Kāmarāja Mantra - Lo Yoga Classico e i suoi legami con l'Astrologia Indiana - Lezione On Line del 27 aprile 2020
L’ONDA DELLA BELLEZZA
“l’Onda della
Bellezza” (Saundaryalaharī) è un manuale di 100/103[1] paragrafi
(śloka) i primi 41 dei quali, detti Ānandalaharī – Onda di
Beatitudine” – attribuiti a Gāṇeśa furono trasmessi oralmente a Śaṅkara
Bhagavatpāda dal suo maestro Gaudapada[2] -
probabilmente il reale autore del testo - mentre gli altri sarebbero stati
aggiunti da Śaṅkara Bhagavatpāda stesso; il testo è diviso in due sezioni: la prima
formata da 41 śloka (o 35 secondo alcuni commentatori) è chiamata Ānandalaharī ("Onda
di Beatitudine") ed è attribuita a Gaudapāda, maestro – paramaguru - di
Adi Śaṇkara. Autore della seconda sezione - la Saundaryalaharī vera
propria - formata da 59 śloka (o 65 secondo alcuni).
“ I tre gruppi di sillabe si uniscono a
formare il Tuo nome. Il gruppo di KA, E, Ī e LA corrisponde a Śiva Śakti Kāma kṣiti[3].
Nel secondo
gruppo HA, SA, KA, LA corrispondono a Ravi[4], Śitakiraṇa[5], Smara[6],
Haṃsa e Śakra. Nel terzo gruppo SA KA e LA corrispondono a
Para, Māra e Hari, con la sillaba Hrīṃ alla fine di
ciascuno dei tre gruppi di sillabe".
(Ānandalaharī - śloka 32[7])
Si tratta di un mantra
composto da quindici bīja – più un
sedicesimo che viene assegnata dal Guru all’allievo - attribuito a Lopāmudrā,
sposa di Agastya, ma secondo la leggenda sarebbe stato rivelato agli esseri umani
dal dio Kāma in persona:
कएईलह्रीं हसक हलह्रीं सक ल ह्रीं .
क ka ए e ई ī ल la ह्रीं hrīṃ
ह ha स sa क ka ह ha ल la ह्रीं hrīṃ
स sa क ka ल la ह्रीं hrīṃ
È preferibile usare la
parola bīja – “seme” – anziché sillaba.
È
meglio chiarire che “l’alfabeto” sanscrito non è composto propriamente da
lettere, ma da sillabe.
Il
nostro alfabeto è composto dai suoni A. B. C. D ecc.; per rendere più
comprensibile il suono delle consonanti nel linguaggio parlato aggiungiamo una
vocale per cui “V”, ad esempio, diviene “VU” o “VI”. In sanscrito tutte le
consonanti sono sillabe composte dal suono consonantico accompagnato “sempre”
dalla “A”.
Nella scrittura per rendere una consonante senza la “A” o unita ad un’altra consonante, occorre aggiungere un segno grafico:
Nella scrittura per rendere una consonante senza la “A” o unita ad un’altra consonante, occorre aggiungere un segno grafico:
Per
esempio il segno क si legge “KA”, se volessi scrivere la KA senza la A dovrei tracciare il
segno क् in cui viene aggiunta una specie di virgola nella parte inferiore della
“KA”.
Se
invece volessi scrivere KE, KI o KU dovrei aggiungere segni diversi che
indicano la diversa vocale trasformando il segno क (KA) rispettivamente in
के , कि e कु;
Nei mantra, sia quelli
come il Kadi mantra, sia quelli formati da parole di senso compiuto, si fa uso
di “suoni” formati sia da una sola sillaba, sia da gruppi di sillabe,
come ad esempio il suono ह्रीं HRĪṂ, che
viene considerato come la “sintesi” di quattro sillabe,
ह HA, र RA, ई Ī e म् M più la nasalizzazione che viene rappresentata come un punto sopra
l’ultima “sillaba”:
ह्रीं;
Il
Kadi mantra è detto Pañcadaśī, come il 15°giorno di un mese, o la 15a fase lunare (sia Luna
piena sia Luna nuova) sia per i suoi legami con l’astronomia sia perché è
composto non da 15 sillabe, ma da 15 bīja mantra.
