"Storia segreta dello Yoga - I miti dello Yoga Moderno tra Scienza, Devozione e ideologia" (https://www.amazon.it/dp/1697773559/ref=rdr_ext_sb_ti_hist_1) è il frutto di una ricerca di gruppo,nella quale abbiamo cercato di contestualizzare lo Yoga, confrontando le nostre credenze e le nostre conoscenze in materia con i documenti storici, i manufatti conservati nei musei indiani e le testimonianze islamiche,greche e britanniche. Alcune delle cose che abbiamo abbiamo raccontato nel libro già le sapevamo, altre le sospettavamo, ma molte sono state sorprese assolute,alcune divertenti altre, soprattutto per me, devastanti.
Non abbiamo l'ardire di pensare che la nostra sia una verità assoluta: abbiamo cercato di lavorare in maniera scientifica, documentando tutte le nostre affermazioni (ci sono otto pagine di bibliografia) e lo scienziato si sa, tende a cambiare idea in base a nuove scoperte archeologiche o a (dimostrate) teorie scientifiche innovative, per cui- chissà...- tra qualche anno potremmo tornare sui nostri passi e riscrivere il tutto, ma,per adesso,pensiamo sia il caso di discutere tutti insieme (sto parlando soprattutto dei praticanti e degli insegnanti di yoga)sui fatti documentati che abbiamo raccolto nel libro.
Cosa c'è di tanto sorprendente in ciò che abbiamo scoperto?
Per esempio:
1) che il sanscrito - tenendo conto della sua prima attestazione scritta, metodo utilizzato dalla scienza per verificare "l'età" di una lingua - è relativamente moderno, assai più giovane del sumero, dell'ebraico, del greco o del latino.
2) che la mitica invasione da parte degli Arii (o Ariani o Aryani) che 5.000 avrebbero scacciato i dravidiani dalla Valle dell'Indo dando inizio alla civiltà vedica è una favola inventata da uno studioso tedesco sulla base di un poema epico persiano del X secolo.
3) che i primi tre veda sono stati messi per iscritto tra il II e il X secolo d.C. (il quarto pare sia assai più recente).
4) che gli yogin sono i custodi delle arti marziali indiani e, da sempre, oltre a combattere in difesa della loro patria, fanno gare ed esibizioni di lotta e di yoga acrobatico (Malla-khamb).
5) che l'etereo Kṛṣṇa era il più grande lottatore di Malla-Yuddha (una specie di "vale tudo") dei suoi tempi e conquistò il suo regno a calci e pugni.
Ma la cosa fondamentale che abbiamo scoperto è l'esistenza di due yoga diversi: uno indiano - fondato sulle tecniche e i concetti filosofici sviluppati durante il medioevo - ed uno occidentale creato sulla base del brahmoismo - un vedanta riformato ed in un certo senso edulcorato ideato da intellettuali bengalesi del XIX secolo come Mohan Roy e Debendrenath Tagore - del cristianesimo Unitariano - un movimento religioso assai importante nel XIX secolo - e di moderne tecniche psicofisiche occidentali.
Tutte le affermazioni che facciamo sul libro sono accompagnate dalle citazioni delle fonti documentali e riteniamo che, allo stato attuale delle ricerche storiche e archeologiche, siano indiscutibili, ma ci piacerebbe confrontarci con altri praticanti di yoga e ricercatori sia sulla base di eventuali documenti a noi ignoti, sia sulla base delle altrui credenze e delle opinioni personali.
Per cominciare ci piacerebbe discutere della natura A-teistica dello Yoga, inteso come darśana brahminico, un dato di fatto - a parer nostro - che si scontra con molte delle attuali credenze sullo yoga.
Ci piacerebbe che i molti . immaginiamo -praticanti che non sono d'accordo intervenissero commentando questo post sia pubblicamente che eventualmente in privato (paoloproietti.rnk@gmail.com)
LO YOGA ATEISTICO
Lo
stupore che coglie noi occidentali nello scoprire le abilità marziali e
atletiche di Kṛṣṇa dipende, in
buona parte, dalla nostre strutture mentali; la nostra maniera di conoscere e
di interpretare la realtà, ci porta, infatti, automaticamente a trasformare la
storia, i miti e i simboli delle altre civiltà per adeguarli alla nostra
cultura e alle nostre credenze.
