Quello che segue è un estratto del primo capitolo di "STORIA SEGRETA DELLO YOGA - I Miti dello Yoga Moderno tra Scienza, Devozione e Ideologia", il libro che ho scritto questa estate in collaborazione con Andrea Pagano, Laura Nalin, Nunzio Lopizzo, Andrea Ferazzoli e Alex Coin.
"Storia Sereta dello Yoga" è il frutto di una ricerca cominciata, a dir la verità, nel 2007 con Andrea Pagano e i "fratelli del Gruppo Yoga Vedanta". Il nostro intento era quello di far luce ad alcune incongruenza che avevamo notato nei nostri studi: strane lacune, date che non tornavano, maestri misteriosamente scomparsi dalle librerie e dalla memoria degli yogin. Ricordo ad esempio i nostri - miei e di Andrea - tentativi di recuperare i libri Goraksha, il maestro dei maestri quasi sconosciuto in Occidente, oppure la strana vicenda di Dattatreya, ufficialmente yogin mitico vissuto, forse, 12.000 anni fa e a quanto scoprimmo, maestro medioevale autore degli Yoga Shastra, secondo alcuni la "Bibbia dello Yoga", mai tradotti in una lingua occidentale, o la ancora più strana storia di Dhirendra Brahmachary, considerato in India più grande maestro di Yoga del XX secolo,maestro di Yogi Bhajan e Indira Gandhi nonché istruttore, nel 1960, degli astronauti russi: i suoi libri o addirittura le notizie sulla sue vita, in occidente, sembravano svanite nel niente.
Le domande senza risposta erano molte e molte le stranezze, poi finalmente, grazie al nuovo Team e, forse, anche al desiderio, delle università e dei ricercatori indiani, di cominciare a diffondere la "vera" storia dello Yoga Moderno, fatti, notizie e documenti sono emersi dai musei e dagli scaffali delle biblioteche indiane, e adesso siamo qua, con un'idea dello Yoga completamente diversa da quella che avevamo fino a pochi anni fa.
Anzi di uno Yoga diverso, né peggiore né migliore da quello che credevamo,semplicemente diverso. ,ma che ci restituisce appieno, lo spessore di alcuni dei più grandi maestri e intellettuali indiani del XIX secolo, che non solo ci hanno donato lo Yoga Moderno, ma hanno sacrificato la loro vita alla causa di Bharati Mata, la Grande Madre India. Questo libro è dedicato a loro ai "Fighters of Freedom" come swami Vivekananda, Debenedrath Tagore, Aurobindo Goshe, Mohan Roy di cui solo oggi abbiamo compreso, appieno la grandezza.
Presentazione: Cosa è lo Yoga?
1 Gara di Mallakhamb, lo Yoga aereo indiano, il
Mallakhamb è un antichissimo sport basato sugli allenamenti dei lottatori.
Fonte: https://www.pinterest.it/pin/28429041370982938/
Ai
nostri giorni con il termine Yoga si
intendono una serie di attività che, pur vantando la medesima matrice culturale
e condividendo terminologia, simbologia e riferimenti letterari, appaiono, ai
non addetti ai lavori, come discipline affatto diverse.
In
genere, banalizzando un po’, possiamo individuare quattro tipi di Yoga:
1)
Uno Yoga
fisico, basato principalmente su posture statiche, sequenze coreografiche ed
esercizi respiratori (Haṭhayoga, Vinyāsa Yoga, Ashtanga Yoga
ecc.);
2)
Uno Yoga
intellettuale, basato su un tipo di speculazione simile, nelle modalità, a
quella proposta in occidente dalla filosofia platonica, dalla teologia
cristiana e dalla filosofia tedesca del XIX secolo (Jñāna
Yoga);
3)
Uno Yoga
religioso o devozionale che si propone di entrare in contatto o addirittura
immedesimarsi con una particolare forma della divinità (Śiva,
Viṣṇu, Kṛṣṇa…) e riprende, almeno in parte, forme e
contenuti della religione cristiana e delle moderne correnti spirituali nate
con la New Age (Bhakti Yoga e Karma Yoga);
4)
Uno Yoga
“psicologico” che utilizza tecniche e modalità assai simili a quelle utilizzate
dalle moderne scuole occidentali di derivazione freudiana o junghiana (New
Gestalt, Costellazioni Familiari, PNL ecc.) o dalle moderne interpretazioni
degli insegnamenti buddhisti (Mindfulness).
