccanismo della memoria”.
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