Passa ai contenuti principali

APPUNTI DI GINNASTICA YOGA - ĀSANA STHITI



Uno yogāsana è “anche”, indubbiamente, un esercizio di fitness e ci sono decine di testi indiani, antichi e moderni, a comprovarlo, ma è “anche” qualcosa d’altro e sono convinto che ci si possa rendere conto di questo “qualcosa d’altro” e riconoscere il lavoro di un vero yogin - o aspirante tale -  anche solo osservando la sua maniera di entrare o uscire da un āsana.

Qualche giorno fa un’amica mi ha inviato il video di una dimostrazione di yoga a coppie.
C'erano due insegnanti - o praticanti esperti – di una scuola abbastanza famosa che si esibivano in una sequenza di āsana.

I due erano molto carini, un uomo ed una donna sorridenti e vestiti di bianco: lei bionda e morbida con la bocca scarlatta di rossetto, lui moro e asciutto.

Mi ha colpito la loro maniera (1) di “entrare nelle posizioni, (2) di restarci per un tempo relativamente breve e (3) di scioglierle:
Sembrava che dessero molta importanza alla fase(2), un po’ meno alla fase (1) e pochissima alla fase (3).

Ad un certo punto, nel ritornare in piedi dalla posizione del “ponte sulle braccia” (cakrāsana) la bionda graziosa dalla bocca scarlatta rimane un po’ bloccata e, sempre sorridente, tenta invano, più volte, di sollevarsi prima con una mano e poi con l'altra, poi con entrambe fin quando il partner non l’aiuta ad uscire dall'impasse.

Il video mi ha portato a fare una riflessione sul significato di āsana sthiti.
Se uno (una) praticante assume una posizione, anche molto bella a vedersi e ci rimane, senza fatica apparente per qualche decina di secondi (o qualche decina di minuti…), ma quando la scioglie rimane bloccato o ha difficoltà a cambiare posizione ad intuito c'è, secondo me, qualcosa che non va.


L’āsana deve essere una posizione attiva, nel senso che anche nell'immobilità deve contenere potenzialmente la “posizione seguente” o un processo fisiologico e, anche all'osservatore esterno, deve dare un’impressione di stabilità, morbidezza e armonia.

Un āsana “bloccato” che con difficoltà si tramuta in una altro āsana è come un albero secco.

D’altra parte una sequenza fluida in cui le posizioni entrano l’una nell'altra senza la fase di stabilità - āsana sthiti - è come un cane che cerca di acchiapparsi la coda: divertente a vedersi, forse, ma completamente inutile dal punto di vista "operativo".

Āsana sthiti - che i non praticanti traducono con “stabilità” o “perseveranza” della posizione, nel gergo yogico è una tecnica operativa che consiste nell'utilizzare la spontanea ritenzione del respiro – kumbhaka – per muovere nel corpo determinate energie fisiche - vāyu – tramite una serie di contrazioni dei muscoli sottili – bandha.

Occorre chiarire il senso di ritenzione spontanea:
Nello yoga esistono due kumbhaka: uno esterno - bāhya kumbhaka – che si fa corrispondere all'apnea bassa, ovvero a polmoni vuoti, ed uno interno – antar kumbhaka – che si fa corrispondere all'apnea alta, a polmoni pieni, ma in alcune scuole, negli insegnamenti orali, antar kumbhaka è una sospensione del respiro che si attiva spontaneamente:

1.    Dopo la pratica dei mantra:
2.    Durante la meditazione;
3.    Durante la pratica corretta di un āsana;
4.    Durante la corretta pratica del prāṇāyāma.

Comunque sia la corretta esecuzione di una posizione yoga o di una sequenza prevede l’esecuzione dell’āsana sthiti, ovvero dell’attivazione/utilizzazione di particolari fluidi ed energie fisiche mediante contrazioni di particolari muscoli sottili - come mūlabhanda o aśvinī bhanda – in una fase di ritenzione del respiro.

Āsana sthiti è la fase culminante di una posizione o di una sequenza, non tenerne conto è come giocare a calcio senza sapere che lo scopo è spingere la palla nella rete avversaria.