Questi
quattro tipi di Yoga spesso sono mescolati o integrati tra loro, alcune volte
sono rigidamente separati, altre ancora sono in aperto conflitto. Negli anni
scorsi non era raro assistere a confronti anche accesi in cui i rappresentanti
delle varie scuole si trovavano ad affermare reciprocamente la maggior aderenza
del “loro Yoga” alla cosiddetta “Tradizione”, ma in genere le diverse
interpretazioni dottrinali venivano tollerate, all’insegna del motto “lo Yoga è
unione”.
Poi
nel 2018, in Italia, l’idea di definire lo “Yoga fisico” “Ginnastica Yoga” e
soprattutto, la decisione di organizzare delle competizioni per yogin –le Yoghiadi
– hanno provocato una serie infinita di polemiche e aspri dibattiti. In alcuni
casi si è arrivati ad accusare apertamente gli organizzatori delle gare di “tradimento
dello spirito dello Yoga”.
Le
motivazioni che hanno spinto non pochi praticanti ed insegnanti a reagire tanto
duramente all’iniziativa delle Yoghiadi si possono riassumere in una
frase:
“Il fine dello Yoga è la realizzazione del Sé”.
Da
un certo punto di vista è ineccepibile: per realizzazione del Sé si intende
l’annullamento dell’ego, con il disciogliersi dei desideri e della volontà di
affermare la propria individualità in un Ente
superiore–sia esso un dio, l’energia cosmica o l’anima universale – tutto ciò
che coltiva lo spirito agonistico e la volontà di primeggiare è decisamente
fuori luogo.
Per
la maggioranza dei praticanti occidentali, soprattutto in Italia, le
caratteristiche distintive di un yogin sono la non violenza, l’amorevolezza e
la tolleranza, caratteristiche impossibili da coniugare con la competitività e
con la voglia di primeggiare. Provate a immaginare un sadhu[1]
magro come un’acciuga, che fa le flessioni sulle braccia per allenarsi prima di
una gara di Yoga acrobatico, o uno swami[2] in
perizoma, con il corpo unto di olio di sesamo, che, gridando “shanti, shanti shanti![3]”,
tenta di strangolare un avversario in un incontro di lotta: sicuramente vi
verrà da sorridere.
Questo
dipende dal fatto che in Occidente uno yogin-atleta o, addirittura, uno
yogin-guerriero sono una
contraddizione in termini, un’immagine così paradossale da essere utilizzata
nelle vignette satiriche o negli spettacoli comici. Un’immagine che però non
corrisponde alla realtà dei fatti, ma è frutto di una conoscenza parziale della
storia e della cultura indiane.
La
verità, sospettata da molti e nascosta da alcuni, è che l’insegnamento di
quello che in occidente è definito Yoga tradizionale, è frutto di un processo
di trasformazione, o addirittura di mistificazione, operato negli ultimi 120
anni e legato agli avvenimenti che hanno condotto alla nascita dell’India
moderna.
Nel
corso della ricerca che ha condotto alla pubblicazione di questo libro abbiamo
tentato di contestualizzare lo Yoga ponendolo nell’ambito in cui è nato e si è
evoluto; per prima cosa abbiamo confrontato le informazioni in nostro possesso,
ovvero quelle contenute nei testi di Yoga più noti e quelle provenienti dagli
insegnamenti dei nostri maestri, con le fonti documentali e iconografiche, sia
islamiche sia indiane sia greche.
Quasi
immediatamente sono emerse inspiegabili incongruenze e coincidenze a dir poco
singolari, e alla fine, dietro il velo dei miti, delle credenze e delle
supposizioni ha cominciato ad affiorare una storia dello Yoga assai diversa da
quella che spesso ci raccontano in Occidente.