La
nostra tendenza alla (involontaria) mistificazione della realtà è un effetto
collaterale dello sviluppo della civiltà moderna. La civiltà occidentale, si è formata negli ultimi 2.500 anni sulla
base di due grandi sistemi filosofico-religiosi, il pensiero platonico e il
cristianesimo.
Questi
due sistemi ci hanno insegnato a conoscere la realtà principalmente attraverso
gli strumenti dell’analogia e della fede, ovvero privilegiando il pensiero
astratto e l’intuizione rispetto alla percezione sensoriale.
Cercheremo
di essere più chiari, partendo proprio dalle definizioni di Analogia e di Fede:
L’analogia,
introdotta in filosofia da Platone, è
“un
rapporto di somiglianza tra alcuni elementi costitutivi di due fatti od oggetti
tale da far dedurre mentalmente la somiglianza tra i fatti e gli oggetti stessi”[1].
In pratica l’analogia è il concetto matematico di proporzione (se a è uguale a b, e b è uguale a c allora c è uguale a d[2])
applicato alla conoscenza della realtà, e, in quanto processo matematico,
riguardante il pensiero astratto, non ha bisogno di prove tangibili, non passa
cioè attraverso i cinque sensi. Per fare un esempio:
“Se i devoti di Kṛṣṇa sono monogami e diffondono un messaggio di pace
e amore come i devoti di Cristo, Kṛṣṇa sarà simile o identico a Cristo”.
La
fede è invece
“l’accettazione di una realtà invisibile, la quale non risulta cioè immediatamente evidente e viene […] accolta come vera nonostante l’oscurità che l’avvolge”[3];
in altre parole è la certezza di un sentire interiore, non comprovato da dati o fenomeni percepibili.
Fede, per fare un esempio, è l’assenza di dubbio che, porta Giovanna d’Arco a prendere le armi dopo aver sentito, solo lei, una misteriosa voce che la invita a “salvare la Francia”.
“l’accettazione di una realtà invisibile, la quale non risulta cioè immediatamente evidente e viene […] accolta come vera nonostante l’oscurità che l’avvolge”[3];
in altre parole è la certezza di un sentire interiore, non comprovato da dati o fenomeni percepibili.
Fede, per fare un esempio, è l’assenza di dubbio che, porta Giovanna d’Arco a prendere le armi dopo aver sentito, solo lei, una misteriosa voce che la invita a “salvare la Francia”.
La
conoscenza della realtà attraverso la fede non ha bisogno di nessuna conferma
sul piano pratico, anzi, chiedere delle prove tangibili di una verità rivelata
nel cristianesimo è considerato offensivo, quasi blasfemo.
In
pratica, quindi, nessuno dei due strumenti di conoscenza utilizzati, quasi
automatica-mente, dalla mente dell’occiden-tale, ha bisogno di prove tangibili;
il che significa, anche se può parere strano, che la conoscenza della realtà, per
noi occidentali, non avviene attraverso la percezione, intesa come esperienza
sensoriale, ma attraverso il ragionamento astratto o un’esperienza
extra-sensoriale.
In
India, al contrario, la conoscenza della realtà comincia sempre dall’esperi-enza
sensoriale, come afferma Buddha in un testo chiamato Kalama Sutta:
“Credete soltanto
alle cose che avete sperimentato e, dopo averle attentamente esaminate, trovato
ragionevoli e in grado di fare il vostro bene e quello degli altri"[4]
E
la fede, come la intendiamo noi, è vista spesso come un ostacolo alla
conoscenza, come ricorda ancora Buddha nello stesso testo:
“Non credete nelle
cose che vi siete immaginati pensando che fosse un dio ad ispirarvi; non
credete in nulla che si basi solo sull'autorità dei vostri maestri o dei
preti.”
