Quando
parliamo di sessualità sacra o di “tantrismo sessuale”, il nostro pensiero vola
subito a misteriosi templi hindu affollati da esotiche danzatrici dalle vesti,
poche, multicolori, o ascose grotte dell’Himalaya con giovani scarmigliate,
snelle e sensuali che abbracciano teneramente guru baffuti col sorriso buddhico
d’ordinanza.
Mai
e poi mai ci verrebbe in mente di associare i riti sessuali ai padri della
chiesa cristiana o addirittura al misogino, si dice, san Paolo.
Eppure
almeno fino al quarto secolo o addirittura – secondo le pochissime fonti
rintracciabili sull'argomento – fino all'XI secolo esisteva una corrente tra
virgolette “tantrica” interna al movimento cristiano.
A
portare la sessualità sacra cristiana in occidente pare sia stato Simon mago, detto
Faustus[1]
che visse a Roma ai tempi di Claudio e Nerone e che, proprio per abitudine,
sua e dei suoi discepoli, di praticare riti sessuali, verrà accusato di
oscenità da Ireneo di Lione ed Epifanio di Salamina.
La
favolistica cristiana ci descrive Simone come un mago di successo, una specie
di Uri Geller del primo secolo, che stupiva le folle trasfigurandosi a comando
– si dice fosse capace di assumere i tratti fisici di qualunque essere umano –
e levandosi in volo come i fachiri indiani.
Secondo le fonti cristiane, si sarebbe innamorato della dottrina
di Gesù e avrebbe chiesto il battesimo all’apostolo Filippo, dopo di ché
avrebbe chiesto a Cefa – Pietro – di comprare il potere di infondere la grazia
di Dio attraverso l’imposizione delle mani, facendo infuriare l’apostolo che se
la legò al dito.
Un
giorno a Roma, mentre Simone svolazzava suscitando grida di ammirazione tra i
molti presenti, Cefa si sarebbe inginocchiato e avrebbe pregato il Signore di
farlo cadere, senza fargli troppo male: “spezzagli solo la gamba in tre punti”,
avrebbe chiesto il sant'uomo.
Simone
cadde e poi se ne persero le tracce. Alcuni dicono che sia stato lapidato per
le strade di Roma, altri che sarebbe morto in un sepolcro in cui si era fatto
seppellire per mostrare che anche lui poteva resuscitare come il Cristo, ma di
fatto non si sa né quando né dove sia morto.
La
storia cristiana è divertente, ma pare che sia falsa come il suono di una
campana di latta.
Innanzitutto Simone era un samaritano discepolo di Giovanni Battista, per cui difficilmente
avrebbe chiesto di essere battezzato da uno dei dodici, e in secondo luogo
veniva riconosciuto e riconosceva se stesso come “Potenza di Dio”; nel
senso che era convinto di essere “il Signore” per cui non avrebbe mai cercato
di comprare da altri un potere che pensava sgorgasse da lui.
Ma
veniamo ai riti sessuali.
Simone
andava in giro con una certa Elena di Tiro, che gli gnostici tradizionalmente
descrivono come una donna bellissima e sensuale con i lunghi capelli biondo rossicci
che le incorniciavano i lineamenti perfetti, assai simile alla Maddalena
tramandata dalla pittura rinascimentale.
Simone
l’aveva riscattata in un bordello siriano, perché l’aveva riconosciuta come
incarnazione di Elena di Troia, considerata a sua volta dallo gnosticismo
ellenistico incarnazione dell’Ennoia.
Per
capire di cosa si sta parlando leggiamo un passo degli Atti degli Apostoli
(VIII-9,10) in cui viene descritto Simone:
“In quel tempo vi era un tale, di
nome Simone, che già da tempo esercitava le arti magiche, e faceva stupire la
gente di Samaria, spacciandosi per un qualcosa di grande.
Tutti, dal più grande al più
piccolo, lo ascoltavano, dicendo: Questi è la Potenza di Dio, quella che è
chiamata la Grande”.
Simone
era considerato la “Potenza” chiamata “Grande”, ovvero era considerato dai
suoi, molti, discepoli il Cristo ed Elena era considerata Sophia.