Questi
15 “semi” – questo significa bīja – sono disposti in tre gruppi - o linee - chiamati Kūta:
1. Vāgbhava Kūta - क KA ए E ई Ī ल LA ह्रीं HRĪṂ;
2. Kāmarāja Kūta o Madhya Kūta - ह HA स SA क KA ह HA ल LA ह्रीं HRĪṂ
3 Śakti Kūta - स SA क KA ल LA ह्रीं HRĪṂ
A questo
punto, prima di proseguire la descrizione del “KAEĪLAHRĪṂ”,
è necessario, parlare, almeno superficialmente, della teoria dei mantra;
In genere un
mantra è caratterizzato da:
1.
Un ṛṣi, ovvero l’autore del mantra che fa da tramite tra
le energie della natura che si vogliono “attivare” o “controllare”, che nel
nostro caso è Lopāmudrā o,
secondo alcuni, il suo compagno Agastya;
2.
Una divinità di riferimento, o mantra devatā, che nel
nostro caso è Lalitā Tripurasundarī - la “Bella dei Tre Mondi” - epiteto
di Durgā;
3.
Un bīja, ovvero un “seme sonoro” da cui prende origine il mantra,
nel nostro caso HRĪṂ;
4.
Una Śakti, che va intesa come una energia con un
particolare ritmo ed una particolare direzione, caratteristici della divinità
del mantra;
5.
Un kīlaka, letteralmente pilastro, che può essere inteso
come la chiave di accesso al potere del mantra, ovvero la maniera di renderlo
efficace.
Il kīlaka
– kilak – è l’insieme degli insegnamenti orali che riguardano la metrica del
mantra, la maniera di pronunciarlo, il ritmo della recitazione la misura –
ovvero la durata di ogni verso o sillaba – i riferimenti con la fisiologia
sottile, con l’astrologia ecc.
Senza il kīlaka
il mantra non è efficace, perché non avviene il processo definito nāḍī
bandha.
Quella dei bandha
- forse, la tecnica fondamentale dello Yoga medioevale – è una pratica che
consiste nel chiudere determinati canali energetici con la contrazione dei
muscoli sottili unita, all’esecuzione di particolari gesti (mudrā) - e
posture (āsana).
Nell’arte dei
mantra il nāḍī
bandha – ovvero la chiusura di determinati canali con la conseguente
“risalita” dell’energia definita Kuṇḍalinī - avviene – dovrebbe
avvenire – senza l’intervento della volontà sui muscoli sottili, ma
grazie alla corretta esecuzione, ovvero:
-
Giusto respiro;
-
Giusta intonazione;
-
Giusta pronuncia;
-
Giusta metrica;
-
Giuste visualizzazioni;
- Giusto riferimenti astrologico-astrologici e, di conseguenza,
giusto momento del giorno o dell’anno in cui recitare il mantra.
Questo
attivarsi naturalmente del nāḍī
bandha e quindi del processo di risalita della energia definita Kuṇḍalinī,
secondo la fisiologia dello yoga, “potrebbe essere” causato dalla
capacità del mantra di “espellere” dal corpo il cosiddetto “soffio mediano” o samāna
vāyu, responsabile del “fuoco digestivo” o Jaṭharāgni.
L’espulsione creerebbe una condizione di “vuoto” nei canali della zona
dell’ombelico, richiamando verso l’alto il cosiddetto soffio discendente - āpana
– che, riscaldandosi, si modificherebbe in Kandarpa vāyu – “vento del
desiderio” o “vento che infiamma anche gli dei” - provocando la risalita
di Kuṇḍalinī.
Per ciò che
riguarda il kīlaka del Kadi Mantra, per dare un’idea delle istruzioni tradizionali
diremo ciò che abbiamo appreso per esperienza diretta [N.B. le indicazioni seguenti,
sulla pronuncia e la metrica, non provengono da testi e manuali, ma le riportiamo
come si sono state trasmesse da Svami Veethamonandha nel maggio 2011. Ciò non
significa che per il Kadi mantra non esistano altre indicazioni e
interpretazioni].