La necessità di affidarsi all’ esperienza sensoriale
diretta o a fonti scritte di cui siano comprovate la provenienza e
l’autorevolezza, è presente anche negli Yoga Sūtra di Patañjali (o più precisamente “Pātañjala yoga darśana”), punto di riferimento di quasi tutte le scuole di
yoga attuali:
“Per retta
conoscenza si intende ciò che proviene dall’esperienza diretta, dall’inferenza
e dai testi sacri.”[5]
Questo
diverso approccio alla conoscenza è ciò che ci spinge a trasformare, in buona
fede il significato di miti, simboli e concetti, impedendoci di comprendere
completamente la tradizione indiana.
Il
primo e più evidente errore che facciamo, in virtù dell’innata tendenza
all’analo-gia, riguarda l’Induismo.
Noi
crediamo che sia una religione strutturata come la nostra e diamo per scontato,
ad esempio, che i Brahmini siano come i nostri sacerdoti, ma in realtà nella
tradizione indiana non esiste neppure la parola Induismo: si tratta di un
termine usato dagli europei e dagli islamici per indicare un gruppo, assai
variegato, di culti dedicati a una serie di divinità, energie, o esseri umani
divinizzati.
Potremmo dire che persino il termine India è stato inventato dagli occidentali, visto che gli indiani chiamano la loro nazione Bhārata.
Potremmo dire che persino il termine India è stato inventato dagli occidentali, visto che gli indiani chiamano la loro nazione Bhārata.
Se
l’induismo non è una religione come la nostra neppure i brahmini possono essere
comparati con i nostri sacerdoti.
I brahmini, ad esempio, non vanno in seminario per rispondere ad una chiamata divina, ma sono gli appartenenti ad una casta, nel senso che uno è brahmino perché suo padre era brahmino, così come lo erano il nonno, il bisnonno ecc.
I brahmini nell’India tradizionale sono coloro che hanno accesso ai testi sacri e vengono educati a leggerli con la corretta pronuncia e la giusta metrica, e soprattutto a celebrare i saṃskāra i sedici rituali che nell’india tradizionale accompa-gnano gli eventi principali della vita dell’essere umano, dal concepimento, alla vecchiaia e alla morte.
È il brahmino ad occuparsi dalla preparazione del rapporto sessuale dei coniugi (allestimento del luogo in cui avverrà il rapporto sessuale, ritualizzazione dei preliminari dell’accoppiamento,
benedizione dell’atto sessuale), ed è ancora lui ad occuparsi dei defunti (preparazione del cadavere, cremazione, raccolta delle ossa, dispersione delle ceneri e purificazione della casa considerata inquinata, sia materialmente sia emotivamente, dalla morte).
I brahmini, ad esempio, non vanno in seminario per rispondere ad una chiamata divina, ma sono gli appartenenti ad una casta, nel senso che uno è brahmino perché suo padre era brahmino, così come lo erano il nonno, il bisnonno ecc.
I brahmini nell’India tradizionale sono coloro che hanno accesso ai testi sacri e vengono educati a leggerli con la corretta pronuncia e la giusta metrica, e soprattutto a celebrare i saṃskāra i sedici rituali che nell’india tradizionale accompa-gnano gli eventi principali della vita dell’essere umano, dal concepimento, alla vecchiaia e alla morte.
È il brahmino ad occuparsi dalla preparazione del rapporto sessuale dei coniugi (allestimento del luogo in cui avverrà il rapporto sessuale, ritualizzazione dei preliminari dell’accoppiamento,
benedizione dell’atto sessuale), ed è ancora lui ad occuparsi dei defunti (preparazione del cadavere, cremazione, raccolta delle ossa, dispersione delle ceneri e purificazione della casa considerata inquinata, sia materialmente sia emotivamente, dalla morte).
Il
brahmino quindi è il custode della conoscenza tradizionale, una conoscenza alla
quale ha accesso per diritto di nascita e non per vocazione o per particolari
meriti o inclinazioni. Una conoscenza che si basa su un sistema di regole
sociali, leggi, teorie scientifiche e cosmologie, definito Sanātana Dharma
(“filosofia perenne” o “legge senza tempo”).
Il
Sanātana Dharma, che noi spesso confondiamo con la nostra idea di Induismo o
di Yoga, non è né una religione, né un sistema univoco di interpretazione della
realtà, ma è un qualcosa che non ha eguali nella cultura occidentale, qualcosa
che comprende al tempo stesso i culti degli dei, i rituali religiosi e le
interpretazioni “ateistiche” delle scuole filosofiche chiamate
yoga e sāṅkhya
e quelle, sia teistiche che ateistiche della scuola chiamata mīmāṃsā.