Per
capire la portata della manipolazione o comunque della non corretta
informazione, basta prendere alcune immagini facilmente reperibili nei musei e
nei siti web che si occupano di arte e storia dell’India.
Nell’immagine
seguente ad esempio possiamo vedere la prima pagina del Malla Purāṇa,
“L’antico racconto dell’atleta”, conservato al Bhandarker Oriental Research
Institute di Pune. Si tratta di una copia risalente al 1731 di un documento
probabilmente antichissimo (alcuni parlano del XII secolo) diviso in diciotto
capitoli che descrivono con grande precisione la dieta, i rituali e le tecniche
di allenamento di un lottatore professionista dell’India antica.
2 Frammento del Malla Purāṇa,
l’antico racconto dell’atleta” conservato al Bhandarker Oriental Research
Institute di Pune. Fonte https://www.grapplearts.com/the-ancient-vale-tudo-of-india-vajramushti/
In
Occidente il Malla Purāṇa,
a quanto ne sappiamo, non è mai stato pubblicato, e le prime notizie che lo riguardano
si devono a Norman E. Sjoman, che ha
avuto modo di studiarlo negli anni ’90.
Norman,
uno studioso canadese laureato in sanscrito all’Università di Pune, praticante
di Yoga Iyengar, in un libro pubblicato in India nel 1996, “The Yoga Tradition of the Mysore Palace”[4],
parla delle affinità tra gli esercizi del Malla
Purāṇa
e lo Yoga moderno, citando il “Saluto al Sole” ed una serie di diciotto āsana (posture) praticati ancora oggi
nelle scuole di Yoga, che sarebbero descritti nell’antico manuale.
3 Quattro Brahmini e una giovane
donna si allenano nei pressi di un tempio. Illustrazione settecentesca di un
testo del XII secolo. Fonte: https://twitter.com/SchoolVedic/status/1000729650794934275
Già
queste scarne notizie per noi sono di grande interesse, perché rivelano:
1)
L’esistenza
di atleti professionisti nell’India antica;
2)
L’assenza, al
contrario di ciò che pensiamo comunemente in Occidente, di una linea di
demarcazione tra Yoga e Sport.
Ma il “Purāṇa
dell’Atleta” ci riserva ben altre sorprese: innanzitutto è un libro rivelato da
Kṛṣṇa ad una jāti (“famiglia”, “clan”) di
Brahmini, e quindi può essere considerato un testo sacro, ovvero apauruṣeya,
parola sanscrita che
significa “non di origine umana”; In secondo luogo la jāti che
lo ha custodito gelosamente per secoli,
tramandandolo di padre in figlio, è quella dei brahmini Jyesthimalla, famosi almeno dal medioevo
come atleti, guardie del corpo e guerrieri[5].
Visto che i
brahmini sono, per noi, l’equivalente dei sacerdoti cristiani, facciamo fatica
a credere ad un prete ginnasta o un prete guerriero, ma approfondendo le
ricerche abbiamo scoperto che si tratta di figure tutt’altro che rare in India:
si chiamano āyudhajīvin, parola che
significa letteralmente “vivere con le proprie armi”.
4 Due brahmini
impegnati in un incontro di lotta. Dai simboli disegnati sulla fronte si
intuisce che si tratta di un prete shivaita (a sinistra) e di un prete
vaishnava (a destra). Fonte: https://citytoday.news/vajramushti-kalaga-to-begin-in-a-while/
C’è una
notevole differenza tra l’India reale e quella che ci insegnano nelle scuole di
Yoga, e in certi casi nelle università, e i Jyesthimalla
ne sono la prova vivente.
Abbiamo
scritto vivente perché le scuole di lotta dei Jyesthimalla sono ancora attive nel
Gujarat, nel Rajastan a Mysore e a Hyderabad, nel Telangara. Se ne visitassimo
una le polemiche che si sono accese in Occidente sulla differenza tra Yoga e Sport
probabilmente svanirebbero come neve al sole, perché potremmo vedere dei
brahmini (i custodi della tradizione spirituale) che si allenano secondo le
tecniche antiche, mescolando tranquillamente i riti alle divinità, le posture
dello Yoga, la meditazione, il malla-khamba (lo Yoga aereo) e la
ginnastica callistenica.