Nella
complicata cosmogonia gnostica la Monade – detta l’Uno, Theos, “Aion Teleos”
(Eone Perfetto) - comprende una parte
maschile (la “Grande”) e una parte femminile detta Ennoia (Pensiero) o Charis
(Grazia).
Le
due parti della Monade concepiscono per emanazione delle coppie di “Eoni” o
l’ultima delle quali è quella formata da Logos, detto anche Cristo, “Pensiero e
Parola”, e “Sophia”, “Sapienza”.
Gli
Eoni se ne stanno felici e tranquilli in un mondo spirituale detto Pleroma. Ma
un giorno non si come né perché, Sophia- o Ennoia di cui Sophia è emanazione -
“turba il Pleroma” - l’insieme dei poteri divini che abbiamo definito mondo
spirituale – e genera il Demiurgo – un dio minore o un “mezzo dio” - che a sua
volta genera il mondo materiale in cui le anime sono ridotte in schiavitù.
Sophia
in un certo senso si arrende alla materia, ma riesce a instillare negli esseri
umani una “scintilla di conoscenza” chiamata “pneuma” - che si potrebbe
tradurre con “soffio vitale” – assimilata poi nel cristianesimo allo Spirito
Santo.
Nella
sua assoluta bontà l’Uno invia quindi sulla terra il Logos cui è affidato il
compito della redenzione di Sophia, tramite, per così dire, l’attivazione del
“pneuma” instillato negli esseri umani al momento della creazione.
Ecco
quindi che la “salvazione”, ovvero la consapevolezza che l’adesione al mondo
grossolano e la ricerca dei piaceri materiali portano alla dannazione, si attua
attraverso “una trinità”, intesa come il primo Eone – il Padre – e le sue
emanazioni Logos e la redenta Sophia, che sono appunto “emanazioni” dell’Uno e
di Ennoia e quindi non sono diverse dall'Assoluto.
Simone
ed Elena di Tiro erano dunque, secondo i loro discepoli, le incarnazioni terrene di Cristo e Sophia, e la
loro unione, fisica, non era dettata da concupiscenza, ma era la ricostruzione
dell’Ordine di prima che il Demiurgo creasse la manifestazione grossolana.
Trai
cristiani le credenze legate a Simone ed Elena erano più popolari di quanto si
possa pensare, tanto è vero che molti studiosi moderni avvicinano a Simone
addirittura Paolo di Tarso – vedi ad esempio “Gnostic Paul” di Elaine H.Pages,
Ed. Bloomsbury T & T Clark 1992 -
mettendo in evidenza le insospettate, per noi, tendenze gnostiche di
Saulo.
Pare
che Paolo definisse i riti sessuali, intesi come unione fisica tra due “eletti”
o meglio due “pneumatici”, “Mistero della Chiesa” e si dice che all’apostolo
convertito sulla via di Damasco sia da attribuibile l’istituto delle Agapete o Agapetae,
(dal greco ἀγαπηταί, amate, dilette[2]), le
giovani vergini che per dieci secoli hanno allietato le notti di alti prelati e
dottori della Chiesa.
Si legge i nella “prima lettera ai Corinzi”:
“Non abbiamo forse noi il diritto
di mangiare e di bere? Non abbiamo il diritto di portare con noi una donna
credente, come fanno anche gli altri apostoli e i fratelli del Signore
e Cefa?”
Il
testo è alquanto interessante, perché ci rivela che Pietro e gli altri apostoli
e “fratelli” di Cristo si accompagnavano con donne, cosa considerata naturale
come il mangiare e il bere.
In
teoria le Agapetae erano delle giovani cristiane illibate, che convivevano con
degli ecclesiastici per spirito di carità, occupandosi delle incombenze domestiche
e
condividevano anche il letto, per mettere alla prova, si dice, la capacità di
resistere alle tentazioni della carne, ma
gli scandali e le voci di pratiche sessuali considerate innaturali[3]
portarono alcuni vescovi, come san Girolamo (347-420), l’autore della bibbia in
volgare, a denunciare apertamente le Agapetae come prostitute:
“Oh vergogna, oh infamia! Cosa orrida, ma vera! Donde
viene alla Chiesa questa peste delle agapete? Donde queste mogli senza marito? E
donde in fine questa nuova specie di puttaneggio?”
