Il 13 ottobre scorso ero a Roma a fare il giudice per le ”Yoghiadi nazionali” , una gara di yoga la cui istituzione, all’inizio di quest’anno, ha suscitato un mare di polemiche.
Nei mesi precedenti c’erano stati scontri dialettici accesissimi, e per me incomprensibili: “Se uno prova soddisfazione a confrontarsi con altri yogin nella maniera di assumere una posizione, per avere coscienza dei propri limiti o anche per il gusto di gareggiare“– mi dicevo – “che male c’è?”. In fondo in India fanno gare di Yoga da secoli[1] senza che nessuno abbia niente da ridire, e poi, mi dicevo – “Perché arrabbiarsi tanto per l’istituzione di una disciplina chiamata “Ginnastica Yoga”? - Allora dovremmo irritarci tutte le volte che sentiamo la parola yoga associata a discipline non sicuramente non hanno a che vedere con la tradizione indiana…come lo “Yoga della Risata”, o lo “Yogilates” o “I Cinque Riti Tibetani” (una sequenza di esercizi praticata nelle palestre americane negli anni ’30 entrata a far parte di una sceneggiatura hollywoodiana)…Uno yogin dovrebbe tendere alla non dualità, ovvero evitare di polarizzarsi e di difendere le proprie opinioni usando le armi del sarcasmo e l’aggressione verbale, cosa che, in genere, nei mesi precedenti alla manifestazione di Roma non è accaduta.
Perché? Qual è il motivo per cui l’istituzione di una disciplina sportiva chiamata “Yoga” e proveniente dall’India, un paese in cui la competizione è sacra, ha tanto esacerbato gli animi?
La manifestazione è stata un successo: 140 yogin di tutta Italia hanno partecipato senza che affiorasse neppure per un istante quell’esacerbato spirito agonistico o quell’esaltazione dell’ego di cui parlavano molti miei colleghi nei mesi precedenti.
Per ciò che mi riguarda mi sono divertito parecchio, è raro passare tre giorni con tanta gente sconosciuta senza mai un istante di tensione o il minimo dissapore.
Per cui la domanda ha continuato ad essere senza risposta:
Qual è il motivo per cui l’istituzione di una disciplina sportiva chiamata “Ginnastica Yoga” e proveniente dal paese in cui la competizione è sacra, ha tanto esacerbato gli animi?
4 Due brahmini impegnati in un incontro di lotta. Dai simboli
disegnati sulla fronte si intuisce che si tratta di un prete shivaita (a
sinistra) e di un prete vaishnava (a destra).
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Da decenni esistono, ad esempio, le gare di danza. La danza, Arte con la A maiuscola, è considerata dal CONI uno sport ed io, che ho lavorato 30 anni come danzatore, non ho mai sentito una sola danzatrice classica o una sola coreografa, attaccare la danza sportiva.
Anzi ricordo delle bellissime collaborazioni, alla Scala negli anni ’90, tra danzatori, ginnasti e atleti di varie discipline. Perché molti yogin italiani si infuriano se si parla di contaminazioni tra yoga e sport?
Poi ho avuto una rivelazione: mi sono ricordato di una riunione tra insegnanti avvenuta nel settembre dell’anno scorso nella quale, per la mia propensione per il lavoro fisico, ero stato definito “corpista” in senso dispregiativo.
Mi spiego: c’è una tendenza, soprattutto italiana, a discriminare tra pratiche devozionali, psicologiche e mentali da una parte e pratiche fisiche dall'altra, con le prime che sarebbero di un livello più elevato e le altre, definite “da corpista”, di un livello inferiore.
Da una parte ci sarebbe quindi lo yoga “vero” e dall'altra “la ginnastica” vista come un qualcosa di basso rango.
Sulla base di questa discriminazione – basata su un errata interpretazione di insegnamenti gnostici e paolini[2] - le gare di yoga rappresenterebbero quindi un pericolo perché molti praticanti, attratti dalla possibilità di mettersi in mostra e di lavorare perla bellezza esteriore, potrebbero – secondo questa concezione duale mente-spirito=buono e corpo=meno buono – abbandonare la via del ”vero yoga”.
Sempre partendo dal principio che ognuno ha il diritto di esprimere le proprie opinioni e che tutte le opinioni vanno rispettate, vorrei dire che secondo me c’è un equivoco: lo yoga è una pratica medioevale assolutamente “corpista”.
In tutti, o quasi i testi medioevali si parla delle posizioni di base (84 in genere), di mudrā, di bandha, delle tecniche di purificazione fisica e in alcuni, sono pure descritte le tecniche di allenamento per gli yogin e i brahmini che partecipavano a gare di lotta (Malla Yuddha), di yoga acrobatica (Malla Khamba) e di addirittura di “Yoga in Acqua”, una specie di nuoto sincronizzato di cui mi ha mandato notizie un collega del Tamil Nadu.
Gli yogin almeno dal tempo di Agastya – autore insieme alla moglie Lopamudra di diversi inni del ṛgveda – sono i custodi degli sport da combattimento indiano e già questo sarebbe abbastanza per chiudere definitivamente la,secondo me, inutile diatriba “Gare di Yoga Si /Gare di Yoga No”: le Arti marziali per loro natura hanno assoluta necessità di confronto e senza la competizione e l’esibizione non avrebbero alcun senso.
Come si fa a giudicare l’efficacia di una tecnica di bastone del Silamban senza mai metterla in pratica?
Come si potrebbe migliorare nella pratica del kalarivadivukal (le sequenze basate sulle posture degli animali nel kalaripayatt) senza il confronto con altri marzialisti?
La competizione nell'India antica era considerata sacra e chiunque venisse sfidato ad un duello filosofico, una gara di tiro con l’arco, una partita a scacchi o un incontro di lotta non poteva esimersi dal raccogliere la sfida, pena il disonore.
E allora da dove nasce il rifiuto netto di molti yogin italiani all'istituzione di gare di yoga e alla creazione di una disciplina denominata “Ginnastica Yoga”?
Secondo me, anche se alcuni commenti sono stati eccessivamente duri e sarcastici, gli yogin che hanno espresso il loro disappunto per questa innovazione hanno le loro ragioni, che comprendo e in parte condivido, ma sbagliano, sempre secondo me ribadisco, a ergersi a paladini della “Vera Tradizione” o del “Vero Yoga”.