Ma andiamo
avanti: l’immagine che segue è la copertina di una pubblicazione del 29
settembre del 1907. In basso si può vedere il nome di Aurobindo Ghose, uno dei
maestri spirituali più famosi del ‘900, creatore dello “Yoga Integrale”. Il
titolo Bande Mataram (Vande Mātaram in sanscrito)” fa riferimento a una canzone presente
in un romanzo del 1882, “Anandamath”,
del poeta bengalese Bankim
Chandra Chatterjee e nel film quasi omonimo – Anand math –
girato nel 1952 dal regista indiano Hemen Gupta.
Vande Mātaram si può
tradurre con “Salute a te Madre divina” e se leggiamo il testo, a prima vista
pare uno dei molti canti devozionali che siamo abituati a sentire nelle scuole Yoga
e negli Ashram:
“[…] Tu sei Durgā, Signora e Regina. Con i
tuoi pugni pronti a colpire e la tua spada di luce. Tu sei Lakshmi seduta sul
trono di Loto […]”.
Anandamath invece significa “Monastero della
beatitudine”.
Nessuno di
noi sinceramente, può trovare strano il fatto che un maestro di Yoga (Aurobindo,
considerato un realizzato in vita dai suoi discepoli) sia collegato a un canto
devozionale (“Salute a te Madre Divina”) e ad un racconto che parla di un
“Monastero della Beatitudine”, ma il nostro punto di vista può cambiare repentinamente
se scopriamo che:
1)
Vande
Mātaram è “l’inno dei Combattenti della Libertà indiani” dichiarato dal
governo, nel 1950 “Canzone Nazionale”, l’equivalente del “Va’ pensiero” per i
patrioti risorgimentali o di “Bella Ciao” per i partigiani.
2)
La Madre Divina del titolo, chiamata anche Durgā o Lakshmi, non è la Madonna o la
Dea madre, ma specificamente la Grande India.
3)
Il Monastero del racconto, Anandamath, è il covo di uno dei gruppi
di sannyasin – in sanscrito saṃnyāsin
- che, dopo la grande carestia bengalese del 1770, terrorizzarono gli inglesi
con le loro azioni di guerriglia.
L’inno Vande
Mātaram (o Bande Mataram) ha svolto un ruolo vitale nel
movimento per l'indipendenza indiana. Fu cantato per la prima volta in un
contesto politico da Rabindranath Tagore nella sessione del Congresso nazionale
indiano del 1896[6].
Nel 1905
divenne la canzone simbolo dell’attivismo politico e del movimento di libertà
indiano, intonata in tutte le riunioni politiche e nelle manifestazioni di
strada[7] e
Sri Aurobindo la definì "Inno nazionale del Bengala"[8]. Sia
la canzone che il romanzo che narrava la gesta dei sannyasin - l’Anandamath - furono banditi dal governo
britannico, e molti patrioti finirono nelle carceri coloniali solo per aver
cantato il Vande Mātaram o aver
diffuso il libro. Il divieto fu annullato solo con l’indipendenza dell’India,
nel 1947.
Nel 1950 Vande
Mātaram - depurata dei riferimenti alle divinità Hindu per non offendere i
patrioti islamici - fu dichiarata la "canzone nazionale" della
Repubblica dell'India[9]
6 Gruppo di fakir e sannyasin nel
1890.. Fonte: http://www.columbia.edu/itc/mealac/pritchett/00routesdata/1800_1899/hinduism/ascetics/taurines1890s.jpg
Difficilmente
sui libri di storia occidentali troverete traccia dei guerriglieri descritti nell’Anandamath:
il primo studio pubblicato in occidente, a quanto ci risulta, è un saggio del
2005, pubblicato dalla Oxford University Press, intitolato “Anandamath, o La Sacra Confraternita” Gli
inglesi definivano i patrioti sannyasin “Banditi”, esattamente come gli
occupanti nazisti definivano i partigiani italiani e francesi, e li accusavano
di atti di delinquenza comune, ma nei libri di storia indiani la loro lotta, è celebrata
come l’inizio della Guerra d’Indipendenza, e viene definita “The Sannyasin Rebellion”, la rivolta dei
sannyasin.