No,
non è un errore di battitura: per la tradizione indiana lo yoga è ateistico[6],
nel senso che non contempla la presenza di un dio creatore, ma si occupa dello
sviluppo delle potenzialità umane (fisiche, psichiche, mentali) e della
possibilità di raggiungere uno stato di profonda beatitudine prima della morte
fisica.
Il
fatto che la pratica dello yoga sia accompagnata, nelle scuole e negli ashram,
da immagini sacre, preghiere, e rituali che noi definiremmo religiosi, può
generare dei dubbi, ma la verità che emerge in maniere evidente dalle scritture
è che lo Yoga non è una religione, ma che entrambi, yoga e religione, fanno
parte del sistema onnicomprensivo definito Sanātana Dharma.
Le
“scritture”[7]
del Sanātana Dharma sono un numero relativamente limitato di testi, ritenuti
antichissimi, ma che nella forma attualmente conosciuta, risultano essere stati
composti presumibilmente tra il I e il X secolo d.C.[8]
Questi
testi vengono divisi in due categorie principali: śruti e smṛti.
La parola śruti - che
significa “orecchio”, “ascolto”, “audizione”, ma viene interpretata come
“frutto di ispirazione divina” – indica alcune decine di testi, di epoca e
provenienza diverse, contenenti racconti mitici, disquisizioni filosofiche e
cosmologie, e organizzati, in base ai temi trattati, in quattro gruppi, o
volumi, chiamati Veda, e detti
“Libro degli Inni”, “Libro delle Melodie”, “Libro delle Formule rituali”, “Libro delle Formule magiche”.
“Libro degli Inni”, “Libro delle Melodie”, “Libro delle Formule rituali”, “Libro delle Formule magiche”.
Ogni volume, o gruppo è formato da una Samhitā,
che sarebbe il Veda vero e proprio, e un numero variabile di Brāhmaṇa (commentari del
testo principale), Āraṇyaka
(manuali ad uso degli eremiti delle foreste) e Upaniṣad (che potremmo definire
“testimonianze di esperienze realizzative”) alcune delle quali, denominate Yoga
Upaniṣad descrivono posizioni, tecniche di respirazione
e visualizzazioni praticate ancora oggi nelle scuole di yoga.(N.B. per i
dettagli e i nomi in sanscrito vedi “Appendice 2: Le scritture dello Yoga”).
Smṛti invece significa
“memoria”, “rimembranza” e indica
sette gruppi di testi che possiamo intendere come commenti, approfondimenti e manuali
di applicazione dei quattro Veda originari, chiamati:
1) Upaveda (manuali di applicazione del sapere vedico nella
vita);
2) Śāstra (trattati
sulle più importanti arti della società vedica; per esempio Nāṭya-Śāstra o trattato sulla danza, Kāma-Śāstra o trattato sull’amore
ecc.);
3) Vedanga (manuali
sulle discipline necessarie alla
comprensione dei Veda, ovvero grammatica, etimologia ecc.);
4) Darśana (“punti di
vista filosofici”, scuole di
interpretazione del sapere vedico);
6) Purāṇa (“racconti
antichi”, una serie di narrazioni simili a fiabe dedicati a varie divinità);
7) Āgama (generalmente una
serie di manuali pratici in forma di dialogo
tra divinità).
Parlare
in maniere esaudiente di tutte le categorie della Smṛti sarebbe interessante, ma richiederebbe troppo
tempo; ai fini della nostra trattazione crediamo però sia opportuno descrivere,
per quanto sinteticamente, almeno gli Upaveda
e i Darśana.
Il gruppo degli Upaveda è
composta di quattro raccolte di testi che riguardano le quattro arti
fondamentali della cultura vedica ovvero:
-
l’Arte del
tiro con l’Arco (Dhanurveda);
-
l’Arte della
Musica e della Danza (Gāndharvaveda);
-
l’Arte della
Spada (Sthapatyaveda);
-
L’Arte della
Medicina (Āyurveda).
