Durante le ricerche che hanno condotto allapubblicazione di "Storia Segreta dello Yoga" (https://www.amazon.it/STORIA-SEGRETA-DELLO-YOGA-Devozione-ebook/dp/B07YRVQPVQ) siamo rimasti colpiti dalla differenze esistente tra la storia "reale" dello yoga e dell'India - quella almeno che emerge dai documenti e dai reperti archeologici - e ciò che ci viene raccontato nelle scuole di yoga e, a quanto sappiamo, in diverse università.
Una differenza che diventa abissale quando si parla di personaggi come Kṛṣṇa:
In Occidente viene visto come un giovane dio efebico e giocoso, che, al pari di Gesù, si sacrifica per il bene dell'umanità, mentre in India è un lottatore professionista, che passai primi decenni della sua vita a rompere teste, spezzare tibia e massacrare a pugni e calci gli avversari, con una ferocia impressionante.
Di seguito incolliamo uno dei capitoli che abbiamo dedicato a Kṛṣṇa nel nostro libro.
Ci piacerebbe che i nostri colleghi - insegnanti, praticanti e studiosi di Yoga - lo leggessero e lo commentassero.
Un sorriso,
P.
KṚṢṆA, “THE WRESTLER”
42 Kṛṣṇa (secondo da sinistra) e
il fratellastro Balarāma impegnati in un
incontro di lotta a squadre. Miniatura tratta da un manoscritto del XVII secolo
conservato al Metropolitan Museum di New York. Fonte: https://www.metmuseum.org/Collections/search-
In India il
termine Malla-Yuddha, o semplicemente “wrestling” per gli anglofoni, evoca
l’immagine di “giovani uomini in
perizoma, unti di olio di sesamo e senape, che si affrontano nelle fosse di
fango situate nelle tradizionali palestre dette Akhara, davanti ad una
moltitudine di tifosi entusiasti”[1]. Si
tratta di uno sport da combattimento brutale, senza esclusione di colpi, che
richiede coraggio, forza, agilità e conoscenza dei punti vitali (i marma).
L’allenamento
dei lottatori indiani –che in genere, a prescindere dagli orientamenti
religiosi, sono carnivori[2] - si
basa su tre diversi tipi di esercizi:
-
Una specie di Yoga dinamico
- assai simile agli esercizi che oggi, nelle moderne tecniche di allenamento
occidentali, vengono definiti “Natural Movement” e “Animal Locomotion”
- per sviluppare agilità e flessibilità;
-
La pratica del “Malla-khamba”
o Yoga acrobatico - considerato anche uno sport a sé stante - che consiste
nell’assumere degli āsana su un palo di legno o appesi a corde.
-
Esercizi con clave, sfere e dischi di pietra per lo sviluppo della
forza.
43 Lottatore
indiano si allena con il disco di pietra. Fonte: https://i.pinimg.com/736x/e7/f8/4b/e7f84b67d7a37a8c14191373dab2066f.jpg
Per
un occidentale questi omoni, grandi mangiatori di carne, che si allenano otto
ore al giorno per sviluppare i muscoli sono agli antipodi dello yogin e del
maestro spirituale. Nessuno di noi potrebbe immaginare, ad esempio, l’efebico
Kṛṣṇa, lucido di sudore e olio di sesamo afferrare al collo un avversario e rotolarsi
nel fango per finirlo a calci e pugni.
Kṛṣṇa,
lo sanno anche coloro che non si occupano di Yoga, veste abiti di seta
profumati, indossa ghirlande di fiori e suona, col il suo magico flauto,
melodie dolcissime piegando la testa e il corpo come un giunco mosso dal vento.
Kṛṣṇa
è il bambino goloso di burro beniamino delle madri del suo paesello, che ridono,
beate, delle sue burle. Le giovani donne accorrono al suono del suo flauto per
danzare insieme a lui e la bellissima Rādhā passa le ore a carezzargli i bei
boccoli neri.
Gli
“Hare Krishna” che dagli anni ’60 colorano le nostre città con gli abiti ocra e
arancio, i loro canti devozionali e le loro danze allegre, hanno contribuito
non poco al successo, in occidente, di questo dio fanciullo, dolce e benevolo,
venuto a sacrificarsi per amore dell’umanità.
Il
soave Kṛṣṇa, forse anche per l’assonanza con Cristo, è entrato nel cuore di
molti occidentali come emblema dell’amore in tutte le sue declinazioni: amore
per la madre, amore per il coniuge, amore per i figli, amore per l’umanità,
amore per tutte le creature.
