PATAÑJALI
Patañjali,
l’autore degli Yoga Sūtra, secondo la tradizione Tamil era un siddha vissuto tra
il IV e il V secolo d.C.
Durante
la sua permanenza nel Thillai Nataraja Temple di Chidambaram[1] fece
un’esperienza definita, in termini moderni ”illuminazione” di cui il suo libro
più celebre - Yoga Sūtra appunto – sarebbe la cronaca.
In
base a questa esperienza ed ai racconti di altri autori suoi contemporanei
come Tirumular (Tiroomular) venne riconosciuto come uno dei grandi maestri
illuminati (18 secondo alcuni 84 secondo altri) della tradizione Siddha, sia
dagli Hindu sia dai buddhisti.
Nel
Sud dell’India è considerato il padre della danza assieme a Bharatamuni,
l’autore del Nātyaśāstra, e si dice fosse uno dei più grandi interpreti della
sua epoca della “Śiva Tāndava”, la danza estatica del dio Śiva – N.B. la danza
detta Tāndava non è specifica del dio Śiva: molte delle divinità hindu hanno
una propria Tāndava - insegnata dallo Yogin Taṇḍu proprio nel tempio di
Chidambaram.
Il
“lignaggio”, ovvero la linea di insegnamento cui appartiene Patañjali è quello
del Primo grande Siddha Agastya, il creatore delle “Arti marziali del Sud”,
kalaripayatt e Silamban.
Un
lignaggio in cui le tecniche di guerrieri e danzatori si fondono con la pratica
dello yoga alchemico – il cui massimo esponente è considerato Boghanathar,
maestro di Babaji-nagaraji - con lo āyurveda
e con l’astrologia/astronomia “vedica”.
Questo
almeno è ciò che si insegna nella maggior parte delle scuole di yoga e di
danza, negli “Akhara” – le scuole di arti marziali e, a quanto ci
risulta-ovviamente se qualcuno ha notizie diverse saremo grati delle
segnalazioni - nelle università indiane.
In
occidente, soprattutto in Italia, e in alcuni ambiti indiani, più vicini alla
tradizione moderna creata da Vivekananda -
si raccontano invece storie diverse.
Sintetizzando
si dice che:
1. Patañjali è vissuto tra il V e il II secolo a.C.
2. Patañjali è il padre dello yoga classico che viene identificato con il Rāja yoga è uno “stile” di Yoga in cui si dà poca importanza all’aspetto fisico (Posture, sequenze, bandha ecc.).
1. Patañjali è vissuto tra il V e il II secolo a.C.
2. Patañjali è il padre dello yoga classico che viene identificato con il Rāja yoga è uno “stile” di Yoga in cui si dà poca importanza all’aspetto fisico (Posture, sequenze, bandha ecc.).
Esamineremo
adesso questi punti evidenziando i motivi che hanno portato molti ricercatori e
praticanti a considerare come verità storiche delle teorie e delle
interpretazioni nate, secondo noi, da errori o da motivi che riguardano la
religione e la politica.
Il
dibattito, per chi è interessato resta comunque aperto: noi [il Team di
ricercatori di “Storia Segreta dello Yoga”] non abbiamo assolutamente la
pretesa di avere la verità in tasca e ci limiteremo a dare notizie suffragate
da dati storici e riferimenti bibliografici.
1) Cominciamo con il primo punto:
1) Cominciamo con il primo punto:
QUANDO È VISSUTO PATAÑJALI?
La
confusione di date nasce dall’esistenza di vari autori che rispondono al nome
di Patañjali, e lo si può constatare consultando il “Catalogus Catalogorum”
dell’Università di Madras[2]
dal quale risulta che vi siano stati nella storia dell’India ben dieci autori
di opere di rilievo che rispondono al nome di Patañjali.
A. Il primo in ordine di tempo è l’autore del Māhābhasya, un
testo così importante da essere chiamato semplicemente “Grande Commento”.
Si
tratta di un trattato di grammatica basato sullo Aṣṭādhyāyī di Pāṇini che
gli studiosi sia occidentali sia indiani fanno risalire al I-II secolo a.C.[3]. Da più
di duemila anni il Māhābhasya di “questo” Patañjali è considerato un classico della grammatica
e della linguistica, sia in ambiti hindu, sia buddhisti, sia jainisti e il suo
successo non è mai venuto meno.
B.
Il secondo,
sempre in ordine di tempo è il Patañjali degli Yoga Sūtra considerato dagli
studiosi indiani uno dei più importanti esponenti del Sāmkhya[4],
la scuola filosofica ateistica
indiana che sta alla base sia dello āyurveda sia dello yoga che
sarebbe vissuto intorno al IV secolo d.C.[5]
Al contrario
del suo omonimo autore del Māhābhasya “questo” Patañjali si può supporre che
sia stato praticamente dimenticato almeno dal XVI secolo al XIX secolo- a parte
una poesia fatta risalire al XVIII secolo - dato che, a quanto ci risulta, non
esiste in tutta la letteratura indiana una sola pubblicazione, commento o
recensione di Yoga Sūtra risalente a quel periodo.
Gli autori
che citano o commentano il testo in epoche precedenti al XVI secolo – almeno
quelle che risultano dalle nostre ricerche - sono tre:
1. Vācaspati Miśra (900–980 CE) autore del "Tattvavaiśāradī";
2.
Bhoja Raja, (X secolo) autore
del “Rāja-Mārtanḍa”;
3.