Fino al 1896, quando Vivekānanda scrisse il libro “Raja Yoga” in cui identificava lo Yoga Darśana con i quattro “libri” di Patañjali, lo Yoga era decisamente e ineluttabilmente “ateistico” e “corpista”, e gli yogin si guadagnavano da vivere facendo gare ed esibizioni.
Poi Vivekānanda, seguito dagli altri “Fighters of Freedom Bengalesi” cominciò insegnare un Vedānta “riformato”e lo chiamò Yoga.
È quello che ancor oggi in molte scuole e centri spirituali viene definito Yoga, ed è per anche questo che, sempre secondo me, molti praticanti pensano che le pratiche fisiche siano in secondo piano rispetto alle pratiche devozionali e psicologiche.
Ma tecnicamente parlando non è Yoga! Si tratta di un equivoco innescato, volontariamente o involontariamente, da Vivekananda con la sua divisione, ad uso degli occidentali, del Vedānta riformato in quattro branche chiamate:
1. “Jnana Yoga- lo Yoga della conoscenza”;
2. “Bhakti Yoga – lo Yoga dell’amore e della devozione”;
3. “Karma Yoga- lo Yoga dell’azione”;
4. “Raja Yoga – lo Yoga di Patañjali.
Facciamo attenzione ché dire, ad esempio, “l’unico vero Yoga è Bhakti”, dal punto di vista filosofico è una contraddizione in termini perché lo Yoga Darśana è “ateistico”. Bhakti si riferisce quasi esclusivamente al Vedānta duale di Caitanya, tanto è vero che gli Hare Krishna, correttamente, definiscono l’insieme dei loro insegnamenti Bhaktivedānta.
Che poi un Hare Krishna o uno Jñanin pratichino tecniche psicofisiche finalizzate, per esempio alla salute e le definiscano yoga è un altro discorso, ma tra Yoga e Vedānta, parlando in termini filosofici, c’è una grossa differenza.
Dire che il Vedānta è Yoga (o viceversa) sarebbe come, per un filosofo occidentale, affermare che il Materialismo Storico è Neoplatonismo: sono Darśana diversi!
Insomma, ognuno deve essere libero di esprimere le proprie opinioni e di difenderle, all’occorrenza (magari senza aggressività e sarcasmo…), ma forse dovremmo cominciare a considerare l’eventualità che i 140 ragazzi che hanno partecipato alle Yoghiadi nazionali sono “nel solco della tradizione indiana” almeno quanto i miei colleghi che affermano che l’unico yoga è Bhakti o che il vero e unico yoga è quello di Patañjali.
Mi piacerebbe discutere su questi temi, ma per favore senza toni eccessivi, sarcasmo o aggressività. Di seguito incollo un articolo del nostro libro “Storia Segreta dello Yoga” (https://www.amazon.it/dp/1697773559) in cui, cerchiamo di ricostruire le dinamiche che hanno portato alla sostituzione dello yoga tradizionale medioevale (“corpista” e ateistico), con il Vedānta riformato dei patrioti bengalesi.
Vi prego di leggerlo con attenzione e, se volete di commentarlo. Lo yoga è un’arte meravigliosa ed è il più grande dono che Barathi Mata, la grande madre India, ha fatto al mondo intero e credo che cercare di far luce sulle sue origini sia un imperativo morale per tutti i praticanti.
“Satyameva
Jayate” (Solo la verità trionfa)
[1] Vedi: “Storia
Segreta dello Yoga”, https://www.amazon.it/dp/1697773559
[2] Vedi:
“Storia Segreta dello Yoga, “La Ginnastica come Arte del Corpo”.https://www.amazon.it/dp/1697773559
[1] Vedi: “Storia
Segreta dello Yoga”, https://www.amazon.it/dp/1697773559
[2] Vedi:
“Storia Segreta dello Yoga, “La Ginnastica come Arte del Corpo”.https://www.amazon.it/dp/1697773559
I QUATTRO YOGA DI VIVEKANANDA
19 Swami
Vivekananda nel 1896.Fonte: http://www.Yoga-thailand.com/respect.html
Questa frase, inequivocabile, pronunciata da Swami
Vivekananda[2]
nel 1897 - “Sarete più vicini al paradiso
giocando a calcio che studiando la Bhagavadgītā”
– è ancora oggi fonte di accesi dibattiti.
Ad alcuni sembra un battuta blasfema, e trovano
bizzarro che a pronunciarla sia stato un maestro spirituale della grandezza di
Vivekananda; altri invece pensano che la frase nasconda un appello a ribellarsi
contro l’impero inglese e altri ancora individuano nelle parole di Vivekananda una
chiave per arrivare alla reale comprensione dello Yoga.
Sicuramente - data l’importanza che la Bhagavadgītā e Vivekananda hanno nella storia e nella cultura
dell’India, si tratta di un episodio che vale la pena di approfondire.
La Bhagavadgītā[3]
considerata in occidente il più fulgido esempio della filosofia e
della poesia indiane è un testo venerato dai vaiṣṇava (devoti di Viṣṇu),
dagli Hare Kṛṣṇa - eredi dell'antico
culto devozionale monoteistico detto “Bhagavatismo”
- dagli śaiva (devoti di Śiva) e dagli śākta (devoti della Dea), in altre parole la Bhagavadgītā è considerata un libro sacro;
Vivekananda – il cui vero nome era Narendranath Dutta
- simpatizzante del Brahmo Samaji[4], e fondatore
del potente ordine religioso chiamato Ramakrishna Math, è considerato
uno dei padri dell’India moderna.
A lui sono dedicati strade, monumenti, scuole di
polizia[5], università[6], aeroporti[7] e, nel
2011 Pranab Mukherjee – allora ministro delle
finanze e in seguito presidente dell’India fino al 2017 – ha finanziato con 14
milioni di dollari lo “Swami Vivekananda
Values Education Project”, un progetto finalizzato alla diffusione
dell’opera di Vivekananda tramite l’istituzione di circoli culturali, concorsi
letterari, pubblicazione di saggi e la traduzione in varie lingue delle sue
opere.
Dalla biografia di Narendranath[8], si
apprende che la Bhagavadgītā era “la compagna della sua vita” – “Bhagavad Gita was Swami Vivekananda's
lifelong companion” – tanto che nel suo periodo di “monaco errante”, dal
1888 al 1893, viaggiò per molti stati
dell’India portandosi dietro solo il
kamandalu, la brocca per l’acqua tipica dei sannyasin, e due libri: “Imitazione di Cristo[9]”
e, appunto, la Bhagavadgītā.