Dato che saṃnyāsin
in sanscrito significa “rinunciante”, e indica lo yogin che si ritira nella
foresta per dedicarsi alla meditazione e alla ricerca dell’unione con Dio, chi
ha una conoscenza non superficiale dello Yoga, penserà, quasi sicuramente ad un
equivoco - “Come è possibile che uno
yogin si impegni in azioni di guerriglia, agguati e atti terroristici?” - ma
basta fare una ricerca sulle poche pubblicazioni in lingua inglese dedicate ai
“Combattenti per la Libertà bengalesi”[10] per
fugare ogni possibile dubbio: i sannyasin di cui parla l’Anandamath, erano
indubbiamente yogin, e, cosa che dà ancora più da pensare, le loro gesta
rientrano nella millenaria tradizione dello Yoga.
Sono
loro, gli yogin[11],
i creatori e i custodi delle arti marziali indiane ed ogni qualvolta un
invasore minaccia la Madre India, escono fuori dalle foreste, dalle caverne e
dagli “Akhara” (gli Ashram dedicati specificamente
allo studio della ginnastica e delle arti marziali) e si gettano contro il
nemico, sia esso Alessandro Magno, i Mongoli, i Persiani o l’impero britannico.
7 Battaglia di Thanesar. Fonte: By
Basawan - V&A Museum, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=25559635
L’esistenza
di formazioni militari di yogin e il timore che incutevano per la loro
conoscenza delle arti marziali traspare chiaramente dalle testimonianze dei
Mughal. Nell’immagine precedente ad esempio, è raffigurata la Battaglia di
Thanesar avvenuta il 9 aprile del 1567 nei pressi del fiume Ghaggar-Hakra,
nell’india Himalayana.
Da
una parte c’erano le truppe del grande imperatore Mughal Akbar dall’altro un
gruppo di yogin.
Nessuno
sa di preciso quale sia stato l’andamento dello scontro, concluso con una
pesante sconfitta dei sannyasin, ma la diversa entità dei due schieramenti e il
diverso tipo di armi usati dai contendenti (dati trascritti con grande precisione
dai Mughal) possono essere fonte di interessanti riflessioni:
L’esercito
di Akbar era formato da 8.000 uomini dotati di cannoni, fucili a miccia e 75
elefanti da guerra. I sannyasin erano invece 800 ed erano armati, come sembra
di capire dall’immagine, con dischi da guerra (cakra), mazze e tridenti
rituali.
Nonostante
l’enorme squilibrio tra le forze in campo, in nessun testo arabo o indiano si
descrive la battaglia di Thanesar come un massacro; nessuno parla di un
esagerato, e non onorevole, uso della forza contro dei poveri monaci erranti.
Viene quasi da pensare che se avesse avuto a disposizione meno di 8.000 uomini
armati di cannoni e fucili, Akbar si sarebbe ben guardato dall’affrontare i
sannyasin. Del resto le abilità marziali degli yogin erano note agli islamici
sin dal XII secolo, quando gli invasori persiani si trovarono a dover
fronteggiare i Siddha Nath[12].
Alf
Hiltebeitel, nel libro “Their name is
Legion”[13]
e William Pinch nel suo “Warrior Ascetics
and Indian Empires”, affermano che gli yogin guerrieri rappresentarono una
spina nel fianco degli invasori islamici per cinque secoli e giocarono un ruolo
chiave nell’avvento degli inglesi in India. Infine, nel XVIII secolo, delusi
dalla politica dell’Impero britannico, presero le armi contro i nuovi invasori
e dettero il via alla lotta per l’indipendenza che si sarebbe conclusa nel
1947.
Potremmo
continuare a lungo, ma già così pare evidente che in Occidente, abbiamo una
visione parziale dello Yoga e di ciò che possiamo definire Tradizione Hindu,
basta elencare alcune delle notizie che abbiamo dato in questa presentazione
per renderci conto delle nostre lacune;
Gli
yogin occidentali, in genere:
-
Ignorano
l’esistenza dei brahmini lottatori.