Ramananda Sarasvati (XVI
secolo) autore dello "Yogamani-Prabha";
A
questi si deve si deve aggiungere l'anonimo autore di "Yogabhashyavarttika"
Un lavoro forse X secolo;
Per
ciò che riguarda le traduzioni che secondo molti ricercatori sarebbero
centinaia o comunque molte[6], dalle
nostre ricerche ne risultano solo due precedenti al XVI secolo:
1. XI secolo traduzione in arabo e persiano da parte di Al Biruni;
2. XV secolo traduzione in javanese di anonimo
conservata oggi allo "Staatsbibliothek" di Berlino.
Le
altre numerosissime traduzioni e i moltissimi commentari che si citano al
giorno d'oggi sono stati tutti composti dal 1874 ad oggi.
C.
Il terzo Patañjali è l’autore del “Patañjalatantra”
testo ayurvedico segnalato come fondamentale da molti autori medioevali[7].
A questi tre
autori si deve aggiungere almeno il Patañjali autore di un commentario della
Caraka Saṃhitā, uno dei testi fondamentali della medicina indiana[8],
che sarebbe visuto tra il IV e l’VIII secolo d.C.
Secondo gli autori moderni come P.V. Sharma, autore della più
importante opera moderna sulla Caraka Saṃhitā[9]
I Patañjali autori di testi ayurvedici sarebbero la stessa persona.
Ci sono buone probabilità che il Siddha Patañjali sia anche
l’autore dei testi ayurvedici, ma è impossibile, a detta degli studiosi, che
sia il medesimo Patañjali autore del Māhābhasya.
La
confusione tra il Patañjali grammatico e il Patañjali yogin – e quindi la tendenza a retrodatare la vita e l’opera del
secondo – nasce, in tempi moderni, dalle ipotesi di Surendranath Dasgupta che
propose l’identità dei due – nati a cinquecento anni di distanza l’uno
dall’altro - nel suo “A History of Indian Philosophy” (Cambridge University
Press 1922).
L’ipotesi risaliva al XVIII secolo – alla poesia di Shivarama i
cui versi sono cantati ancora oggi nelle classi di Ashtanga Yoga in cui si
onora Patañjali come yogin, grammatico e medico - ed era stata ripresa da
James Haughton Woods nella sua traduzione degli Yoga
Sūtra del 1914[10],
ma oggi, in genere la si ritiene infondata[11].
A sua volta Shivarama faceva riferimento ad un verso di Bhartṝhari, grammatico e poeta
del V secolo d.C. - autore del Vākyadīa, il più importante trattato
di “logica linguistica” del medioevo, e del testo poetico Śatakatraya[12]
- che parla di un anonimo yogin che
sarebbe stato esperto di medicina e di grammatica.
Il verso sarebbe stato interpretato da Re Boja nel suo Rāja-Mārtanḍa, come un omaggio a Pataṅjali e otto secoli la teoria dell’identificazione del grammatico con il siddha fu riproposta da alcuni studiosi.
Il verso sarebbe stato interpretato da Re Boja nel suo Rāja-Mārtanḍa, come un omaggio a Pataṅjali e otto secoli la teoria dell’identificazione del grammatico con il siddha fu riproposta da alcuni studiosi.
In conclusione allo stato attuale delle ricerche la grande maggioranza
degli studiosi ritiene che:
-
Il Pataṅjali grammatico e il Pataṅjali yogin siano due personaggi
affatto diversi;
-
Ci sono grandi probabilità che il Pataṅjali yogin e il Pataṅjali
medico ayurvedico siano la stessa persona.
Per ciò che riguarda la data di nascita del Pataṅjali yogin, Edwin Bryant[13] ritiene che nonostante per la maggior parte degli studiosi “Gli Aforismi dello Yoga” siano stati composti tra il IV e il V secolo d.C. le possibilità di una data più antica sono tutt’altro che da escludere.
Per ciò che riguarda la data di nascita del Pataṅjali yogin, Edwin Bryant[13] ritiene che nonostante per la maggior parte degli studiosi “Gli Aforismi dello Yoga” siano stati composti tra il IV e il V secolo d.C. le possibilità di una data più antica sono tutt’altro che da escludere.
La nostra opinione è che se il Pataṅjali
yogin è da identificarsi con il Pataṅjali siddha - l’uomo rasato con la coda
di serpente che vediamo nelle rappresentazioni scultoree e pittoriche – la sua
data di nascita non può che porsi tra il IV e il V secolo d.C. dato che il
gruppo dei Siddha cui apparteneva ha vissuto ed operato nel tempio di
Chidambaram, la cui prima costruzione risale al IV secolo d.C.
Veniamo al secondo punto:
2.
Pataṅjali è
il padre dello yoga classico che viene identificato con il Rāja yoga è uno
“stile” di Yoga in cui si dà poca importanza all’aspetto fisico (Posture,
sequenze, bandha ecc.).
RĀJA YOGA
Per capire che si tratta – secondo noi, ovviamente – di false
verità o di verosimili bugie, occorre introdurre la figura di Swami
Vivekananda, grande uomo e grande filosofo, ma soprattutto grande patriota.
Vivekananda
è passato alla storia per essere stato il primo ad introdurre lo Yoga ed il
Vedānta in Occidente e l’eco dei suoi insegnamenti risuona ancora oggi nelle
moderne concezioni dello Yoga e della filosofia new age.
Molte
delle idee che circolano oggi nel mondo dello yoga nascono dai concetti che lui
espose nei suoi libri e nelle sue lezioni e che da allora vengono ritenuti
“tradizionali”.