Per quale motivo allora, nel 1897, a Calcutta, davanti
ad una platea gremita di studenti ed intellettuali, si lasciò scappare quella
che pare una battuta blasfema?
Perché Narendranath invitò i giovani a lasciar perdere
lo studio della Gītā per
andare a giocare a pallone?
L’invito a dedicarsi allo sport anziché alla lettura
delle scritture appare ancora più paradossale se si considera che Vivekananda,
a sentire le testimonianze dei suoi allievi occidentali, era tutt’altro che un
fautore dello sport e delle attività fisiche: gli āsana e le sequenze
di haṭhaYoga, per esempio, a suo dire erano “roba per fakiri e mendicanti che si esibiscono in posture complicate
per denaro” e l’autentico yogin, sempre secondo i suoi insegnamenti, deve mantenere
costantemente la mente sulla divinità (il Brahman, inteso come Assoluto)
e dedicarsi “al prāṇāyāma, alla
meditazione e al pensiero positivo”[10], senza
“perdere tempo con la ginnastica”.
Riflettere su questa frase - “You will be nearer to heaven playing football than studying the
Bhagavadgītā” – e sui motivi che
hanno spinto Vivekananda a pronunciarla, secondo noi ci
mostrerà un lato poco conosciuto dello Yoga e ci aiuterà a vedere le differenze,
sostanziali, esistenti tra l’attuale Yoga occidentale e quello, tradizionale,
indiano.
20
Vivekananda (quarto da destra) con la delegazione indiana al Parlamento
Mondiale delle Religioni di Chicago (11 settembre 1893). Fonte: https://en.wikipedia.org/wiki/Swami_Vivekananda#/media/File:Swami_Vivekananda_at_Parliament_of_Religions.jpg.
Vivekananda appartiene alla più alta nobiltà bengalese,
quella dei Bengali Kayasthas[11], tra
il 1883 e il 1884 aderisce alla Massoneria e al Brahmo Samaji. Secondo
Elizabeth de Michelis fu in questo periodo che si interessò all’esoterismo
occidentale mettendo a punto “un sistema di esercizi di pratica spirituale
che poi avrebbe diffuso in occidente come Yoga” [12].
Nel 1885 diventa discepolo di Ramakrishna, che muore
nell’agosto del 1886. Nel dicembre di quell’anno decide di abbandonare il suo
nome, Narendranath Dutta e si battezza swami Vivekananda.
Nel 1892 ottiene da Bhaskara Sethupathy, raja di Madurai,
i finanziamenti per viaggiare in Occidente.
L’anno successivo si presenta, non invitato, al Parlamento
Mondiale delle Religioni - "as a monk of the oldest order of sannyāsis...
founded by Sankara” – e grazie alla sua faccia
tosta e alla complicità del delegato
indiano Chandra Majumdar, riesce a farsi inserire nella lista dei relatori.
L’11 settembre del 1893 sul palco del Parlamento Mondiale delle Religioni a
Chicago, Vivekananda introduce per la prima volta in Occidente il Brahmoismo
e gli esercizi spirituali di Keshub Chandra Sen[13] con
un intervento che cambierà la storia dello Yoga e, probabilmente, la storia
dell’India.
Il Brahmoismo, definito dagli storici “Bourgeois
Hinduism” - induismo borghese – è una religione creata nella prima metà del
XIX secolo da Ram Mohan Roy’s e Debenedrath Tagore sulla base di una rilettura
– e talvolta una riscrittura – degli insegnamenti induisti in chiave cristiana
e monoteista. Nel 1860 il Brahmoismo si era staccato ufficialmente dall’induismo
e nel 1861 era nato il Brahmo Samaji, il “braccio politico” del
Brahmoismo, che avrà un ruolo fondamentale nella nascita della nuova India.
L’11 settembre 1893, davanti ai delegati del
Parlamento delle Religioni, Vivekananda parlò di fratellanza universale e di tolleranza[14] con
riferimenti sia alla tradizione indiana sia al “Pensiero Positivo”.
Il suo discorso riscosse un successo clamoroso: le
settemila persone presenti gli tributarono una “standing ovation” di due minuti
e Narendranath Datta divenne improvvisamente uno dei personaggi
più celebri del suo tempo, conteso da università, dai circoli esoterici e dai
salotti più esclusivi degli Stati Uniti[15].
Ciò che accadde quel giorno
e gli eventi che ne seguirono portarono alla creazione di uno Yoga moderno, che
ammiccava ai movimenti esoterici dell’epoca, come la Società Teosofica[16] o la “Chiesa Scientista”.
Uno Yoga che potremmo definire brahmoista”, sensibilmente diverso dallo Yoga
tradizionale dei Gymnosophisti e dei sannyasin;
Uno Yoga, si faccia
attenzione, né migliore né peggiore dell’altro, ma semplicemente “diverso”.
21
Vivekananda a Chicago nel 1893. Fonte: https://www.nytimes.com/2011/10/02/opinion/sunday/how-Yoga-won-the-west.html
Il “Parlamento Mondiale
delle Religioni” - in cui per la prima volta fu presentato l’induismo riformato
di Debenedranath Tagore e Ram Mohan Roy – era nato da un’idea di un potente
giudice americano, Charles C. Bonney.
Bonney, membro di spicco
dell’élite culturale, politica ed economica dell’epoca, era un attivista della “New Jerusalem Church”, un’organizzazione religiosa che univa gli
insegnamenti cristiani all’esoterismo occidentale[17].
Come molti pensatori
dell’epoca credeva che fosse giunto il momento – si era alle porte del XX
secolo – di creare una religione universale, basata sulla pace, l’amore e la
tolleranza, ragion per cui, a fianco dell’Esposizione Universale della Scienza
e della Tecnica di Chicago – di cui era presidente – decise di organizzare un
“Parlamento Mondiale delle Religioni, cui avrebbero partecipato i
rappresentanti delle maggiori religioni del mondo”.
Al convegno, a dir la
verità, non erano presenti né cattolici, né ebrei e, in rappresentanza
dell’Induismo non furono invitati né brahmini, né sannyasin, né sadhu, ma un esponente
del Brahmo Samaji - Pratap Chandra Majumdar– e due membri della “Società Teosofica”, William Quan Judge
e Annie Besant,
cui fu aggiunto all’ultimo momento, con false credenziali, Vivekananda.[18].