Anche solo dai titoli si può comprendere quanto sia importante ciò che
nel primo capitolo abbiamo definito Ginnastica, nell’India tradizionale:
due upaveda sono dedicati alla Arti marziali, uno alla Danza e nel quarto, lo Ayurveda si trovano moltissime indicazioni riguardanti posizioni di yoga ed esercizi ginnici (definiti vyāyāma, che potremmo tradurre con “ginnastica”, o malla che significa “atleta”, “atletico”, “lottatore”).
due upaveda sono dedicati alla Arti marziali, uno alla Danza e nel quarto, lo Ayurveda si trovano moltissime indicazioni riguardanti posizioni di yoga ed esercizi ginnici (definiti vyāyāma, che potremmo tradurre con “ginnastica”, o malla che significa “atleta”, “atletico”, “lottatore”).
Per
ciò che riguarda Di queste “scuole filosofiche” tre, Nyāya, Vaiśeṣika.
Vedānta, pur non riferendosi a culti
particolari sono da considerarsi “teistiche” nel senso che contemplano
l’esistenza di un dio creatore, una, Mīmāṃsā, considera entrambi le posizioni, teistica e
ateistica, e due, Sāṃkhya
e Yoga, non contemplano l’esistenza di un dio creatore, per cui sono definite
“ateistiche”.
Non contemplare
l’esistenza di un dio creatore in un sistema filosofico non significa essere
atei. L’ateo non crede all’esistenza di Dio, mentre nello Yoga tradizionale, è
considerato parte integrante del Sanātana
Dharma, in un certo senso non ci si pone il problema.
Lo
Yoga tradizionale si interessa dell’essere umano e della sua evoluzione intesa
come integrazione del piano fisico, del piano energetico e del piano
spirituale, a prescindere dalla religione di appartenenza e delle credenze
personali: uno yogin indiano può tranquillamente essere buddhista (come Gorakhnath),
islamico (come Sai Baba di Shirdi), vaiṣṇava[10]
(come Krishnamacharya), śaiva[11]
(come Pattabhi Jois) o śakta[12]
(come Ramakrishna).
Lo
Yoga tradizionale, lo ribadiamo perché si tratta di un punto importantissimo,
non contempla l’esistenza di un dio creatore e non è collegato a nessuno
specifico culto religioso.
Lo Yoga è un percorso finalizzato alla realizzazione che, fino
alla fine del XIX secolo, prevedeva tre varianti principali:
1)
Lo Ṣaḍaṅga
Yoga, ovvero lo Yoga in sei parti decritto in un testo di Gorakhnath, il Gorakṣaśataka (Gorakshashatakam), basato su sei tipi di esercizi psico-fisici
finalizzati alla “utilizzazione” dell’energia chiamata kuṇḍalinī[13]:
āsana, prāṇāyāma, pratyāhāra (raccoglimento in sé), dhāraṇā (concentrazione),
dhyāna (meditazione), samādhi.
2)
Il Caturaṅga
Yoga, ovvero lo Yoga in quattro parti descritto in un testo di un allievo
di Gorakhnath, Svātmārāma, lo Haṭhayogapradīpikā, che riprende lo Ṣaḍaṅga Yoga ma divide le tecniche
solo in quattro categorie, āsana, prāṇāyāma, mudrā e samādhi[14].
3) Il
Saptāṅga Yoga, ovvero lo Yoga in
sette parti descritto nella Gheraṇḍasaṃhitā,
testo attribuito ad un maestro chiamato Gheranda appunto, che riprende e
sviluppa gli insegnamenti del Ṣaḍaṅga
Yoga aggiungendoci le tecniche di purificazione dello āyurveda. Le categorie del Saptāṅga
Yoga sono: sat-karmāni (purificazione
del corpo), āsana, mudrā, pratyāhāra prāṇāyāma,
dhyāna e samādhi[15].
Secondo le ricerche di David Gordon White[16],
il Darśana Yoga si basa per almeno settecento anni (dal XII al XIX secolo)
sugli insegnamenti di Gorakhnath e dei suoi discepoli: si tratta di un sistema,
ripetiamo, ateistico, in cui, a differenza di ciò che accade negli altri Darśana
tradizionali, il lavoro sul corpo riveste un’importanza fondamentale.