In
realtà non si tratta specificamente di concetti appartenenti alla tradizione
indiana, ma di personali interpretazioni, sue e degli intellettuali bengalesi
del suo tempo, che nel corso degli anni - grazie all’enorme lavoro di
diffusione dei suoi scritti compiuto dalle case editrici legate al Ramakrishna
Math e alle varie società esoteriche occidentali del XX secolo - si sono
trasformate in verità ontologiche.
Di
fatto gli intellettuali bengalesi del XIX secolo inventarono un nuovo Yoga ed
un nuovo Vedānta, che, come abbiamo già detto, dal nostro punto di vista non
sono né migliori né peggiori dello Yoga e del Vedānta tradizionali, ma ne
differiscono in maniera, spesso, sostanziale.
Noi
non abbiamo né la volontà né le capacità di discutere la bontà dei principi
filosofici diffusi da Vivekananda, ma, per amor di verità, ci pare giusto
sottolineare che, in base alle nostre ricerche, lo swami non venne in Occidente
per insegnare Yoga o Vedānta tradizionale, ma si fa interprete e portatore di
una nuova religione, anzi un nuovo sincretismo religioso la cui eco profonda è
avvertibile ancora oggi nelle pratiche e nelle teorie della New Age.
Fissiamo
adesso alcuni punti fondamentali:
1.
Sincretismo. Lo Yoga ed il Vedānta insegnati da Vivekananda e da molti maestri
moderni sono frutto di una elaborazione moderna del Vedānta originario
ispirata a tre movimenti filosofici e culturali occidentali: l’Unitarianismo,
il Perennialismo, l’Orientalismo[14].
2.
Censura. Dallo Yoga
insegnato da Vivekananda vengono eliminate completamente o messe in secondo
piano le pratiche strettamente fisiche - āsana,
sequenze, bhanda, mudrā - e le pratiche legate all’energia
definita kuṇḍalinī̄ - comprese pratiche che riguardano la sfera sessuale
– considerate invece fondamentali dagli yogin dell’antichità e del medioevo[15].
3.
Nazionalismo. La non menzione o la sottovalutazione delle pratiche fisiche ed
energetiche nasce da ragioni politiche ed ideologiche, collegate alle esigenze
del Movimento Nazionalista indiano di cui Vivekananda faceva parte.
LO YOGA DI VIVEKANANDA
Quattro sono i libri sullo Yoga
scritti da Vivekananda:
Quattro libri che pongono
le basi per una divisione dello Yoga in “quattro branche” - Jñāna, Bhakti, Karma e Rāja – presentata
oggi come “tradizionale” nella maggior parte delle scuole di Yoga nonostante – a
quanto ci risulta- non ci[PP1] siano prove
della sua esistenza prima del XIX secolo.
Se si leggono i quattro
libri di Vivekananda[20]alla luce di
quanto sappiamo oggi sulla storia dello Yoga e della filosofia indiana, noteremo
alcune singolari coincidenze[21], delle
apparenti dimenticanze[22] e, degli
errori, o forse sarebbe meglio dire “dei giochi di parole”, che finiscono per generare
molta confusione.
Non è facile spiegare, a
chi non ha una conoscenza approfondita delle scritture dello Yoga, i “giochi di
parole” realizzati, con ogni probabilità, da Vivekananda, ma pensiamo valga la
pena provarci:
Dello Yoga di Patañjali, definito Aṣṭāṅga
Yoga, o Yoga in otto parti, si sa che
a partire dalle lezioni americane di Vivekananda viene identificato con il Raja
Yoga, o Yoga reale[23], ritenuto
da molti, ancora oggi, lo Yoga autentico, lo Yoga “vero”, considerato ad un
“gradino superiore” rispetto allo Yoga che all’inizio abbiamo chiamato
“fisico”.
Ma secondo molti
commentatori attuali, tra cui David Gordon White[24] in India, fino al XIX secolo (e
almeno dal XII secolo), lo Aṣṭāṅga
Yoga di Patañjali era praticamente
sconosciuto e sarebbe stato portato a conoscenza del grande pubblico, sia
occidentale che orientale, proprio da Vivekananda e dalla Società Teosofica.
Prima di allora i
testi di riferimento per gli yogin erano altri, decisamente più “fisici” dello Yoga
di Patañjali:
1. Lo Ṣaḍaṅga Yoga,
ovvero lo Yoga in sei parti decritto in un testo di Gorakhnath, il Gorakṣaśataka (Gorakshashatakam) [25];
2. Il
Saptāṅga Yoga, ovvero lo Yoga in
sette parti descritto nella Gheraṇḍa Saṃhitā,
testo attribuito ad un maestro chiamato Gheraṇḍa[26].
3. Il
Caturaṅga
Yoga, ovvero lo Yoga in quattro parti descritto in un testo di Svātmārāma - un
allievo di Gorakhnath – lo Haṭhayogapradīpikā.
Il terzo di questi manuali – lo Haṭhayogapradīpikā – che tra i tre è il più studiato e citato ancora
oggi, inizia con un verso sibillino che in italiano suona più o meno così (Haṭhayogapradīpikā I.1):
“Sia
lode al primo maestro che rivelò la conoscenza dello Haṭhayoga, una scala che
conduce alla vetta suprema del Rāja Yoga.”
Il senso è chiaro, lo capirebbe anche un bambino: se si identifica lo Aṣṭāṅga
Yoga di Patañjali con il Rāja Yoga, il versetto
significa che lo Haṭhayoga, fatto di intense e rigorose pratiche
fisiche, non è una via alla realizzazione, ma conduce, al massimo a poter
praticare lo Yoga di Patañjali.