22 Foto di gruppo della delegazione orientale al
Parlamento delle religioni (Vivekananda è al centro). Fonte: https://en.wikipedia.org/wiki/Swami_Vivekananda#/media/File:Swami_Vivekananda_1893_with_The_East_Indian_Group.jpg
Per ciò che riguarda quel
“Pensiero Positivo” che ricorre spesso nei discorsi di Vivekananda e negli
scritti dei suoi discepoli, occorre specificare che non si tratta di un
generico ottimismo, ma di una precisa filosofia.
Il Pensiero Positivo nasce nel
XIX secolo negli Stati Uniti e si sviluppa attorno a due movimenti esoterici - il
“New Thought Movement” e la “Chiesa Scientista”
– il cui credo si può riassumere in quattro principi fondamentali che
risuonano, ancora oggi, negli ambienti New Age:
1. Dio, o infinita
intelligenza, è unico, onnipervadente, universale ed eterno;
2. La divinità
dimora in ogni persona, poiché tutte le persone sono esseri spirituali;
3. Il più alto
principio spirituale è amarsi reciprocamente incondizionatamente, gli esseri
spirituali insegnano l’uno all'altro e si guariscono a vicenda";
4. "I nostri
stati mentali” si esprimono nella manifestazione e diventano la nostra esperienza
nella vita quotidiana.
Gli insegnamenti del “New Thought Movement” ponevano l’accento sulla mente, intesa come
tramite tra Dio e la materia, e sulle sue capacità di modificare la
manifestazione; in altre parole secondo la filosofia del “Nuovo Pensiero” il
corpo umano e gli eventi quotidiani non sarebbero altro che una
rappresentazione degli stati mentali, per esempio:
-
Se mi ammalo o non trovo lavoro o sono
sfortunato in amore, significa che i miei stati mentali sono negativi;
-
Se sono in salute, ho un lavoro soddisfacente e
sono felicemente sposato, al contrario, sto “pensando positivo”.
Grazie al movimento New Age
e alla “Legge dell’Attrazione” questi concetti ci sono assai familiari, ma
nonostante ciò che oggi credono in molti, non sono completamente condivisi né dall’insegnamento
dello Yoga originario - quello dei Gymnosophisti per intenderci – né da quelli
del buddhismo, che si basavano entrambi sulla ricerca della percezione
oggettiva degli eventi e non sulle possibilità di modificarli.
Comprendere la differenza
esistente tra l’insegnamento tradizionale indiano e quello dell’Occidente
moderno non è semplicissimo. Ma forse un esempio può esserci di aiuto: Ecco
cosa scrive Patañjali, riecheggiando Buddha negli
Yoga Sūtra (I.33):
“La purificazione della mente si realizza coltivando la cordialità, la compassione,
la gioia e l’indifferenza nei confronti delle esperienze che provocano piacere o
dolore, successo o fallimento.”[19]
Lo yogin che coltiva “l’indifferenza nei confronti delle esperienze che provocano piacere o
dolore, successo o fallimento” resta uguale a se stesso
a prescindere dagli eventi esterni.
L’adepto del pensiero
positivo crede invece che la sua mente abbia il potere di trasformare gli
eventi esterni.
Tenteremo di essere ancora più
chiari:
-
Lo yogin guerriero che perde una battaglia
contro gli invasori islamici o gli inglesi, non muta il suo stato interiore
perché sa che la vittoria o la sconfitta dipendono da una legge e da un ritmo
universali che prescindono i suoi desideri e le sue capacità; lo yogin
guerriero combatte, perché questo è il suo “dharma”, ma sa che vittoria e
sconfitta dipendono dal “karma” immodificabile che proviene
dalle sue vite precedenti.
- Per l’adepto del “Pensiero Positivo” gli esiti
di un confronto, di una malattia o di un colloquio di lavoro dipendono dalla
sua maniera di usare la mente, in altre parole è convinto che la mente possa
modificare il karma accumulato nelle vite precedenti.
Nello Yoga originario ciò che può mutare è la
percezione della realtà, non la realtà fenomenica.
La filosofia del “Pensiero Positivo” invece
afferma che la sfera delle energie e la sfera materiale sono subordinate alla
mente, la quale ha le capacità di modificare i fenomeni e quindi il corpo
fisico che viene considerato una mera rappresentazione degli stati mentali.
23
Phineas Parkhurst Quimby, mago, guaritore, fondatore del New Thought Movement e
maestro di Mary Baker Eddy, fondatrice della Chiesa Scientista Americana. Fonte:https://en.wikipedia.org/wiki/Phineas_Parkhurst_Quimby#/media/File:
Phineas_Parkhurst_Quimby_(courtesy_of_George_A._Quimby).jpg
Dopo il successo ottenuto al Parlamento Mondiale
delle Religioni”, Vivekananda fu invitato a tenere lezioni, conferenze e
seminari a Boston, Chicago e New York dove nel 1894 fondò la “Vedānta
Society” - a Vedānta
Temple for Universal Worship - ancora oggi uno dei più ricchi e potenti
centri religiosi indiani in occidente[20].
Nel 1897 torna in India dove fonda il Ramakrishna
Order (Ramakrishna Math).
Nel 1899 si mette di nuovo in viaggio verso gli Usa dove
fonda la Vedānta Society di San Francisco ed un Ashram in California.
Lo scopo principale delle “Società Vedānta” - che di lì a poco
saranno aperte in tutto il mondo - è quello di diffondere lo “Yoga di
Vivekananda” che appare, oggi, come un sapiente intreccio di elementi
tradizionali con l’Induismo riformato del Brahmo Samaji, i principi fondamentali
del New Thought Movement e la Teosofia.
24 Sala conferenze della Vedānta
Society of japan fondata nel 1958 a Zushi (Tokyo). Fonte: https://www.Vedāntajp-en.com/
Qui è necessaria una puntualizzazione, perché le definizioni “Yoga di
Vivekananda” o “Yoga Vedānta” nascondono un equivoco, o
meglio un gioco di parole.
Ai nostri
giorni, vuoi per i molti significati insiti nella parola Yoga –in sanscrito
significa anche “equipaggiare un esercito”[21]
- vuoi per l’abitudine a definire Yoga qualsiasi cosa che si occupi del
benessere psicofisico, parlare di Yoga Vedānta è normale, ma
per un filosofo preparato e acuto come Vivekananda “Yoga” e “Vedānta”, a
prescindere dai loro significati letterali, sono, anche e soprattutto, due
delle sei diverse scuole filosofiche dell’induismo chiamate Darśana[22].