Un āsana eseguito correttamente deve produrre una sensazione di piacere accompagnata da morbidezza e rilassamento – sukha – ed una quantità di energia superiore a quella che si è utilizzata per assumerla, per cui il passaggio ad una posizione successiva “deve” risultare morbido e armonioso.

D’altro canto una sequenza - vinyāsa – deve essere scandita da una o più fasi di ritenzione del respiro – anthar kumbhaka – e pratica di bandha. Queste fasi daranno alla sequenza un ritmo e una “musicalità” particolari, ben riconoscibili dal praticante esperto.

Un āsana “bloccato”, assunto con fatica o carente nella fase di “uscita” è sintomo di una pratica errata.

Allo stesso modo una sequenza, pur fluida, eseguita senza cambi di ritmo scanditi dalle “pause operative” sarà una esibizione fine a se stessa, una "forma vuota".


Commenti

Post popolari in questo blog

IL TIZZONE ARDENTE

Mandukyakarika, alatasànti prakarana  45-50, 82 ; traduzione di  Raphael : "E' la coscienza - senza nascita, senza moto e non grossolana e allo stesso modo tranquilla e non duale - che sembra muoversi ed avere qualità Così la mente/coscienza è non nata e le anime sono altre-sì senza nascita. Coloro i quali conoscono ciò non cadono nell'errore/sofferenza. Come il movimento di un tizzone ardente sembra avere una linea dritta o curva così il movimento della coscienza appare essere il conoscitore e il conosciuto. Come il tizzone ardente quando non è in moto diviene libero dalle apparenze e dalla nascita, cosi la coscienza quando non è in movimento rimane libera dalle apparenze e dalla nascita. Quando il tizzone ardente è in moto , le apparenze non gli provengono da nessuna parte. Né esse vanno in altro luogo quando il tizzone ardente è fermo, né ad esso ritornano. Le apparenze non provengono dal tizzone ardente a causa della loro mancanza di sostanzialità. Anche nei...

IL SIGNIFICATO NASCOSTO DEI MANTRA - OM NAMAḤ ŚIVĀYA

Alzi la mano chi non ha mai recitato un mantra indiano o tibetano senza avere la minima idea di cosa significasse. C'è addirittura una scuola di pensiero che invita ad abbandonarsi al suono, alla vibrazione e ad ascoltare con il cuore. Il personale sentire viene considerato un metro di giudizio assai più affidabile della razionalità, e l'atteggiamento più comune, nell'approccio alla "Scienza dei mantra è il " Che mi frega di sapere cosa vuol dire? L'importante è che mi risuoni! ". Devo dire che ci sta. Tutto nell'universo è vibrazione e ovviamente quel che conta è il risultato. Se uno recita 108 volte Om Namaha Shivaya senza sapere che vuol dire e poi si sente in pace con il mondo, va bene così. Anzi va MOLTO bene! Ma bisogna considerare che nei testi "tecnici" dello yoga, non numerosissimi, si parla di una serie di valenze simboliche, modalità di  pronuncia e possibilità di "utilizzo" che, secondo me, la maggi...

IL FIGLIO DI YOGANANDA E L'INDIGESTIONE DI BUDDHA

YOGANANDA Quando nel 1996, pochi giorni prima del suo centesimo compleanno Lorna Erskine, si abbandonò al sonno della morte, Ben, il figlio, decise di rivelare al mondo il suo segreto i: Yogananda, il casto e puro guru, era suo padre. Ne uscì fuori una terribile, e molto poco yogica, battaglia legale a colpi di foto, rivelazioni pruriginose ed esami del DNA tra la Self Realization Fellowship,la potente associazione fondata dal maestro, e gli eredi di Lorna (che chiedevano un sacco di soldi...). Ad un certo punto vennero fuori altri tre o quattro figli di discepole americane, tutti bisogna dire assai somiglianti al Guru, . E venne fuori una storia, confermata da alcuni fuoriusciti dalla Self Realization Fellowship (e quindi... interessati) riguardante un gruppo di "sorelle dell'amore" giovani discepole che avrebbero diviso con Yogananda il terzo piano del primo centro californiano della S:R:F. Certo, per tornare a Lorna, che se una donna americana bianca e b...