Quasi tutti i commentatori,
da Vivekananda in poi interpretano il versetto in questo modo, ignorando però –
o fingendo di ignorare- che in un brano successivo l’autore dello Haṭhayogapradīpikā spiega cosa è, secondo lui, il “Rāja Yoga” (Haṭhayogapradīpikā
IV, 3-4):
"Rāja Yoga, samādhi, estinguere il Manas, andare oltre
il Manas, Realtà, śūnyā...Stato del Jīvanmukta, Sahaja, Turiya... Significano
tutti la stessa cosa.”[27]
Rāja Yoga quindi è sinonimo di realizzazione, per cui Svātmārāma - l’autore dello
Haṭhayogapradīpikā – voleva
semplicemente dire che grazie alle pratiche psicofisiche dello Yoga si giunge
alla realizzazione, ma il gioco di parole di Vivekananda e le successive
traduzioni del primo versetto dello Haṭhayogapradīpikā,
ha fatto passare il messaggio che lo “Yoga fisico”
può essere inteso al massimo come una preparazione allo Yoga meditativo di Patañjali.
Un messaggio che non
corrisponde affatto al pensiero degli autori dello Haṭhayogapradīpikā, della Gheraṇḍa Saṃhitā e del Gorakṣaśataka, ma è frutto delle interpretazioni di
Vivekananda.
NECESSITÀ DEL PROSELITISMO
Per
comprendere a pieno il lavoro di riforma dell’induismo e dello Yoga operata da
Vivekananda e dai suoi “fratelli missionari, dobbiamo cominciare facendoci una
domanda:
“Per
quale motivo a partire dal XIX secolo gli indiani vengono in Occidente a
portare lo Yoga e l’induismo?”
La domanda nonostante l’apparenza non è affatto
banale, perché il concetto di proselitismo non esiste nell’induismo.
L’Induismo non è una religione strutturata come le
grandi religioni monoteiste: si tratta di un insieme assai complesso di
concetti filosofici, principi etici e culti locali legati a particolare realtà
geografiche; per un induista tradizionale andare a fare il missionario è
impensabile: non si può “esportare”, ad esempio, il culto di Śiva di Arunachala o
di Tārā di Tarapith, perché sono legati indissolubilmente ad un
monte – Arunachala – e ad un campo crematorio –Tarapith - in cui
si dice sia apparsa la dea in carne ed ossa. Per esportare il culto si
dovrebbero esportare il monte Arunachala o il crematorio di Tarapith!
Il
proselitismo Hindu di Vivekananda e dei suoi fratelli missionari non nasce da
insegnamenti tradizionali – come accade per il cristianesimo -o dal desiderio
di alzare il velo dell’ignoranza che ottenebrava l’Occidente, ma da ragioni
strettamente politiche.
L’idea di mandare in giro per il mondo dei missionari
Hindu nasce il 10 aprile 1875 ad opera di Dayananda Saraswati, che
nell’atto di fondazione dell’organizzazione riformista Arya Samaji mette per
scritto alcune regole tra le quali troviamo la necessità del proselitismo Hindu
per limitare l’influenza dell’Islam e del Cristianesimo, con il conseguente
invito a spedire missionari in Occidente[28].
Per ciò che riguarda la leggenda che Vivekananda e i
suoi abbiamo portato per la prima volta lo Yoga e il Vedānta in occidente si
tratta appunto di una leggenda.
Quando Vivekananda arriva negli stati uniti nel 1896, lo Yoga e il Vedānta erano già noti da secoli.
Quando Vivekananda arriva negli stati uniti nel 1896, lo Yoga e il Vedānta erano già noti da secoli.
Lo
Yoga era conosciuto almeno dai tempi dell’incontro di Alessandro Magno con i
Gymnosophisti della Valle dell’indo – IV secolo a.C.- e, il primo studio
scientifico che parla delle attività psicofisiche degli indiani, è un’opera del
francese François Bernier (1620 - 1688), che, nel XVII secolo, per dodici anni
fu medico di corte dell’imperatore Mughal Aurangzeb[29];
Per ciò che riguarda la filosofia Vedānta viene studiata nelle università europee a partire dalla stessa epoca di Bernier – XVII secolo – grazie all’opera del gesuita Roberto de Nobili[30].
Per ciò che riguarda la filosofia Vedānta viene studiata nelle università europee a partire dalla stessa epoca di Bernier – XVII secolo – grazie all’opera del gesuita Roberto de Nobili[30].
L’intenzione
di Vivekananda e dei missionari del brahmoismo non è assolutamente quella di
introdurre lo Yoga e l’induismo in Occidente – dove peraltro erano già studiati
da almeno duecento anni – anche perché, anche se può sembrare assurdo, non
erano propriamente né yogin né induisti: erano essenzialmente patrioti.
Il
progetto di cui Vivekananda si fa portatore nasce agli inizi del XIX secolo da Raja
Ram Mohan Roy, un cristiano unitariano[31]
che, insieme a Denendranath Tagore, padre del premio Nobel Rabindranath, fondò
la religione monoteista chiamata brahmoismo.
. Il Brahmosimo – che legava l’interpretazione di alcuni testi tradizionali indiani – come la Bhagavad Gītā - a principi del cristianesimo unitariano.
. Il Brahmosimo – che legava l’interpretazione di alcuni testi tradizionali indiani – come la Bhagavad Gītā - a principi del cristianesimo unitariano.
Dal
brahmoismo – che, a dispetto della sua enorme influenza politica e culturale
come movimento religioso ha interessato una piccolissima parte della
popolazione[32]
- nacquero nel1861 il Brahmo Samaji di Hermendrenath Tagore – fratello
di Rabindranath - e nel 1875 l’Arya Samaji di Dayananda Saraswati, due gruppi
strettamente legati al Movimento Nazionalista indiano.