RECITAZIONE
Il primo Kūta - KA E Ī
LA HRĪṂ - viene recitato in undici mātrā
(tempi o misure):
-
“KA” viene recitato per un tempo con la “A” che suona
quasi come una “O” aperta;
-
“E” viene
recitato per un tempo e si pronuncia decisamente “E” e non IE o IEY come si
sente in alcune versioni;
-
“Ī” - sul quale è posto il
primo “accento musicale” del primo Kūta – viene recitato per due tempi;
-
“LA” viene recitato per un tempo;
-
“HRĪṂ” viene
recitato considerando un tempo per la H aspirata (bisogna pensare HA mentre si
pronuncia “H”), un tempo per la “R” (bisogna pensare “RA” pronunciando “R”) due
tempi per la “Ī” – sulla quale è posto il secondo “accento musicale” del Kūta – un tempo per la “M” nasalizzata ed un tempo in silenzio – una pausa
musicale - corrispondente al punto (bindu) che serve ad ascoltare le
vibrazioni interne prodotte dal mantra (si parla di “nove onde”).
-
La
recitazione del primo Kūta sarà quindi:
“(1)KA / (2)E
/ (3-4)ÌÌ / (5)LA / (6)H / (7) R / (8-9)ÌÌ / (10)MN / (11)Bindu/pausa”.
Il secondo Kūta – HA SA KA HA LA HRĪṂ - viene recitato in undici mātrā e mezzo:
-
“HA” viene recitato per un
tempo:
-
“SA” viene recitato per un tempo;
-
“KA”, sul quale è posto l’accento musicale, viene recitato
per un tempo ed è seguito da una “pausa musicale della durata di ½ matra;
-
“HA”, viene recitato un tempo;
-
“LA” viene recitato per un tempo;
-
“HRĪṂ”, con l’accento musicale sulla “Ī”, come per
il primo Kūta viene recitato in sei tempi.
La recitazione del secondo Kūta sarà quindi:
“(1)HA / (2)SA
/ (3)KA / (3½)pausa
/ (4½)HA / (5½)LA / (6½)H / (7½))R/(8½-9½))ÌÌ
/ (10½)MN/ (11½)Bindu/pausa”.
Il terzo Kūta - SA KA LA HRĪṂ - viene recitato in otto mātrā e mezzo:
-
“SA”, sul quale è posto l’accento musicale, viene
recitato per un tempo;
-
“KA” viene recitato per un tempo;
-
“LA” viene recitato per un tempo, ed è seguito da una
pausa musicale della durata di ½ matra;
-
HRĪṂ”, con l’accento musicale sulla “Ī”, viene
recitato come i primi due Kūta, salvo per la pausa finale che
dura ½ matra anziché un matra.
La recitazione del terzo Kūta sarà quindi:
(1)SA / (2)KA / (3)LA / (4)H / (5)R/(6-7)ÌÌ / (8)MN/ (8½)Bindu/pausa”.
VISUALIZZAZIONI
L’insieme del mantra rappresenta innanzitutto il corpo della Dea:
1. Vāgbhava Kūta - क KA ए E ई Ī ल LA ह्रीं HRĪṂ, rappresenta la testa di Lalitā
Tripurasundarī, è portatore dell’energia primaria detta “di Fuoco” ed è relato
al canale centrale del corpo (“Mente”) nel quale, per lo yoga medioevale
scorrono l’energia primaria dell’elemento spazio e della conoscenza:
2. Kāmarāja Kūta o Madhya Kūta -ह HA स SA क KA ह HA ल LA ह्रीं HRĪṂ, rappresenta
il busto Lalitā Tripurasundarī, è portatore
dell’energia di “Sole” ed è relato al canale di destra (“Parola”) nel quale per
lo yoga medioevale scorrono l’energie primarie dell’elemento fuoco e dell’elemento
aria;
3. Śakti Kūta - स SA क KA ल LA ह्रीं HRĪṂ, rappresenta il bacino e le gambe di Lalitā
Tripurasundarī, è portatore dell’energia di “Luna” ed è relato al canale di
sinistra del corpo (“Corpo”) nel quale per lo yoga medioevale scorrono le
energia dell’elemento acqua e dell’elemento terra.