44 Kṛṣṇa suona il flauto per Rādhā. Fonte: https://www.quora.com/Why-does-Lord-Krishna-always-hold-a-flute
Kṛṣṇa
e i campioni di Malla-Yuddha sembrano appartenere a due culture, anzi a due mondi,
completamente diversi, ma, è sufficiente sfogliare due dei principali testi
della tradizione indiana, il Bhāgavata
Purāṇa[3], e
il Mahābhārata (conosciuto anche come
Kṛṣṇaveda) per renderci conto, una
volta di più, dell’enorme differenza che corre tra la nostra visione della
storia e della filosofia dell’India e l’India reale:
Il
dolce pastorello, tutto sorrisi e moine, era infatti, al di là di ogni
possibile dubbio, il più grande lottatore dei suoi tempi. La sua fama, le sue
ricchezze, addirittura il suo regno li avrebbe conquistati grazie alla forza
sovrumana e all’abilità dimostrate sia nel combattimenti sia nel Jallikattu,
la lotta con i tori ancora praticata nel moderno Tamil.
45
Krishna kills Kamsa" By Martadas Pirbudial -
http://www.ebay.com/itm/India-Old-Litho-KRISHNA-KILLS-KANSA-2639-/400331809585?pt=LH_DefaultDomain_0&hash=item5d35a2a331,
Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=22395572
Una
delle più famose imprese di Kṛṣṇa, ad esempio, è l’uccisione del “Tiranno
Kaṃsa”, una storia famosissima in India, raccontata anche nei libri per
bambini e nelle fiction televisive. La trama è assai semplice:
Kaṃsa, re di Vrishni organizza nella capitale del suo regno, Mathura,
un torneo di lotta a squadre, a cui partecipano anche Kṛṣṇa e il
fratellastro Balarāma. I due affrontano Chanura e Mustika,
i due campioni locali, sconfiggendoli facilmente. Quindi Kṛṣṇa si lancia su un
infuriato Kaṃsa, e lo massacra senza pietà, a pugni nudi[4].
In India Kṛṣṇa, che noi automaticamente assimiliamo
alla figura compassionevole di Cristo, è un lottatore feroce che ammazza gli avversari
a calci, pugni e ginocchiate. I suoi devoti raccontano che lui esercita così la
sua opera salvifica, spaccando ossa e teste, e che tutti coloro che vengono
massacrati nei suoi innumerevoli incontri di lotta muoiono felici, e lo
ringraziano perché lo hanno riconosciuto come incarnazione di Viṣṇu.
Dal
Mahābhārata si scopre anche che è un feroce cacciatore: insieme al nipote Ārjūna
dà fuoco ad una foresta e scanna senza pietà tutti gli animali in fuga.
Fare
una lista degli uomini, dei demoni massacrati (e quindi salvati) dai suoi calci
e dai suoi pugni è un’impresa improba. Ne citeremo solo alcuni[5]:
-
Pūtanā
(parola che significa “putrefazione”). Tenta di avvelenarlo con il latte e
viene strangolata da un Kṛṣṇa ancora bambino.
- Trinavita (o Tṛnavṛta)
che si presenta in forma di tornado, viene preso al collo e schiacciato a
terra.
-
Aghāsura, fratello
maggiore di Pūtanā, è un gigantesco serpente che finisce soffocato e con la
testa rotta.
-
Dheruka, invece è un
“asino”, che combatte contro Kṛṣṇa e il fratellastro. Grande lottatore dà un
calcio volante al petto di Balarāma, ma questi gli afferra le gambe, lo fa
roteare e lo schianta contro un albero.
-
Ariṣṭāsura va a sfidare
il “pastorello” dopo essersi trasformato in un gigantesco toro. Kṛṣṇa lo
afferra per lo corna, lo rovescia a terra e lo tempesta di calci. Quando
l’altro è ormai privo di sensi gli strappa le corna e lo uccide.
-
Keśi, assume la forma di un cavallo enorme, veloce come il vento. Tenta
di colpire il nostro eroe con le zampe davanti, ma questi lo afferra per le
zampe posteriori - come aveva fatto Balarāma con Dheruka - e lo lancia
a grande distanza. Keśi si rialza, e cerca di mordere Kṛṣṇa, che con
un diretto gli spacca tutti i denti e poi lo costringe a terra con una presa di
strangolamento. Il cavallo cerca ancora di colpirlo con i suoi calci, ma ormai
è finita: anche lui è costretto ad abbandonare le sue spoglie terrene.