L'unitarianismo
è una religione che vede in Cristo non una incarnazione di Dio, ma un profeta,
o per meglio dire, un illuminato. Il dio senza nome dell’Unitarianismo in India
divenne Brahman, e Cristo entrò a far parte della schiera delle
“emanazioni del dio unico – Brahman - insieme a Buddha, Kṛṣṇa e Rāma. I
brahmoisti, che annoveravano tra le loro fila gli appartenenti alle più ricche
e aristocratiche famiglie aristocratiche bengalesi, avevano come scopo ultimo
la creazione di un India moderna e non esitarono a reinterpretare i testi
tradizionali induisti per adeguarli ai principi del Cristianesimo unitariano.
Per fare un esempio il “Maha Nirvana Tantra” reso famoso dalla
traduzione in inglese di Arthur Avalon – al secolo John Woodroffe – e creduto
da molti un antico testo tradizionale, fu scritto in quell’epoca (XIX secolo)
dal co-fondatore del Brahmoismo, Raja Ram Mohan Roy, un maestro tantrico –
Sahardana Vidyavagish – e un missionario battista, l’inglese William Carey.
Quando
arrivò in Occidente Vivekananda espose il pensiero unitariano, creando dei
collegamenti con la dottrina del Perennialismo[33],
o “Filosofia Perenne” - assai in voga nell’epoca, che si basava sul mito di
un’antichissima tradizione non umana, comune a tutte le religioni - e
strizzando l’occhio all’Orientalismo, il movimento artistico nato in Europa nel
XVIII secolo, basato su una reinvenzione occidentale dei costumi del medio e
dell’estremo Oriente.
Attentissimo all’immagine, si faceva ritrarre spesso in vesti e atteggiamenti di un’eleganza raffinata, e questo, insieme alla sua intelligenza, alla sua abilità retorica e alla sterminata cultura, conquistò completamente il pubblico occidentale. In poco tempo ottenne i risultati che si era prefisso: cambiare l’immagine che gli europei e gli americani avevano dell’India, e trovare amici e sostenitori della causa del nazionalismo indiano.
Vivekananda non era un apostolo dello Yoga, ma un servitore devoto di Bharati Mata, la Madre India: ogni sua azione e, ogni sua parola erano dedicate alla sua terra e al suo popolo. Sacrificò se stesso per la causa dell’indipendenza – morì a soli 39 anni stroncato dallo stress e dalla fatica – e per questo è giusto onorarlo come un eroe.
Attentissimo all’immagine, si faceva ritrarre spesso in vesti e atteggiamenti di un’eleganza raffinata, e questo, insieme alla sua intelligenza, alla sua abilità retorica e alla sterminata cultura, conquistò completamente il pubblico occidentale. In poco tempo ottenne i risultati che si era prefisso: cambiare l’immagine che gli europei e gli americani avevano dell’India, e trovare amici e sostenitori della causa del nazionalismo indiano.
Vivekananda non era un apostolo dello Yoga, ma un servitore devoto di Bharati Mata, la Madre India: ogni sua azione e, ogni sua parola erano dedicate alla sua terra e al suo popolo. Sacrificò se stesso per la causa dell’indipendenza – morì a soli 39 anni stroncato dallo stress e dalla fatica – e per questo è giusto onorarlo come un eroe.
Per
ciò che riguarda lo Yoga, forse – senza voler in alcun modo offendere la sua memoria
- dovremmo domandarci sino a che punto i suoi insegnamenti siano attendibili.
Visto che Vivekananda era un patriota - un “Fighter of Freedom” - e che in quel momento le donne e gli uomini cui si rivolgeva erano i suoi avversari, la possibilità che abbia volutamente evitato di dire qualcosa o manipolato qualche concetto ci sembrano tutt’altro che remote.
Visto che Vivekananda era un patriota - un “Fighter of Freedom” - e che in quel momento le donne e gli uomini cui si rivolgeva erano i suoi avversari, la possibilità che abbia volutamente evitato di dire qualcosa o manipolato qualche concetto ci sembrano tutt’altro che remote.
Vivekananda,
i missionari del Ramakrishna Math e coloro che ne seguirono le tracce nei
decenni successivi, insegnano in Occidente uno Yoga religioso, che si basa
quasi esclusivamente sulla devozione, il lavoro per gli altri e una serie di
pratiche di meditazione e contemplazione simili agli esercizi spirituali di
Ignazio di Loyola.
Uno
Yoga in cui non trovano posto le pratiche psicofisiche descritte nel Malla
Purāṇa – testo di cui abbiamo parlato all’inizio - nello Haṭhayogapradīpikā,
nella Gheraṇḍa Saṃhitā e nel Gorakhśatakam,
testi che a partire dal medioevo sino all’epoca di Vivekananda erano
considerati “classici”.
Ma
quale sarà lo Yoga “autentico?
Quello
di Vivekananda che vede negli asana e nelle sequenze “roba
per fakir e mendicanti che si esibiscono in posture complicate per denaro”?
Oppure quello di Gorakhnath per il quale le posture
conducono all’illuminazione?
“Colui
che in virtù delle pratica dei Bandha e delle altre tecniche fisiche si
illumina della luce della coscienza è lodato come yogin e come essenza e misura
del tempo […]”
“Ognuno
degli 8.400.000 āsana è stato descritto da Śiva. Tra questi Śiva ne scelse
ottantaquattro.”