(Sofronio Eusebio Girolamo, Lettera a Eustochio,)
Per
avere un quadro preciso della denuncia del vescovo Sophronius – San Girolamo –
bisogna tener conto che all'epoca non era obbligatorio il celibato, anzi, i vescovi , preferibilmente, dovevano essere sposati, ed era molto acceso il dibattito sulla poligamia – o poliginia
- che le frange cristiane più vicine al giudaismo originario ritenevano legittimata
dalle scritture.
Si
legge ad esempio, in Esodo 21, 10:
“Se si prende un’altra moglie […]
non diminuirà il suo [della prima moglie] cibo, vestiti e diritti coniugali.”
E in Dt 21, 15-17:
“L’eredità spetta al primogenito
anche se il padre odia la madre di quel figlio e ama di più un’altra moglie.”
Erano
vietati l’adulterio - ovvero il fare sesso con una donna sposata con un altro
uomo - e la poliandria – ovvero il matrimonio tra una donna e vari uomini – ma il
sesso, come diremmo adesso, tra adulti consenzienti era considerato una cosa
normale.
Per
ciò che riguarda gli uomini di chiesa, soprattutto se anziani, sulla base degli
insegnamenti paolini “dovevano” essere sposati e, a quanto è dato di capire,
una vivace vita sessuale era considerata una protezione contro le tentazioni di
Satana.
Lettera
ai Corinzi 1, 7:
“[…] il marito non è arbitro del
proprio corpo, ma lo è la moglie. Non vi private l’un l’altra, se non di comune
accordo per un periodo di tempo limitato [da dedicare alla preghiera], ma poi
tornate di nuovo insieme in modo che satana non vi tenti a causa della vostra
mancanza di controllo.”
Il
sesso non era affatto un tabù per i prelati dei primi secoli, ma i “piaceri
della carne”, dovevano essere “sacralizzati” nel senso che i due amanti
dovevano “essere uno” e appartenere l’uno all’altra.
Tornando
alla Agapete, dalle scarne notizie che le riguardano non si riesce a capire chi
siano.
Le fonti cattoliche[4] ci informano che “le agapatae non vanno confuse con le Virgines (o mulieres) subintroductae (parthenoi syneisaktai)” – le “vergini (o donne) introdotte di nascosto” - ovvero con le giovani che convivevano con i chierici senza essere sposate.
Le fonti cattoliche[4] ci informano che “le agapatae non vanno confuse con le Virgines (o mulieres) subintroductae (parthenoi syneisaktai)” – le “vergini (o donne) introdotte di nascosto” - ovvero con le giovani che convivevano con i chierici senza essere sposate.
Le
relazioni sessuali degli ecclesiastici con le “mulieres subintroductae”
vennero espressamente condannate dal Concilio di Nicea (325 d.C.):
“Questo grande sinodo proibisce
assolutamente ai vescovi, ai sacerdoti, ai diaconi e in genere a qualsiasi
membro del clero di tenere delle donne di nascosto, a meno che non tratti della
propria madre, di una sorella, di una zia, o di persone che siano al di sopra
di ogni sospetto”
Quando
nel 380 Sophronius – San Girolamo – lancia parole di fuoco contro “la peste
delle agapete […] nuova forma di puttaneggio” deve riferirsi a qualcosa di
diverso dalle semplici relazioni sessuali non suggellate dal vincolo
matrimoniale, qualcosa che non era proibito dalla chiesa, o che, per qualche
motivo, era più forte delle proibizioni, tanto è vero che, nonostante gli
scandali e le accuse di “oscenità”, al fenomeno delle Agapete fu messa fine solo nel 1139, sotto il Pontificato di Innocenzo II, con il concilio Lateranense.[5]
Dalle
scarne notizie provenienti dalle fonti cattoliche sembra di capire che la
differenza tra le Agapete – Agapetae - e
le “mulieres subintroductae” consisteva nel fatto che le prime avrebbero
fatto voto di castità, ma se si studia la biografia di san Girolamo si score
che esattamente nel periodo in cui inveiva contro “la nuova forma di puttaneggio”
era responsabile di una comunità di vergini e giovani vedove romane, di nobili
origini, che convivevano con lui che avevano fatto voto di castità. La morte
della giovane Blesilla a causa, sembra, degli esercizi spirituali imposti da
Girolamo, portò alla chiusura della comunità, ma il sant’uomo continuò ad accompagnarsi
a giovani donne fino a morire, nel 420, tra le braccia dell’amata Paola.