Le due scuole (o “punti di vista filosofici”) - Yoga Darśana e Vedānta Darśana - differiscono sia
negli strumenti sia nell’impianto teorico:
1. Lo Yoga usa le pratiche fisiche per giungere alla
realizzazione ed è “ateistico”, ovvero non contempla l’esistenza di una
divinità creatrice[23];
2. Il Vedānta usa principalmente lo studio dei testi,
il “dialogo di istruzione” - simile alle tecniche di insegnamento di Socrate - la
pratica della riflessione e della meditazione, ed è “teistico”.
Swami Vivekananda, e i suoi
successori del Ramakrishna Order, non insegnano Yoga, ma Vedānta, anzi il Vedānta
riformato di Debenedrath Tagore e Mohan Roy.
I loro insegnamenti riguardano
soprattutto la riflessione sui testi, le pratiche meditative e gli aspetti
devozionali tipici del Vedānta, mentre non sono contemplati, o vengono citati
appena, il severo lavoro fisico, gli aspetti legati all’energia sessuale e i
legami con le altre discipline tradizionali indiane tipici dello Yoga.
Difficilmente troverete nei
libri di Vivekananda riferimenti allo Āyurveda (medicina), al
Jyotiṣa (astrologia),
al Vyāyāma (ginnastica tradizionale)
o alle Arti marziali, perché uno dei sui scopi è
quello di creare uno “Yoga of the West”, basato quasi
esclusivamente sui principi del Vedānta. Uno Yoga per gli occidentali, diverso
da quello praticato dagli indiani. Lo afferma lui stesso nel corso di
un’intervista alla Brooklyn Ethical Society:
25
Vivekanand ad una colazione sull'erba con organizzata dalle dame dell'alta
società californiana (Pasadena 1900. Fonte: https://www.nytimes.com/2011/10/02/opinion/sunday/how-Yoga-won-the-west.html
Quattro sono i libri sullo Yoga
attribuiti al “nuovo Buddha” dell’Occidente:
Quattro libri che pongono
le basi per una divisione dello Yoga in “quattro branche” - Jñāna, Bhakti, Karma e Rāja – presentata oggi
come “tradizionale” nella maggior parte delle scuole di Yoga nonostante – a
quanto ci risulta- non ci[PP1] siano prove
della sua esistenza prima del XIX secolo.
26 Edizione del 1920 del "Raja Yoga" di
Vivekananda. Fonte: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/1/14/Raja_Yoga_Vivekananda_title_page.jpg.
Se si leggono i quattro
libri di Vivekananda[29]alla
luce di quanto sappiamo oggi sulla storia dello Yoga e della filosofia indiana,
noteremo alcune singolari coincidenze[30],
delle apparenti dimenticanze[31]
e, degli errori, o forse sarebbe meglio dire “dei giochi di parole”, che
finiscono per generare molta confusione.
Non è facile spiegare, a
chi non ha una conoscenza approfondita delle scritture dello Yoga, i “giochi di
parole” realizzati, con ogni probabilità, da Vivekananda, ma pensiamo valga la
pena provarci:
Dello Yoga di Patañjali, definito Aṣṭāṅga
Yoga, o Yoga in otto parti, si sa che
a partire dalle lezioni americane di Vivekananda viene identificato con il Raja
Yoga, o Yoga reale[32], ritenuto
da molti, ancora oggi, lo Yoga autentico, lo Yoga “vero”, considerato ad un
“gradino superiore” rispetto allo Yoga che all’inizio abbiamo chiamato
“fisico”.
Ma secondo molti
commentatori attuali, tra cui David Gordon White[33] in India, fino al XIX secolo (e
almeno dal XII secolo), lo Aṣṭāṅga
Yoga di Patañjali era praticamente
sconosciuto e sarebbe stato portato a conoscenza del grande pubblico, sia
occidentale che orientale, proprio da Vivekananda e dalla Società Teosofica.
Prima di allora i
testi di riferimento per gli yogin erano altri, decisamente più “fisici” dello Yoga
di Patañjali:
1. Lo Ṣaḍaṅga Yoga,
ovvero lo Yoga in sei parti decritto in un testo di Gorakhnath, il Gorakṣaśataka (Gorakshashatakam) [34];
2. Il
Saptāṅga Yoga, ovvero lo Yoga in
sette parti descritto nella Gheraṇḍa Saṃhitā,
testo attribuito ad un maestro chiamato Gheraṇḍa[35].
3. Il
Caturaṅga
Yoga, ovvero lo Yoga in quattro parti descritto in un testo di Svātmārāma - un
allievo di Gorakhnath – lo Haṭhayogapradīpikā.
Il terzo di questi manuali – lo Haṭhayogapradīpikā – che tra i tre è il più studiato e citato ancora
oggi, inizia con un verso sibillino che in italiano suona più o meno così (Haṭhayogapradīpikā I.1):
“Sia lode al primo maestro che
rivelò la conoscenza dello Haṭhayoga, una scala che conduce alla vetta suprema
del Rāja Yoga.”
Il senso è chiaro, lo capirebbe anche un bambino: se si identifica lo Aṣṭāṅga
Yoga di Patañjali con il Rāja Yoga, il versetto
significa che lo Haṭhayoga, fatto di intense e rigorose pratiche
fisiche, non è una via alla realizzazione, ma conduce, al massimo a poter
praticare lo Yoga di Patañjali.
Quasi tutti i commentatori,
da Vivekananda in poi interpretano il versetto in questo modo, ignorando però –
o fingendo di ignorare- che in un brano successivo l’autore dello Haṭhayogapradīpikā spiega cosa è, secondo lui, il “Rāja Yoga” (Haṭhayogapradīpikā
IV, 3-4):
"Rāja
Yoga, samādhi, estinguere il Manas, andare oltre il Manas, Realtà, śūnyā...Stato
del Jīvanmukta, Sahaja, Turiya... Significano tutti la stessa cosa.”[36]
Rāja Yoga quindi è sinonimo di realizzazione, per cui Svātmārāma - l’autore dello
Haṭhayogapradīpikā – voleva
semplicemente dire che grazie alle pratiche psicofisiche dello Yoga si giunge
alla realizzazione, ma il gioco di parole di Vivekananda e le successive
traduzioni del primo versetto dello Haṭhayogapradīpikā,
ha fatto passare il messaggio che lo “Yoga fisico”
può essere inteso al massimo come una preparazione allo Yoga meditativo di Patañjali.