Le parole di Gorakhnath sono inequivocabili e sono
confermate sia dalle Yoga Upaniṣad – venti testi considerati “tradizionali” da
tutti i lignaggi induisti - sia dagli āgama[34]:
lo Yoga fisico, fatto di posture, sequenze ed esercizi di concentrazione sui cakra, conduce alla Realizzazione.
lo Yoga fisico, fatto di posture, sequenze ed esercizi di concentrazione sui cakra, conduce alla Realizzazione.
La verità, tanto semplice da apparire assurda, è che
Vivekananda non insegnava affatto Yoga, ma una nuova dottrina frutto delle
elaborazione ottocentesche del Brahmo Samaji, nella quale il Vedānta
veniva unito con i principi dell’unitarianismo cristiano e della “Filosofia
Perenne” rinascimentale.
Lo Yoga occidentalizzato di Vivekananda, grazie all’enorme lavoro di diffusione a mezzo stampa e al sostegno delle società esoteriche dell’epoca, in poco tempo divenne una visione “generale” che finì per togliere visibilità alle altre forme di insegnamento, né migliori né peggiori, ma sicuramente più antiche e, tra virgolette, “tradizionali”.
Lo Yoga occidentalizzato di Vivekananda, grazie all’enorme lavoro di diffusione a mezzo stampa e al sostegno delle società esoteriche dell’epoca, in poco tempo divenne una visione “generale” che finì per togliere visibilità alle altre forme di insegnamento, né migliori né peggiori, ma sicuramente più antiche e, tra virgolette, “tradizionali”.
Nelle pratiche di Yoga proposte da Gorakhnath, il
creatore dello haṭhayoga e dagli altri maestri considerati “tradizionali”
prima della riforma di Vivekananda, oltre che agli esercizi fisici si dà ampio
spazio al lavoro sui centri di energia chiamati cakra – i principali
“marma” della medicina indiana - e sull’energia “interiore” detta kuṇḍalinī.
Il cosiddetto “risveglio di kuṇḍalinī” nello
Yoga viene accompagnato dall’insorgere di una serie di poteri paranormali detti
“siddhi” che vanno dall’ottenimento della bellezza e della salute alla capacità
di rendersi invisibili.
Le siddhi fanno parte da sempre della tradizione indiana e vengono considerate prove di un avvenuta realizzazione o di trasformazione psicofisica che precede la realizzazione.
Le siddhi fanno parte da sempre della tradizione indiana e vengono considerate prove di un avvenuta realizzazione o di trasformazione psicofisica che precede la realizzazione.
Vivekananda però non le vede di buon occhio; scrive
infatti:
“I Tapas e gli altri Yoga intensi praticati in altri
Yuga non funzionano ora. Ciò che è necessario in questo Yuga è dare, aiutare
gli altri”[35].
“Dice Patañjali,
il padre dello Yoga: Quando un uomo rifiuta tutti i poteri superumani raggiunge
il massimo della virtù” [36].
MANIPOLAZIONE
La seconda frase, in particolare, è molto interessante
perché mostra il modo di procedere di Vivekananda e di coloro che hanno
contribuito a creare il “nuovo Yoga occidentale”:
Vivekananda esordisce affermando: “Dice Patañjali,
il padre dello Yoga…”. In realtà nessuno prima di lui aveva mai definito Patañjali
“il padre dello Yoga”, ma da grande comunicatore quale è sa che
utilizzando questa forma retorica lascia filtrare il messaggio “che il vero
Yoga è quello di Patañjali”
dando nel contempo autorevolezza alle sue parole seguenti[37]..
Poi lo swami usa delle parole che vanno esaminate con
attenzione: “Quando un uomo rifiuta tutti i poteri superumani raggiunge il
massimo della virtù”.
Secondo Vivekananda questo è un insegnamento tratto dagli Yoga Sūtra di Patañjali, ma se andiamo a cercarlo non lo troveremo né nel terzo pāda – “parte”, “sezione” – degli Yoga Sūtra, in cui Patañjali descrive i poteri “superumani”, né negli altri tre[38]. La frase è un’invenzione o comunque una interpretazione personalissima dello swami.
Secondo Vivekananda questo è un insegnamento tratto dagli Yoga Sūtra di Patañjali, ma se andiamo a cercarlo non lo troveremo né nel terzo pāda – “parte”, “sezione” – degli Yoga Sūtra, in cui Patañjali descrive i poteri “superumani”, né negli altri tre[38]. La frase è un’invenzione o comunque una interpretazione personalissima dello swami.
La verità, ripetiamo, è che Vivekananda sta creando uno Yoga ad uso degli
occidentali.
Quando arriva negli Stati Uniti nel 1896 non ha nessuna intenzione di
insegnare lo Yoga tradizionale – che ai suoi tempi era quello di Gorakhnath,
Dattatreya e Gheraṇḍa – ma vuole perseguire due scopi precisi, tra loro
connessi:
1.
Lottare contro le nozioni della “white
supremacy” e della western superiority” divulgate dai colonizzatori
britannici e condivise allora da tutto il mondo occidentale.
2.
Creare le condizioni per arrivare alla
nascita di una nuova India, libera dal giogo del colonialismo inglese e fondata
sui principi sociali e religiosi del Brahmo Samaji.
Ai nostri giorni, negli ambienti dello Yoga e delle discipline new age, il
concetto della superiorità morale e culturale dei bianchi è ormai superato,
anzi sono molti a criticare il materialismo occidentale e a individuare
nell’India il centro di una nuova/antica spiritualità, ma all’epoca di
Vivekananda il razzismo nei confronti degli indiani era assai diffuso.
Molti dei pregiudizi erano collegati al loro politeismo, a certe loro credenze e a pratiche corporee allora assai comuni, che gli inglesi di epoca vittoriana giudicavano troppo estreme o addirittura immorali.