Ma
chi erano allora le Agapete?
A
quanto sembra di capire, non erano né le mulieres subintroductae condannate
dal Concilio di Nicea, né le vergini che convivevano con Girolamo ed i suoi
colleghi devoti al celibato.
Le
notizie che le riguardano, tutte di provenienza cattolica, sono, come abbiamo
detto, piuttosto vaghe, ma nel “Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da san Pietro ai
nostri giorni” di Gaetano
Moroni (1840), alla voce
Agapete (pag. 115) si trova questa interessante definizione:
“Questa parola significa […]
persone che si amano; e si diede in seguito ad un ramo dei gnostici che
spargeano i loro errori sul declinare del quarto secolo. Secondo san Girolamo
questa specie di setta era composta principalmente di donne le quali
insegnavano che nulla esservi d’impuro per le coscienze pure, e s. Agostino
assicura che queste aveano per costume di giurare, e spergiurare piuttosto che
manifestare il secreto della loro setta.”
Quindi
le Agapete “non” erano delle giovani vergini che convivevano castamente o meno,
con gli ecclesiastici, ma erano le donne affiliate ad una setta gnostica che
praticava riti sessuali ed è stata attiva nella chiesa cristiana almeno dalla
fine del IV secolo al 1139, quando fu messa fuori legge dal Concilio Lateranense.
Una
setta gnostica che praticava riti sessuali, come i discepoli di Simon Mago, le cui affiliate, vedevano nel rapporto
sessuale l’unione di Sophia con Cristo, o di Ennoia con l’Uno.
Sesso
sacro, quindi, non fatto allo scopo di provare e donare piacere, ma per motivi,
tra virgolette, magici.
Probabilmente
la setta delle Agapete, e le sette gnostiche in genere esercitarono nel mondo
cristiano un’influenza maggiore di quella che possiamo immaginare, e non ci
sarebbe da stupirsi se le molte rappresentazioni artistiche di Maddalena che la
mostrano discinta, sensuale e rossa di capelli, fossero un omaggio a queste
misconosciute “sacerdotesse del sesso”, del cristianesimo primitivo.
[1] Vedi: L.
Cerfaux, “La Gnose Simonienne”, in Recuel Cerfaux, Gambloux 1954.
“E non bisogna credere
che può essere difesa a motivo del fatto che può essere esaminata per vedere se
è, o meno, una vergine, dal momento che la mano e l'occhio delle ostetriche sono
spesso ingannate, così che, perfino quando una donna sia trovata incorrotta
in quella parte
per cui è una donna, ella tuttavia può aver peccato con altre parti
del corpo che possono essere corrotte senza che possano essere ispezionate. Già
il semplice fatto dello stare insieme, il solo fatto di abbracciarsi, il
sussurrarsi e baciarsi e l'indecoroso e folle sonno di due corpi che giacciono
insieme, quanta vergogna e accusa tutto questo rivela? Se un marito tornando a
casa trova la sua sposa a giacere con un altro, non cade in collera e rabbia
fino a che, spinto dalla gelosia, giunge a impugnare la spada? Cosa dire allora
di Cristo Nostro Signore, nostro giudice, che vede giacere con un altro
uomo la sua vergine, votata a lui e alla sua santità?
Quanto potrà incollerirsi, e quali pene potrà minacciare per una impura copulazione di tal sorta! Perché è
per lui, per la sua parola spirituale, per il giorno del Giudizio che verrà, che noi
dobbiamo lavorare e impegnarci in ogni modo, affinché a ognuno dei nostri
fratelli sia permesso di evitarlo. E così, sebbene sia necessario che tutti
mantengano la disciplina, in qual misura è più
necessario che lo facciano officianti e diaconi, che dovrebbero offrire un
esempio e un modello di carattere e contegno? Come possono essi essere presi
quali esempi di integrità e continenza, se il vero insegnamento di corruzione e
vizio proviene proprio da loro?”
[4] Vedi la
voce Agapetae in “Catholic Encyclopedia”, edizione orginale 1907-1914.
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