Per dare un’idea diremo che solo nella Gheraṇḍasaṃhitā sono descritte 32 posizioni fondamentali simili a quelle utilizzate dai lottatori (alcune delle quali assai impegnative come il “Pavone” e lo “Scorpione”), 19 pratiche di purificazioni tratte dall’āyurveda e 25 mudrā simili a quelle utilizzate dai danzatori.
Per dare un’idea diremo che solo nella Gheraṇḍasaṃhitā sono descritte 32 posizioni fondamentali simili a quelle utilizzate dai lottatori (alcune delle quali assai impegnative come il “Pavone” e lo “Scorpione”), 19 pratiche di purificazioni tratte dall’āyurveda e 25 mudrā simili a quelle utilizzate dai danzatori.
Alla fine del XIX
secolo, in concomitanza con i viaggi di Vivekananda negli Stati Uniti,
Gorakhnath e i tre sentieri dello Yoga (Ṣaḍaṅga,
Caturaṅga
e Saptāṅga) in pratica vengono
sostituiti dallo Aṣṭāṅga Yoga, lo yoga in otto parti di Patañjali,
che sino ad allora non era stato mai citato trai testi di riferimento del Darśana
Yoga.
Il grande successo
incontrato dagli Yoga Sūtra
di Patañjali in Europa e negli USA – successo dovuto all’enorme opera di
diffusione e promozione messa in atto da Vivekananda e dalla Società Teosofica
- per un effetto “di rimbalzo” consueto
nella storia dei rapporti culturali tra Oriente e Occidente, rese lo Aṣṭāṅga Yoga famosissimo anche in
India.
Oggi, in occidente, i
termini Ṣaḍaṅga Yoga, Caturaṅga
Yoga e Saptāṅga Yoga sono praticamente sconosciuti, e il nome Gorakhnath
è noto solo a pochi praticanti.
Visto che abbiamo
toccato argomenti di non facile lettura, crediamo sia opportuno, per cercare di
fare chiarezza, mettere in evidenza alcuni punti fondamentali:
1.
L’induismo non è una religione nella nostra
accezione del termine, ma un insieme di culti e rituali che fanno parte di un
più ampio sistema denominato Sanātana Dharma, o “filosofi perenne”, che
integra regole e concetti riguardanti la scienza, la filosofia, l’organizzazione
sociale l’arte e la religione.
2.
Nell’ambito
del Sanātana Dharma lo Yoga, a prescindere dalle varie accezioni del termine,
in ambito filosofico indica specificamente una dottrina ateistica che propone
un percorso di realizzazione spirituale che parte da un lavoro sul corpo simile
o identico a quello dei danzatori, dei lottatori e degli atleti.
3.
Lo Yoga fino
al XIX secolo si è basato principalmente su tre linee di insegnamento
denominate Ṣaḍaṅga
Yoga, Caturaṅga
Yoga e Saptāṅga Yoga basate su un dettagliato lavoro
fisico, ed oggi conosciute solo da pochi addetti ai lavori.
Ma
perché, viene da chiedersi, Gorakhnath e il suo Ṣaḍaṅga
Yoga sono scomparsi dallo Yoga occidentale?
Perché nessuno dei suoi
cento libri è mai stato tradotto integralmente in italiano?
Come
vedremo non è l’unico grande maestro ad essere caduto nel dimenticatoio: in
tempi più recenti Anche Gopi Krishna (il wrestler illuminato studiato da James
Hillman), Yogi Buaji (morto a 120 anni a New York poco tempo fa) e Maharishi
Kartikeya (morto nel 1950 a 300 anni). Può darsi che si tratti di coincidenze o
può darsi che si sia deciso, per una serie di validi motivi, di diffondere al
grande pubblico solo determinate scuole di Yoga.
Non
abbiamo riposte in proposito e in fondo riteniamo che indagare I motivi delle
“sparizioni” sia irrilevante.
Quello
che possiamo affermare con certezza è che Gorakhnath, Gopi krishna, Yogi Buaji
e Maharishi Kartikeya provenivano da tradizioni simili, legate strettamente
alle arti marziali e alla ginnastica indiana......
,
[1] G.