Molti dei pregiudizi erano collegati al loro politeismo, a certe loro credenze e a pratiche corporee allora assai comuni, che gli inglesi di epoca vittoriana giudicavano troppo estreme o addirittura immorali.
Quando Vivekananda arrivò negli Stati Uniti, l’idea che molti occidentali
avevano dello Yoga e dell’induismo era legata ai sannyasin che andavano in giro
per le città, completamente nudi, intossicati di hashish e marihuana e si
esibivano, per soldi, in posizioni circensi; se avesse parlato dello Yoga
fisico e addirittura si fosse esibito in qualche āsana le reazioni
sarebbero state di scherno e di meraviglia mista a disgusto.
Il pubblico di Vivekananda era composto soprattutto da giovani donne e
uomini dall’alta borghesia americana e britannica, e lui se voleva trasformare
l’immagine del suo popolo e creare il mito dell’India madre della lingua e
della spiritualità occidentale non poteva certo rischiare di provocare moti di
sdegno e risatine imbarazzate: doveva mostrarsi serio, elegante, affascinante
e, soprattutto casto.
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[1] Alcuni
parlano del Brahmapureeswarar Temple di Thirupattur.
[2][2]
V.Raghavan e altri autori; New catalogus catalogorum, 11. Madras, Universiti of Madras, 1968. Pagg. 89-90
[3] Vedi ad
esempio G.Cardona: Panini: A Survey of Research. Motil Banarsidass. ISBN
978-81-208-1494-3.
[4] Vedi Surendranath Dasugupta, “A
History of Indian Philosophy”, Volume 1, Motilal Benarsidass Pubblications. ISBN
8120804120.
[5] Vedi ad
esempio Edwin F. Bryant. The
Yoga Sutras of Patanjali: A new Edition, Traslation and Commentary.. North
Point Press, New York 2009. ISBN 978-0865477360.
[6] Vedi David G. White, The Yoga Sutra
of Patanjali: A Biography. Pricetown University Press 2014. ISBN
978-0691143774.
[7] Vedi G.Jan Meulenbeld. History of
Indian Medical Literature Volume I. Groningen, E. Forsten 1999. ISBN
978-906981247.
[8] Vedi E. Schultzeisz, History of
Philosiology. Pergamon Press 1981. ISBN 978-0080273426.
[9] P.V.
Sharma Caraka Samhita (in tre volumi), Chaukhambha Orientalia Varanasi, Delhi,
1981.
[10] James haughton Woods, The Yoga
Sutras of Patanjali, Harvard University, Ginn & Co.
[11] Vedi:
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David
G. White, The Yoga Sutra of Patanjali: A Biography. Pricetown University Press
2014. ISBN 978-0691143774.
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James
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-
P.V.
Sharma, History of medicine in India. Indian national Science. New Delhi 1992.
[12] Non
tutti concordano sul fatto che Bhartṝhari sia l’autore del testo poetico. Per
approfondire puoi vedere, ad esempio, Saroja Bhate, Bhartrhari philosopher
and grammarian, Motilar banarsidass Publisher.ISBN 978-81-208-1198-0
[13] Edwin F. Bryant, The Yoga Sutra of
Patanjali, A new edition, Traslation and commentary, North Point Press. New
York 2009. ISBN 978-086-5477360
[14] Fonte:
-
Richard
King, Orientalism and Religion: Post Colonial Theory, India and “The Mystic
East. Routledge (2002).
[15] Fonte:
-
Karl
baier, Philip A. Maas, Karin Preisendanz (eds.), Yoga in Trasformation,
Historical and Contemporary Perspectives,
Vienna University Press (2018). ISBN E-Lib:9783737008624.
[20] In realtà
si tratta della trascrizione delle “lectures” di Vivekananda, fatta dai
suoi allievi.
[21] I
“quattro Yoga” di Vivekananda, ad esempio, corrispondono con i quattro principi
fondamentali del New Thought Movement:
1. Jnana Yoga –
conoscenza dell’Assoluto – “Dio, o infinita intelligenza, è Dio è
"supremo, universale ed eterno";
2. Bhakti Yoga –
devozione per la divinità che è in ogni essere umano – “La divinità dimora
in ogni persona, poiché tutte le persone sono esseri spirituali”;
3. Karma Yoga –
comprensione del proprio karma e della interconnessione tra tutti gli esseri
viventi – “Il più alto principio spirituale è amarsi reciprocamente
incondizionatamente, [gli esseri spirituali] insegnano l’uno all’altro e si
guariscono a vicenda";
4. Raja Yoga –
conoscenza, controllo e sospensione degli stati mentali (cittavṛtti) –
“I nostri stati mentali” si esprimono nella manifestazione e diventano la
nostra esperienza nella vita quotidiana”.
[22] Vivekananda
ad esempio non parla né delle pratiche fisiche né delle attitudini marziali
degli yogin guerrieri, neppure accenna alle tecniche sessuali - parte
integrante anche se non fondamentale dello Yoga (vedi: Haṭhayogapradīpikā III,
87-9).- nonostante il suo maestro fosse lo yogin illuminato Ramakrishisna
Paramhamsa, sposato con la bellissima Sarada Devi, fosse un sacerdote di Kālī iniziato
ai riti sessuali denominati “Tantra di Viṣṇu (vedi: Mahendranath Gupta,
“Il Vangelo di Sri Ramakrishna”. Opera citata).
[23] In
sanscrito a dir la verità Raja Yoga significa “Yoga della polvere” o
“Yoga del polline”. La grafia corretta dovrebbe essere Rāja Yoga.