Un messaggio che non
corrisponde affatto al pensiero degli autori dello Haṭhayogapradīpikā, della Gheraṇḍa Saṃhitā e del Gorakṣaśataka, ma è frutto delle interpretazioni di
Vivekananda, che, come abbiamo visto, non
aveva, in apparenza, molta considerazione per le attività ginniche.
“Ma se
Narendranath Dutta disprezzava il lavoro sul corpo” - ci chiediamo – “perché
nel 1897 a Calcutta invitò gli studenti indiani a lasciar perdere le scritture
per andare a giocare a calcio?”
Vivekananda, come molti dei maestri spirituali indiani
del XIX e XX secolo, aveva a cuore la causa dell’indipendenza dell’India dai
dominatori inglesi. Il suo discorso, da cui abbiamo tratto la frase sul
football, era indirizzato ai giovani indiani, alla generazione che avrebbe
assistito alla nascita della nuova India, libera, democratica e in grado di
competere economicamente e culturalmente con le grandi potenze occidentali. Una
generazione che lui avrebbe voluto guerriera, portata all’azione e al cambiamento
(“rajasica”, commenta Swami Samarpanananda, docente di Filosofia alla Ramakrishṇa
Mission Vivekananda University[37]). Se
leggiamo il discorso integrale di Vivekananda, tratto da “The Complete Works of Swami Vivekananda/Volume 3 /Lectures from Colombo
to Almora/Vedānta in its Application to Indian Life”, le intenzioni dello
Swami appariranno un po’più chiare:
“First of all, our young men must be strong. Religion will come
afterwards. Be strong, my young friends; that is my advice to you. You will be
nearer to Heaven through football than through the study of the Gita. These are
bold words; but I have to say them, for I love you. I know where the shoe
pinches. I have gained a little experience. You will understand the Gita better
with your biceps, your muscles, a little stronger. You will understand the
mighty genius and the mighty strength of Kṛṣṇa better with a little of
strong blood in you. You will understand the Upanishads better and the glory of
the Atman when your body stands firm upon your feet, and you feel yourselves as
men. Thus we have to apply these to our needs.”
27
Karna, sul carro, l'eroe celebrato in tutto l’oriente per aver sconfitto in una
gara di tiro con l'arco Arjuna, protagonista della Bhagavadgītā. Denpasar airport, Bali, Indonesia.. Author:
Ms Sarah Welch. Fonte:https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Karna_Ghatotkacha_fight_sculpture,_Kota_Rajasthan_India.jpg
Vivekananda, considerato uno dei più grandi maestri di
Yoga di tutti i tempi, parla di muscoli, bicipiti e sangue che scorre forte,
come strumenti per acquisire la conoscenza (“You will understand the Gita better with your biceps, your muscles”).
Ad un certo punto si scusa per le sue parole (“These are bold words”), ma non può
esimersi da dire la verità (“but I have
to say them, for I love you”):
Le gesta degli eroi dell’India antica non vanno
studiate, vanno comprese e integrate con il corpo, con i muscoli, con il sangue
che scorre forte nelle vene, con il sudore che bagna la fronte: questo vuol
dire Vivekananda.
Le sue parole e i suoi comportamenti non potranno
essere compresi se non si tiene conto del fatto che è un convinto nazionalista,
un patriota che sta lottando, con le armi che ha a disposizione, per
l’indipendenza dell’India: la Madre Divina, di cui lui e il suo maestro
Ramakrishna parlano spesso, non è, come crediamo in occidente, Maria madre di
Cristo o una generica dea madre, ma Bharati Mata, la Madre India
invocata nel Vande Mātaram.
Forse è per questo che Vivekananda insegna con due
voci diverse: mentre negli Stati Uniti e nel Regno Unito invita alla
tolleranza, alla creazione di una religione universale e strizza l’occhio al
”Pensiero Positivo” parlando della necessità di mondare la mente dallo spirito
competitivo e dai pregiudizi, a Calcutta incita i giovani a fortificare corpo e
spirito con lo sport agonistico che, da sempre è considerato, in India, un
mezzo per rivivere le gesta degli antichi eroi e, al contempo, uno strumento
per comprendere, giocando, il grande segreto della manifestazione: līlā,
il gioco degli dei.
[1] The Complete Works of Swami Vivekananda/Volume 3
/Lectures from Colombo to Almora/Vedanta in its Application to Indian Life
[2]
Narendranath Dutta, (Calcutta, 12 gennaio 1863 – Cossipore, 4 luglio 1902)
conosciuto come Swami Vivekananda (Sanscrito: स्वामी विवेकानन्द Svāmi
Vivekānanda), è stato un mistico indiano. Maestro di Yoga universalmente
riconosciuto, considerato un santo in India, è stato il principale discepolo
del guru Ramakrishna, e secondo le sue istruzioni, fondò nel 1897 a Calcutta la
Ramakrishna Mission, allo scopo di "promuovere il miglioramento delle
condizioni spirituali e materiali dell'umanità intera, senza alcuna distinzione
di casta, credo, razza, nazionalità, genere e religione", e di promuovere
la fratellanza fra gli adepti delle diverse religioni, nella consapevolezza che
si tratta di forme differenti di un’unica Religione eterna ed universale. Di
tradizione e cultura induista, fu un grande ammiratore e conoscitore di
differenti religioni, in modo particolare del Cristianesimo.
Poeta, filosofo e grande pensatore fu
autore di molti testi spirituali, ma non solo; scrisse vari pensieri con la
finalità di integrare la cultura occidentale con quella orientale, un filone
ripreso poi da vari asceti indiani. Vivekananda inoltre si prodigò molto in
campo sociale, tanto che ancora oggi è ricordato per le sue innumerevoli
attività rivolte al prossimo. Massone, venne iniziato nel 1884 nella Loggia
"Anchor and Hope" N. 1 di Calcutta, della Gran Loggia dell'India.
Fonti:
-
Vivekananda. Sito
ufficiale della Grand Lodge of British Columbia and Yukon.
-
Missione
Ramakrishna, su ramakrishna-math.org.
-
Biografia, su
ramakrishna-math.org.
-
The Complete Works of Swami Vivekananda online, su ramakrishnavivekananda.info.
-
The Life and Teachings of Swami Vivekananda, su belurmath.org.
-
Vivekananda's
biography, su vivekananda.org. URL consultato il 16 settembre 2008
-
A Chronological Record of Swami Vivekananda in the
West, su vedanta.org.