Il primo Kūta viene visualizzato come un fluido coloro fuoco,
ardente, che sale dal “piano di mūlādhāra”
- ovvero il piano dei tre cakra inferiori che ha il suo centro nel glande della
clitoride o del pene [N.B. molti fanno partire la visualizzazione dal
cakra del perineo anziché dal glande] – fino al centro del cuore [piano di anāhata];
Il secondo Kūta viene visualizzato
come la “luce di mille soli” che sale centro del cuore [piano di anāhata]
al centro della fronte [piano di ājñā];
Il ciclo della recitazione, ovvero la ripetizione dal Vāgbhava Kūta KA E Ī LA HRĪṂ allo Śakti Kūta SA KA LA HRĪṂ
per tornare al Vāgbhava Kūta e ricominciare, viene
rappresentato con un triangolo con il vertice in basso, detto “triangolo della
Dea” o “triangolo – o luogo - di Kāma” che simboleggia la vagina – yoni – della “Yoginī”:
Al centro è inscritta la sillaba ह्रीं HRĪṂ, il lato di destra è il Vāgbhava Kūta (KA E Ī LA HRĪṂ), la base – il lato in
alto – è il Kāmarāja Kūta o Madhya Kūta (HA SA KA HA LA HRĪṂ), il lato a sinistra è Śakti Kūta (SA KA LA HRĪṂ).
A loro volta i vertici assumono dei significati diversi a seconda delle
varie interpretazioni, ma in genere:
1) Il vertice in basso è la clitoride della Dea, fuoco,
canale centrale del corpo;
2) Il vertice a sinistra è il seno sinistro –o l’occhio
sinistro o la gonade sinistra – della Dea, Luna, canale sinistro del corpo;
3) Il vertice a destra è il seno destro della Dea – o
l’occhio destro o la gonade destra – della Dea, Sole, canale destro del corpo.
RIFERIMENTI
ASTRONOMICI
Con il termine citriṇī viene indicato il canale “sottile come la tela del
ragno”, che partendo dal glande della clitoride – o del pene – conduce, secondo
lo yoga medioevale, l’energia definita Kuṇḍalinī in alto, verso la
ghiandola pituitaria e/o la fontanella.
Citriṇī prende il suo dalla stella Citrā, chiamata in occidente Spica
Virginis (la spiga di grano in mano alla Vergine nell’iconografia greco-romana).
Spica è la stella più luminosa della costellazione della Vergine, e ed
era considerata sacra sia dagli Egizi sia dagli iniziati dei Misteri Eleusini.
Dal mese di marzo, e fine giugno, Citrā forma con altre due stelle,
Arturo e Denebola, una particolare configurazione astrale detta “Triangolo di
Primavera”.
Arturo è una stella gigante arancione della Costellazione del Boote (il
“Bifolco”), ed è 200 volte più calda e luminosa del Sole, mentre Denebola è una
“spettrale” blu della costellazione del Leone.
La costellazione della Vergine rappresenta la Dea in molte civiltà
antiche:
In Grecia era Persefone,
nell’Antico Egitto una delle forme di iside, per i Sumeri era Ištar ecc.
Se la Costellazione della Vergine è la Dea, Il Triangolo di Primavera è
la sua vagina, o meglio il suo triangolo pelvico e Spica è la sua clitoride.
Nel tantrismo ogni stella del “Triangolo di Primavera” assume un “ruolo
diverso”:
-
Citrā interpreta
il ruolo del Fuoco (Śakti);
-
La stella di
destra, Arturo, la “gigante arancione”, è il Sole (Kāma);
-
La stella di
sinistra, Denebola, la “spettrale blu”, è la Luna (Śiva).