[24] David
Gordon White (Pittsfield, 3 settembre 1953), storico delle religioni
statunitense è uno dei più conosciuti esperti di letteratura Yoga viventi
Laureato in hindi presso la Hindu University di Benares, si è
laureato alla École Pratique des Hautes Études, a Parigi, negli anni 1977-1980
e 1985-1986. Nel 1988 si laurea in Storia delle Religioni presso la University
of Chicago. Attualmente è docente di studi religiosi alla California University
di Santa Barbara.
[25] Fonte:
-
David Gordon
White, YOGA IN PRACTICE. Princeton University Press (2012). ISBN
978-0-691-14085-8.
-
Mikel Burley, Haṭha-Yoga: its context, theory, and
practice, Motilal Banarsidass Publications., 2000. ISBN 978-81-208-1706-7.
[26] Fonte:
-
Op. Cit. Mikel
Burley, Haṭha-Yoga: its context, theory,
and practice, Motilal Banarsidass Publications. 2000. ISBN
978-81-208-1706-7.
[27] Questo il
testo in sanscrito:
राज-योगः समाधिश्छ उन्मनी छ मनोन्मनी |
अमरत्वं लयस्तत्त्वं शून्याशून्यं परं पदम || ३ ||
अमनस्कं तथाद्वैतं निरालम्बं निरञ्जनम |
जीवन्मुक्तिश्छ सहजा तुर्या छेत्येक-वाछकाः || ४ ||
rāja-yoghaḥ
samādhiścha unmanī cha manonmanī |
amaratvaṃ
layastattvaṃ śūnyāśūnyaṃ paraṃ padam || 3 ||
amanaskaṃ
tathādvaitaṃ nirālambaṃ nirañjanam |
jīvanmuktiścha
sahajā turyā chetyeka-vāchakāḥ || 4 |
[28] Fonte:
-
G.R.
Thursby, Hindu-Muslim relations in British India: a study of controversy,
conflict and communal movements in norther India 1923-1928. ISBN 9789004043800.
[29] Fonti:
-
Frédéric
Tinguely, Un libertin dans l'Inde moghole - Les voyages de François Bernier
(1656–1669), Edition intégrale, Chandeigne, Paris. (2008). ISBN
978-2-915540-33-8.
-
Bernier,
François. Travels in the Mogul Empire, A.D. 1656–1668. Archibald
Constable, London. (1891) ISBN 81-7536-185-9.
[30] Allievo del maestro hindu Shivadharma. De Nobili
assunto il nome di Romaca Brahmana, fondò un proprio ashram a Madurai
dove insegnava contemporaneamente teologia cristiana e filosofia vedanta.
Scrisse numerose opere in sanscrito e tamil, ed una serie di commentari alle
opere tradizionali indiani studiati ancora oggi nelle facoltà di Filosofia e
Teologia. Fonte:
-
Vincent Cronin. A Pearl to India: The Life of
Roberto de Nobili. (1959). ISBN
0-246-63709-9
[31]
L'unitarianismo è un movimento religioso nato all'interno del cristianesimo
protestante che rifiuta l'idea di Trinità - la dottrina secondo cui in Dio sussistano tre persone coeterne e coeguali
- e quindi pone in dubbio la divinità di Cristo
e dello Spirito Santo in favore dell'unicità di Dio
come solo Essere generatore. In italia era una credenza condivisa da molti
esponenti del Risorgimento, tra cui Giuseppe Garbaldi e Giuseppe Mazzini.
Fonte:
-
Judy
Slinn, "Shaen, William (1821–1887), radical and lawyer" in
Oxford Dictionary od National Biography, Oxford University Press (2004)
[32] Nel
momento del massimo successo del brahmoismo, intorno alla fine del XIX secolo,
si dichiaravano devoti della nuova religione 8.000 indiani su una popolazione
di più di 223 milioni di abitanti.
[33] “Il termine
"perennialismo" riferito alla filosofia ricorre nell'espressione
"philosophia perennis" usata per la prima volta nel XVI secolo dal
teologo agostiniano Agostino Steuco (1497-1548) nel suo libro intitolato De perenni
philosophia libri X (1540) dove, rifacendosi ai principi filosofici di Marsilio
Ficino e di Giovanni Pico della Mirandola, sosteneva l'esistenza di un principio di verità che
attraversa tutte le filosofie e le religioni che, a partire dall'ermetismo fino
al platonismo
e alla teologia cristiana sono alla ricerca
della conoscenza di Dio”. (Tratto da
Enciclopedia Treccani). La Dottrina della Filosofia Perenne è alla base di
tutti i movimenti esoterici occidentali del’900.
[34] Gli āgama sono una serie di testi che
possiamo considerare dei veri e propri manuali di Yoga ad uso dei devoti delle
diverse divinità induiste – śakta, śaiva e vaiṣṇava - e dei praticanti buddhisti
e jainisti.
[35] Fonte:
-
“The Complete Works of Swami Vivekananda”, p.1062, Manonmani Publishers.
(2015).
[36] Fonte:
-
“The
Complete works of Swami Vivekananda”, p. 3828, manomani Pubblishers (2015)
[38]
L’unico ammonimento che riguarda l’utilizzazione dei poteri psichici si trova
in Y.S. III.51, ma il versetto non fa nessun cenno ad un rifiuto o alla non
accettazione dei poteri psichici. Lo citiamo nella traduzione di Raphael
(edizioni Ashram Vidya): “[si deve] evitare il piacere e l’orgoglio quando
si è invitati dalle potenze celesti perché vi è la possibilità di una
indesiderabile ricaduta”
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