[3] La Bhagavadgītā
("Canto del Divino" o "Canto dell'Adorabile" o, meno
comunemente, Śrīmadbhagavadgītā; il "Meraviglioso canto del
Divino") è quella parte dall'importante contenuto religioso, di circa 700
versi (śloka, quartine di ottonari) divisi in 18 canti (adhyāya,
"letture"), nella versione detta vulgata, collocata nel VI parvan
del grande poema epico Mahābhārata.
La Bhagavadgītā ha valore di
testo sacro, ed è divenuto nella storia tra i testi più prestigiosi, diffusi e
amati tra gli induisti.
[4] Fonte:
-
Mahendranath Gupta, “Il Vangelo di Sri Ramakrishna”. Vol. 1 e 2, traduzione e in Inglese
di Swami Nikhilananda a cura di Bodhananda. Edizioni I Pitagorici. (2011). ISBN
978-88-88036-08-3.
[5] Swami
Vivekananda State Police Academy.
[6] Chhattisgarh Swami Vivekanand Technical University.
[7] Swami
Vivekananda Airport a Raipur.
[8] Virajananda, Swami, The Life of the swami Vivekananda by his eastern and western
disciples... in two volumes (Sixth
ed.), Kolkata: Advaita Ashrama, (2006 - Prima edizione 1910) ISBN 81-7505-044-6
[9] “De
Imitatione Christi” – Imitazione di Cristo - è un testo medioevale, anonimo, che descrive
la via per raggiungere la perfezione ascetica seguendo le orme di Gesù. Pare
che, dopo la Bibbia, sia il libro cristiano più letto al mondo. Voltaire lo
definiva un “capolavoro letterario” e alle sue pagine si ispirarono Santa
Teresa di Avila, San Giovanni della Croce e papa Giovanni XXIII.
[10] Vedi. Mark
Singleton, The Ancient & Modern Roots of Yoga
One scholar's quest to
trace his practice back to its source ultimately gives him a glimpse of Yoga's
greater truth. (2011):
“The first wave of "export
yogis," headed by Swami Vivekananda, largely ignored asana and tended to
focus instead on pranayama, meditation, and positive thinking. The
English-educated Vivekananda arrived on American shores in 1893 and was an
instant success with the high society of the East Coast. While he may have
taught some postures, Vivekananda publicly rejected hatha Yoga in general and
asana in particular. Those who came from India to the United States in his wake
were inclined to echo Vivekananda's judgments on asana. This was due partly to
long-standing prejudices held by high-caste Indians like Vivekananda against
yogins, "fakirs," and low-caste mendicants who performed severe and
rigorous postures for money, and partly to the centuries of hostility and
ridicule directed toward these groups by Western colonialists, journalists, and
scholars. It was not until the 1920s that a cleaned up version of asana began
to gain prominence as a key feature of the modern English language-based Yogas
emerging from India.”
Fonte:
[11]
I Bengali Kayastas sono un gruppo di famiglie migrate dal Nord nell’XI secolo che dicono di
discernere direttamente dal dio della giustizia Citragupta.
[12] Elizabeth De Michelis, A History of
Modern Yoga: Patanjali and Western Esotericism. Continuum.
(2005). ISBN 978-0-8264-8772-8.
[13] Keshub
Chandra Seb (1838-1884) è un filosofo indiano che aderì al Brahmoismo di Tagore
nel 1856. All’incirca nel 1880 dopo essere entrato in contatto con il mistico
Ramakrishna ideò una pratica, poi chiamata da Vivekananda “Yoga” in cui
esercizi spirituali appartenenti al cristianesimo venivano mescolati con tradizione
devozionale indiana (Bhakti) e con tecniche meditative dell’Advaita Vedanta.
[14] Fonte:
-
John R. McRae, Oriental Verities on the American Frontier: The 1893
World's Parliament of Religions and the Thought of Masao
Abe, Buddhist-Christian Studies, University of Hawai'i Press,(1991).
[16] La
Società Teosofica è un movimento esoterico fondato da Helena Blavatsky, che
definisce la teosofia, nel testo "La dottrina segreta", come:
«la saggezza accumulata nel corso
delle ère [...] provata e verificata da generazioni di profeti».
I tre principi e scopi su cui si basa
la Società Teosofica sono:
1) formare un nucleo di fratellanza
universale dell'umanità senza distinzioni di razza, sesso, credo, casta o
colore;
2) incoraggiare lo studio comparato
delle religioni, filosofie e scienze;
3) investigare le leggi inesplicate
della Natura e le capacità latenti dell'uomo.
Il testo sacro dei teosofi è il "Libro
di Dzyan". La loro cosmogonia prevede uno sviluppo del mondo tramite
vari stadi intermedi tra la materia e lo spirito; l'uomo, composto di corpo,
anima e spirito, cresce anch'esso attraverso vari stadi definiti: materia,
corpo fisico, corpo eterico, corpo astrale, ragione, anima e infine spirito.
L'anima umana non ha né inizio né fine: essa è destinata ad un ciclo di
reincarnazioni finché raggiunge la sostanza assoluta del cosmo.
La fondatrice del movimento, Helena
Blavatsky, sostenne sempre di aver compiuto un viaggio nell'allora sconosciuto
Tibet dove avrebbe incontrato i Maestri della "Fratellanza Bianca",
la cui esistenza sarebbe attestata in tutte le tradizioni iniziatiche sia
orientali sia occidentali: questi Maestri sarebbero da identificare con gli
esseri soprannaturali noti in sanscrito come Mahatma. Fonte:
-
Paola Giovetti, Helena
Petrovna Blavatsky e la Società Teosofica, Mediterranee, 1991.
[17] La “new
Church segue gli insegnamenti del mistico visionario svedese Swedenborgh
[18] Fonte:
-
Elizabeth De
Michelis, A History of
Modern Yoga: Patanjali and Western Esotericism. Continuum. ISBN 978-0-8264-8772-8.
[19] Originale:
मैत्री करुणा मुदितोपेक्षाणांसुखदुःख पुण्यापुण्यविषयाणां भावनातः चित्तप्रसादनम् ॥३३॥
maitrī karuṇā
mudito-pekṣāṇāṁ-sukha-duḥkha puṇya-apuṇya viṣayāṇāṁ bhāvanātaḥ citta-prasādanam
॥33॥
Maitrī = “amicizia, convivialità, cordialità”.
Karuṇā = “compassione”.
Mudita = “gioia”.
Upekṣā = “indifferenza”.
Sukha = “piacere, piacevole, confortevole”.