TABELLA 1 -
CORRISPONDENZE DEL TRIANGOLO DI PRIMAVERA
Divinità
|
Stella
|
Energia
|
Canale
sottile
|
Fiume
Sacro
|
Organo
del Corpo
|
Citrā
|
Fuoco
|
Canale
sottile interno di Suṣumṇā
(Citriṇī)
|
Sarasvatī
|
Clitoride
|
|
Kāma
|
Arturo
|
Sole
|
Canale
sottile di destra(Piṅgala)
|
Yamunā
|
Gonade
di destra
|
Denebola
|
Luna
|
Canale
di sinistra (Iḍā)
|
Gaṅgā
|
Gonade
di sinistra
|
Del “triangolo della Dea o Triangolo di Primavera, si parla nello śloka 34[8]:
dell’Onda di Bellezza (Saundaryalaharī):
"Il
tuo corpo, che ha il sole e la luna come seni, con gli occhi della mente
diviene il corpo di Śiva. Nel suo corpo circondato da nove
fossati, c'è il tuo corpo.
Per
questo tra Śiva e la Devi non c'è differenza e il
rapporto tra chi possiede e chi è posseduto diviene l'Uno perfetto ed eterno".
Ogni brano del testo è accompagnato da u o Yantra, quello dello śloka 34 è il triangolo equilatero - rappresentato con un
tridente per ogni angolo –al cui centro campeggia la sillaba ह्रीं HRĪṂ che abbiamo mostrato in precedenza [N.B. a
volte al centro si trova il suono seme SAUḤ il cui significato spiegheremo in
seguito].
I versi sono da interpretare sia in chiave anatomica sia in chiave
astronomica:
-
Il “corpo
del dio”, visibile con gli occhi della mente, sarebbe un altro asterismo di
cui fa parte il "triangolo di Primavera", un esagono detto "diamante"
(in sanscrito vajra come il canale, “sottile come un capello”, che
contiene citriṇī nāḍī, “sottile come la tela del ragno” e che, come
abbiamo già detto, collega i genitali con il punto in mezzo alla fronte e/o la
fontanella) e i nove fossati possono rappresentare sia le linee interne che
collegano i vertici dell’esagono, sia le nove cavità del corpo umano (occhi,
narici, orecchie, bocca, genitali e ano), sia i nove triangoli di base dello Śrī Yantra sia i nove “percorsi operativi” dello Śrī Yantra.
Ai vertici del triangolo sono posti Sole (Arturo), Luna (Denebola) e
Fuoco (Spica) che, come abbiamo visto, vengono collegati a
Kāma, Śiva e Śakti.
Arturo o Arcturus, il "seno destro della Dea", è una
stella Gigante Rossa e va a rappresentare il Sole e il dio Kāma. Denebola,
il "seno sinistro della Dea", è una stella "spettrale" di
colore blu e circondata da un pulviscolo a bassa temperatura e va a
rappresentare la Luna e il dio Śiva.
Fine seconda parte.
[1]
In genere si parla di 100 versi, ma molte edizioni riportano 103 śloka, vedi ad esempio “Swami Satyasangananda
saraswati, Sri Sandarya Lahari / The Descent”.
[2]
Gaudapada o Gaudapadacarya, è un maestro del Kashmir fondatore dell’Avaita
Vedanta. Non si sa con precisione in che epoca sia vissuto, alcuni parlano del
VI secolo, altri dell’VIII secolo d.C.
[3]
In alcune edizioni si trova “kśithi” in luogo di “kśiti”, ma suppongo che sia
più giusto corretta questa seconda traslitterazione. Kśiti è il nome di una
delle divinità della “Terra” e di uno dei 22 “quarti di tono” esistenti in una
ottava musicale.
[4]
“Il Sole”.
[5]
“La Luna” o “I raggi lunari”.
[6]
“Amore erotico”, in questo caso il dio Kāma.
[8]
शरीरं त्वं शंभोः शशिमिहिर
वक्षोरुहयुगं तवात्मानं
मन्ये भगवति नवात्मानमनघं अतः शेषः शेषीत्ययं
उभयसाधारणतया
स्थितः संबन्धो
वां
समरसपरानन्दपरयोः
Śarīraṃ
tvaṃ śaṃbhoḥ śaśimihira vakṣoruhayugaṃ
Tavātmānaṃ
manye bhagavati navātmānamanaghaṃ
Ataḥ
śeṣaḥ śeṣītyayaṃ ubhayasādhāraṇatayā
Sthitaḥ
saṃbandho vāṃ samarasaparānandaparayoḥ
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