Uno
dei pochi a cui il “dio bambino” risparmia la vita è Jambavana, il re
degli orsi, uno degli eroi del Rāmāyaṇa. L’incontro durò 28 giorni, alla fine l’orso, esausto, si gettò a terra, ammettendo la sconfitta e
riconobbe Kṛṣṇa come incarnazione di Rāma[6].
Siamo
sicuri che molti, leggendo queste storie si stupiranno e le giudicheranno poco
credibili, ma la letteratura indiana, dal Bhāgavata
Purāṇa al Viṣṇu Purāṇa, dalla Bhagavad
Gītā al Ghata Jātaka[7],non lascia dubbi: la vita di Kṛṣṇa è un susseguirsi di combattimenti e il tempo che passa
nelle “fosse di fango” - i ring dell’epoca - è di gran lunga maggiore di quello
trascorso nella foresta a suonare il flauto. Lo riconoscono, implicitamente, anche
i pacifici Hare Krishna: i loro libri devozionali sono pieni di raccapriccianti
scene di combattimento.
Ecco
alcuni esempi:
1)
Kṛṣṇa
spezza i denti del “Cavallo” e lo atterra con un calcio al ventre:
2)
Kṛṣṇa entra
nella bocca del “Serpente” prima di soffocarlo e spaccargli la testa.
3)
Kṛṣṇa
uccide la “Gru” (il demone uccello Bakāsura).
4)
Kṛṣṇa atterra
il “Toro” prima di ucciderlo sotto lo sguardo amorevole di pavoni e colombe.
Non
ci sono molti dubbi sul fatto che Kṛṣṇa fosse un lottatore di Malla-Yuddha,
la sua forza e la sua ferocia sono riconosciute anche dai buddhisti: nel testo che
abbiamo già citato, il Ghata Jātaka[8], si racconta di come Kṛṣṇa e i suoi
“nove fratelli” facessero parte di una famiglia di wrestler e di come abbiano conquistato
il regno di Kaṃsa grazie alla loro abilità di lottatori.
Che
Kṛṣṇa abbia ottenuto ricchezze, amore e gloria eterna grazie al Malla-Yuddha
è cosa più che plausibile in un paese in cui la lotta era considerata un’arte
sacra, e questo, facciamo attenzione, non toglierebbe assolutamente niente alla
sua grandezza, anzi. Kṛṣṇa in India non è considerato un dio nell’accezione
occidentale del termine, ma un pūrṇa
puruṣa, un “essere umano intero”, ovvero una persona, nata, vissuta e
morta, che ha realizzato tutte le sue potenzialità.
Kṛṣṇa
non è Cristo, non è sceso sulla terra per sacrificarsi in nome dell’umanità, ma
è un povero contadino che grazie alla sua forza e alla sua abilità diviene il
più grande lottatore della sua epoca, il più grande seduttore - si dice abbia
avuto duecento mogli - e infine il sovrano di un regno prosperoso; Kṛṣṇa è
una figura da mitizzare e da tramandare ai posteri perché ha realizzato tutti
gli scopi dell’esistenza - puruṣārtha – diventando un esempio per le future
generazioni.
Diceva
Vivekananda ai suoi allievi:
“You will understand the Gita better with your biceps, your muscles, a
little stronger. You will understand the mighty genius and the mighty strength
of Kṛṣṇa better with a little of strong blood in you.”
I
muscoli, i bicipiti e il sangue che scorre forte nelle vene possono essere
strumenti per la comprensione delle scritture. Non bisogna “studiare Kṛṣṇa”,
dice Vivekananda, bisogna “realizzarlo” rivivendo attraverso lo sport le sue
gesta. La competizione, in quest’ottica, diviene una rappresentazione rituale delle
gesta degli antichi eroi, un “gioco” nel quale non esistono nemici, ma compagni
di viaggio grazie ai quali possiamo riconoscerei nostri limiti e sviluppare le
nostre potenzialità.
[1] Stiamo
citando il giornalista indiano Devdutt Pattanaik (https://www.mid-day.com/articles/devdutt-pattanaik-krishna-the-wrestler/17259162).
[2] Per fare un esempio: l “Grande Gama”, il più famoso
campione indiano del XX secolo, ogni giorno beveva 10 litri di latte e mezzo
litro di Ghee (burro chiarificato) con pasta di mandorle, mangiava 4 chili di
frutta di stagione, 2,4 chili di burro, e, tra una seduta di allenamento e
l’altra, divorava due piatti di carne di montone e sei piatti di pollo cucinato
con curry, cipolle e spezie a volontà.