Devoto, G.C. Oli, Il dizionario della
lingua italiana, Firenze 1990.
[2] Si tratta
della tecnica dalla quale deriva il metodo che usiamo per calcolare la
percentuale. Ad esempio:
8:2=100: x; da cui x=25%;
Che significa: se ho un totale di 8
mele in una cesta e ne mangio 2 se ne avessi avute 100 ne avrei mangiate 25. In
pratica 8 e 100 sono “uguali” in quanto considerati entrambi TOTALI (8 è il
totale reale e 100 è un totale ipotetico), 2 e 25 sono considerati a loro volta
uguali. È facile comprendere che si tratta di un ragionamento astratto che non
ha riferimento con la realtà oggettiva: 8 non è uguale a 100 e le mele mangiate
sono solo 2 e non 25.
[3] Jean
Galot, La Civiltà cattolica, Roma
1982.
[4]
Buddha, Kamala Sutta, traduzione di
Alexandra David Neel. Questo è il brano integrale: "Non dovete credere nella forza delle tradizioni, anche se sono tenute
in grande considerazione per molte generazioni e in molti luoghi; non credete
in una cosa semplicemente perché molti ne parlano; non credete basandovi
unicamente sulle affermazioni degli antichi saggi; non credete nelle cose che
vi siete immaginati pensando che fosse un dio ad ispirarvi; non credete in
nulla che si basi solo sull'autorità dei vostri maestri o dei preti. Credete
soltanto alle cose che avete sperimentato e, dopo averle attentamente
esaminate, trovato ragionevoli e in grado di fare il vostro bene e quello degli
altri”
[5] Libro I,
versetto 7:
प्रत्यक्षानुमानाअगमाः प्रमाणानि ॥७॥pratyakṣa-anumāna-āgamāḥ
pramāṇāni ॥7॥
Dove:
Pratyakṣa =
“percezione diretta, evidenza visiva”.
Anumāna =
“inferenza, considerazione, riflessione”.
Āgama[5]
= “testi rivelati, i quattro veda, la śruti”.
Pramāṇāni =
plurale accusativo, nominativo e vocativo di pramāṇa, retta conoscenza”.
7.
Per retta conoscenza si intende ciò che
proviene dall’esperienza diretta, dall’inferenza e dai testi sacri.
[6] Vedi Appendice 1: Īśvara
[8] Si dice
che i Veda, ad esempio, siano stati scritti 3.000, 5.0000 o addirittura 20.000
anni fa. Ma di fatto le più antiche copie dei Veda esistenti sono conservate
nel Bhandarkar Oriental Institute di Pune, nello Stato del Maharashtra.
[9] I poemi
epici sono due:
-
Il Rāmāyaṇa, un
poema epico di 24.000 versi scritto da tra il IV secolo a.C. e il III secolo
d.C. dedicato alle gesta di Rāma;
-
Il Mahābhārata, un
poema di 200.000 versi scritto tra il IV secolo a.C. e il IV secolo d.C.
dedicato a Kṛṣṇa.
[10] Devoto di
Viṣṇu.
[11] Devoto di
Śiva.
[12] Devoto
della Śakti, intesa come dea o come energia primordiale.
[13] Fonte:
-
David Gordon
White, YOGA IN PRACTICE. Princeton University Press (2012). ISBN
978-0-691-14085-8.
-
Mikel Burley, Haṭha-Yoga: its context, theory, and
practice, Motilal Banarsidass
Publications., 2000. ISBN 978-81-208-1706-7.
[15] Fonte:
-
Op. Cit. Mikel
Burley, Haṭha-Yoga: its context, theory,
and practice, Motilal Banarsidass Publications. 2000. ISBN
978-81-208-1706-7.
[16] David
Gordon White (Pittsfield, 3 settembre 1953), storico delle religioni
statunitense è uno dei più conosciuti esperti di letteratura yoga viventi
Laureato in hindi presso la Hindu
University di Benares, si è alla École Pratique des Hautes Études, a Parigi,
negli anni 1977-1980 e 1985-1986. Nel 1988 si laurea in Storia delle Religioni
presso la University of Chicago. Attualmente è docente di studi religiosi alla
California University di Santa Barbara.
Commenti
Posta un commento