-
Ignorano che
i sannyasin sono considerati i padri dell’India moderna (tanto è vero che a
loro è dedicato l’inno nazionale dei patrioti indiani, il Vande Mātaram).
-
Non sanno che
la Madre divina di cui parlano maestri moderni come Ramakrishna e Vivekananda,
non è la Madonna, come, pensano in molti, né la personificazione dell’energia
cosmica, ma è l’India liberata dal giogo degli invasori.
-
Non sanno che gli yogin erano i custodi delle
arti marziali indiane e che almeno dal XII secolo erano organizzati in gruppi
di guerriglieri.
Sono
così tante le cose che non sappiamo o alle quali non abbiamo mai dato
importanza, da aver costruito, negli ultimi cinquanta, cento anni, un’immagine
dello Yoga decisamente diversa da quella che presumibilmente era in origine.
Intendiamoci: la verità non è stata nascosta da nessuno: è scritta a chiare
lettere nei musei e nei libri di storia e, per trovarla, basta semplicemente
avere la volontà di cercarla. Noi ci abbiamo provato, e questo libro è il risultato
della nostra ricerca. Non abbiamo certo la presunzione di pensare che la nostra
sia una trattazione esaustiva, ma ci piacerebbe che i dati che abbiamo raccolto
e le ipotesi che abbiamo formulato stimolassero delle discussioni finalizzate
alla ricerca della verità, al di là di pregiudizi, credo religiosi e
sovrastrutture culturali.
[1] Nome dei
santi eremiti indiani
[2]
Letteralmente “marito”, titolo attribuito agli appartenenti a determinati
ordini religiosi indiani.
[3] Śānti in sanscrito significa “pace”.
[4] Norman E. Sjoman, The
Yoga Tradition of the Mysore Palace (2nd ed.). New Delhi, India: Abhinav
Publications. (1999). ISBN 81-7017-389-2.
[5] Fonti:
-
Joseph S.
Alter, "The sannyasi and the Indian
wrestler: the anatomy of a relationship". American
Ethnologist. 19 (2-May 1992). ISSN 0094-0496.
-
Joseph
S.Alter, The Wrestler's Body: Identity
and Ideology in North India. University of California Press. (1992). ISBN 0-520-07697-4.
[6] Fonte:
-
Diana L. Eck. India: A Sacred Geography.
New
York: Random House (Harmony Books). (2012) ISBN 978-0-385-53190-0.
[8] Sri Aurobindo commentando la sua versione in inglese
di Vande mataram scrisse: "It is difficult to translate the National
Anthem of Bengal into verse in another language owing to its unique union of
sweetness, simple directness and high poetic force."
Fonte:
-
Bankim Chandra Chatterjee: Essays in
Perspective, Sahitya Akademi, Delhi, 1994, p. 601.
[9] “Canzone
nazionale” è il termine usato per distinguereVande Mataram dall’inno nazionale
indiano che è “Jana Gana Mana”.
[10] Vedi:
-
Lorenzen, D.N.
"Warrior Ascetics in Indian History". Journal of the American
Oriental Society. 98 (1- 1978).
-
Marshall,
P.J.. Bengal: the British Bridgehead. The New Cambridge History of India. Cambridge,
UK: Cambridge University Press. (1987) ISBN 978-0-521-25330-7.
[11] Nei testi
gli yogin combattenti sono indicati con vari nomi, a seconda del loro lignaggio
e delle diverse divinità a cui erano devoti: Erano conosciuti con vari nomi, a
seconda del lignaggio di appartenenza, per esempio Sannyasin, Natha Yogi, Naga
Yogi, Gosain, Goswami, Bhairagi;
[12] William
Pinch, Warrior Ascetics and Indian
Empires, Cambridge University Press, (2012) ISBN 978-1107406377
[13] Alf Hiltebeitel,
Their name is Legion, in Rethinking India's Oral and Classical Epics,
University of Chicago Press, ISBN 978-0226340500,
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