[3] Il Bhagavati
Purāṇa, (letteralmente "Il Purāṇa dei seguaci del Bhagavat")
conosciuto anche come Śrīmad Bhāgavatam, è uno dei testi sacri della
tradizione induista.
Attribuito a Vyasa, autore del
Mahābhārata, è composto da 14.579 strofe divise in dodici sezioni o canti. Il
tema centrale dell'opera è Viṣṇu/Kṛṣṇa qui inteso come il Bhagavat, Dio,
la Persona suprema.
Il primo canto fornisce un elenco
degli avatara di Viṣṇu, ed i canti successivi ne descrivono in dettaglio le
caratteristiche ed i līlā (passatempi); il decimo e l'undicesimo canto
offrono una narrazione dettagliata dell'apparizione di Kṛṣṇa, dei suoi passatempi
a Vrindavana e delle sue istruzioni ad alcuni devoti. Il canto finale,
il dodicesimo, anticipa l'avvento dell'età del Kali yuga (l'era attuale, in
accordo con il ciclo induista), e la futura distruzione dell'universo materiale
da parte di Kalki.
S
[4] Fonte:
-
Dhallapiccola
Anna, Dictionary of Hindu Lore and Legend.
ISBN
0-500-51088-1.
-
George M.
Williams. Handbook of Hindu Mythology.
Oxford University Press. p. 178. ISBN 978-0-19-533261-2.
-
John Stratton Hawley; Donna Marie Wulff. The Divine Consort: Rādhā and the Goddesses
of India. Motilal Banarsidass (1982). p. 374. ISBN 978-0-89581-102-8.
-
Aiyangar Narayan. Essays on Indo-Aryan Mythology-Vol. Asian Educational Services. p.
503. (1901) ISBN 978-81-206-0140-6.
[5] La narrazione dei combattimenti e la
precisa descrizione delle mosse dei lottatori ci ha fatto venire in mente
un’ipotesi bizzarra: nella nostra pur limitata esperienza negli sport da
combattimento indiani abbiamo incontrato molte tecniche e posizioni con nomi
animali. Nel Kalari Payattu ad esempio, si parla di nove posture (vadivu)
principali - Cavallo, Elefante, Gatto, Serpente, Cinghiale, Pavone, Pesce,
Gallo e Leone – e lo stesso accade se non sbagliamo, in tutti gli altri sport
da combattimento, comprese le discipline cinesi, giapponesi e occidentali. Non
sarà, ci è venuto da pensare, che i nomi ridondanti dei demoni uccisi o
sconfitti dal Signore Kṛṣṇa non indichino in realtà le tecniche usate dai
suoi avversari? Chi conosce un minimo la Boxe e il Wrestling moderni sa che è
abitudine dare ai fighters dei soprannomi che ricordano le loro caratteristiche
fisiche o le loro tecniche preferite come “Toro scatenato”, “Tiger mask”, The
Rock”, “The Snake” …perché non supporre che anche nell’India antica vigesse
questa abitudine? Non vogliamo certo offendere i devoti di Kṛṣṇa, ma a noi
che fatichiamo a credere a demoni che si trasformano in animali mostruosi o in
turbini di vento, non dispiace affatto l’idea che “Orso”, “Toro”, Cavallo
Selvaggio”, “Gru”, “Asino”, “Serpente” siano semplicemente i Nick name di
antichi lottatori, famosi per il loro coraggio, per la loro forza e, a volte,
magari per la loro ferocia.
[6] Fonti:
-
Patricia
Turner, Charles Russell Coulter. Dictionary of ancient deities. 2001, page
248
-
^ Magnotti,
Angela; rews. "Jambavan
Fights Krishna (Syamantaka Mani Legend, Part 5)".
[7] I Jātaka
sono I racconti delle vite precedenti di Buddha. Il Ghana Jātaka narra le
vicende di Kṛṣṇa considerato una precedente incarnazione di Buddha.
[8] Fonti:
-
Cowell,
E.B.Cowell, E.B. The Jataka or Stories of
the Buddha's Former Births, Vol.1-6, Cambridge at the University
Press.(1895)
-
Francis, Henry
Thomas. Jātaka tales, Cambridge:
University Press. (1916)
conosciuto anche come Śrīmad Bhāgavatam
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