Dukha = “pena, dolore”.
Punya = “successo”.
Apunia = “fallimento”.
Viṣayā = “esperienza, oggetto dei sensi”
Cittaprasādana = “purificare la mente, calmare
la mente, rallegrare la mente”.
[21] Fonte:
-
Sir
M. Monier Williams, A Sanskrit-English Dictionary. Bharatiya G.N. (Educa Book)
Publisher. 2005. ISBN-10-8189211005.
[22] I
Darśana vanno considerati sei diverse scuole filosofiche che
interpretano i Veda partendo da presupposti diversi, e propongono una serie di
riflessioni, meditazioni e tecniche per giungere allo scopo ultimo
dell’esistenza umana, la cosiddetta Liberazione. I sei Darśana sono:
1. Nyāya, che
significa “regola”, “metodo”;
2. Vaiśeṣika, una “Filosofia naturale”, affine al
Buddhismo,
3. Sāṃkhya,
“enumerazione”, viene definito “Ateismo razionalista”
4. Yoga, unico Darśana
basato su pratiche psico-fiche simili o identiche a quelle della ginnastica
indiana, dal XII al XIX secolo identificato con lo Haṭhayoga.
5. Mīmāṃsā.
Studio dei rituali vedici, e analisi critica sia in senso teistico che
ateistico.
6. Vedānta.
Nell'accezione sia di “filosofia duale” che “non-duale”, basata quasi
esclusivamente sullo studio e la riflessione sulle Upaniṣad maggiori.
Tra i sei Darśana ortodossi
solo lo Yoga integra nel percorso realizzativo gli esercizi fisici della
ginnastica tradizionale indiana (posture, sequenze, gesti, esercizi di
respirazione), esercizi comuni alle arti marziali, alla danza, agli sport e
alla ginnastica medica. Le diverse discipline sono così strettamente connesse
in India, da poter parlare tranquillamente di Kalari Yoga (lo Yoga dei
guerrieri del Sud), Nāṭya Yoga (lo Yoga dei danzatori) o Vyāyāma
Yoga (la Ginnastica Yoga). Fonti:
-
"Darshan". Encyclopædia Britannica. Retrieved 12 February 2013.
-
Andrew
Nicholson, Unifying Hinduism: Philosophy
and Identity in Indian Intellectual History, Columbia University Press,
(2013). ISBN 978-0231149877
-
Sanzaro,
Francis, "Darshan as mode and
critique of perception: Hinduism's liberatory model of visuality",
(PDF). Axis Mundi: 1–24.(2007)
[23] N.B.
Ateistico è diverso a Ateo: il fatto che lo Yoga, come il buddhismo, sia
“ateistico” non significa che gli yogin siano atei, ma che la loro ricerca
prescinde dalle credenze religiose.
[29] In realtà
si tratta della trascrizione delle “lectures” di Vivekananda, fatta dai
suoi allievi.
[30] I
“quattro Yoga” di Vivekananda, ad esempio, corrispondono con i quattro principi
fondamentali del New Thought Movement:
1. Jnana Yoga –
conoscenza dell’Assoluto – “Dio, o infinita intelligenza, è Dio è
"supremo, universale ed eterno";
2. Bhakti Yoga –
devozione per la divinità che è in ogni essere umano – “La divinità dimora
in ogni persona, poiché tutte le persone sono esseri spirituali”;
3. Karma Yoga –
comprensione del proprio karma e della interconnessione tra tutti gli esseri
viventi – “Il più alto principio spirituale è amarsi reciprocamente
incondizionatamente, [gli esseri spirituali] insegnano l’uno all’altro e si
guariscono a vicenda";
4. Raja Yoga –
conoscenza, controllo e sospensione degli stati mentali (cittavṛtti) –
“I nostri stati mentali” si esprimono nella manifestazione e diventano la
nostra esperienza nella vita quotidiana”.
[31] Vivekananda
ad esempio non parla né delle pratiche fisiche né delle attitudini marziali
degli yogin guerrieri, neppure accenna alle tecniche sessuali - parte
integrante anche se non fondamentale dello Yoga (vedi: Haṭhayogapradīpikā III,
87-9).- nonostante il suo maestro fosse lo yogin illuminato Ramakrishisna
Paramhamsa, sposato con la bellissima Sarada Devi, fosse un sacerdote di Kālī iniziato
ai riti sessuali denominati “Tantra di Viṣṇu (vedi: Mahendranath Gupta,
“Il Vangelo di Sri Ramakrishna”. Opera citata).
[32] In
sanscrito a dir la verità Raja Yoga significa “Yoga della polvere” o “Yoga
del polline”. La grafia corretta dovrebbe essere Rāja Yoga.
[33] David
Gordon White (Pittsfield, 3 settembre 1953), storico delle religioni
statunitense è uno dei più conosciuti esperti di letteratura Yoga viventi
Laureato in hindi presso la Hindu University di Benares, si è laureato
alla École Pratique des Hautes Études, a Parigi, negli anni 1977-1980 e
1985-1986. Nel 1988 si laurea in Storia delle Religioni presso la University of
Chicago. Attualmente è docente di studi religiosi alla California University di
Santa Barbara.
[34] Fonte:
-
David Gordon
White, YOGA IN PRACTICE. Princeton University Press (2012). ISBN
978-0-691-14085-8.
-
Mikel Burley, Haṭha-Yoga: its context, theory, and
practice, Motilal Banarsidass Publications., 2000. ISBN 978-81-208-1706-7.
[35] Fonte:
-
Op. Cit. Mikel
Burley, Haṭha-Yoga: its context, theory,
and practice, Motilal Banarsidass Publications. 2000. ISBN
978-81-208-1706-7.
[36] Questo il
testo in sanscrito:
राज-योगः समाधिश्छ उन्मनी छ मनोन्मनी |
अमरत्वं लयस्तत्त्वं शून्याशून्यं परं पदम || ३ ||
अमनस्कं तथाद्वैतं निरालम्बं निरञ्जनम |
जीवन्मुक्तिश्छ सहजा तुर्या छेत्येक-वाछकाः || ४ ||
rāja-yoghaḥ
samādhiścha unmanī cha manonmanī |
amaratvaṃ
layastattvaṃ śūnyāśūnyaṃ paraṃ padam || 3 ||
amanaskaṃ
tathādvaitaṃ nirālambaṃ nirañjanam |
jīvanmuktiścha
sahajā turyā chetyeka-vāchakāḥ || 4 |
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