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LO YOGA E LA TENDENZA ALL'INFELICITÀ



मैत्री करुणा मुदितोपेक्षाणांसुखदुःख पुण्यापुण्यविषयाणां भावनातः चित्तप्रसादनम् ॥३३॥
maitrī karuṇā mudito-pekṣāṇāṁ-sukha-duḥkha puṇya-apuṇya viṣayāṇāṁ bhāvanātaḥ citta-prasādanam 33[1]

 

33.  La purificazione della mente si realizza coltivando la cordialità, la compassione, la gioia e l’indifferenza nei confronti delle esperienze che provocano piacere o dolore, successo o fallimento.

Yoga Sūtra I,33

 

Secondo Patañjali – e Buddha - per purificare la mente e avviarsi nel sentiero dell’illuminazione, è sufficiente coltivare la "Convivialità", la "Compassione", la "Gioia" e la tendenza a rimanere se stessi nel successo e nel fallimento.

Non mi pare che siano istruzioni troppo complesse, anzi si tratta di un insegnamento chiaro, semplice e, soprattutto, alla portata di tutti.

Ma allora perché non siamo tutti illuminati?

Perché è così arduo imboccare, con sincerità e spontaneità, la via della Gioia e dell'Amore che nulla pretende?

Per la “Tradizione” – lo ripeto spesso – l’Essere Umano è un angelo caduto o un dio annichilito e praticare Yoga significa cercare di risvegliare il dio che dorme dentro di noi restituendogli la dignità che gli spetta.

"Il dio annichilito” - alcuni lo chiamano Śiva – è l'insieme delle forze primarie della manifestazione che si celano nel nostro inconscio ed ha, in teoria, un potere infinito. Sarebbe in grado di donarci la felicità eterna, ānanda, ma "attossicato" dai veleni della mente e dalle sovrastrutture culturali, è inerte. 

La mente umana passa il suo tempo a progettare mirabolanti architetture di numeri e parole che le diano l'illusione di poter comprendere l'incomprensibile e limitare l 'infinito, nella speranza, vana, di sostituirsi al creatore.

 Il Dio annichilito, la sorgente della Felicità, ha un potere immenso, ma è come un bambino e di fronte alle ardite teorie della mente, si annoia, comincia a sbadigliare e, infine, si addormenta, di un sonno simile alla morte.

Potremmo immaginarlo come una sorgente, una sorgente d'acqua pura come il cristallo, dalle qualità meravigliose, ostruita dai rifiuti e dai detriti. 

La natura stessa dell'acqua –è ovvio - la porterà prima o poi ad uscire, il problema è come farle superare la barriera di detriti il prima possibile e senza danni.

Non è dato di sapere, all'inizio, quale aspetto possa avere la barriera di detriti, è diversa per ciascuno di noi, mentre l’acqua è la stessa. 

Proviamo ad immaginare la barriera come un diga, di metallo e cemento: un violento colpo di piccone potrebbe provocare una inondazione disastrosa, e il nostro piccolo ego, necessario alla sopravvivenza su Terra verrebbe spazzato via.

Lo yoga è una via per togliere i detriti e preparare il terreno all'arrivo - ché, ne siamo certi, prima o poi arriverà - dell'acqua della sorgente; le tecniche - āsana, mudrā, vinyāsa, bandha, prāṇāyāma, concentrazione, meditazione – ci insegnano a costruire canali, ripulire anche il terreno, mettere delle tubature nei luoghi giusti.

Non si sa quando e perché l'acqua sorgiva uscirà alla luce del sole, della coscienza, si sa solo che, al diminuire della barriera di detriti corrisponde l'aumentano le probabilità di attingere alla sorgente – o, almeno di avere una visione della purezza delle acque -  prima che il nostro corpo diventi cibo per vermi.

"Il Maestro arriva quando il discepolo è pronto", si ripete spesso negli āśrama e nelle scuole di Yoga; è un insegnamento che non si riferisce ad una persona fisica – “Né Guru né Maestri” si dice nel tantrismo “solo Amore” – ma all'acqua della sorgente interiore.

Se la si vede o ci si bagna o ci si disseta non avremo dubbi, ma fin quando non ne avremo fatto esperienza non potremo, mai sapere se la via che percorriamo è quella giusta. Bisogna solo continuare a praticare, con costanza, senza fretta.

L'Acqua  di Vita arriverà –searriverà - nel modo che preferisce, nel momento giusto.

Il Dio annichilito è capriccioso e imprevedibile.

I testi tantrici e vedici ci raccontano, con un linguaggio fatto di poesia e immagini, le esperienze ed i percorsi psicologici di chi ha alla luce della coscienza – in sé o negli altri -  l'Acqua della Sorgente

Un autentico insegnante di Yoga, un maestro con la “m” minuscola, non è quello che ti dona l'illuminazione con lo schiocco delle dita, ma è colui che, passo dopo passo, ti aiuta a comprendere il vero significato dei simboli e a sviscerare le analogie tra il tuo percorso personale e quello degli antichi yogin. Il ”tuo” percorso. 

Si legge nella Bhagavadgītā (III; 35):

"Meglio il proprio dharma, quantunque imperfettamente adempiuto, che non il dharma di un altro, anche se perfettamente adempiuto. Meglio è morire nel perseguimento del proprio dharma che sopravvivere a quello di un altro".

Non c'è un rapporto di causa effetto tra comprensione dei testi, pratica, e "risveglio del Dio annichilito"!

Non è che leggendo e studiando a memoria tutti i testi tantrici e vedantici si ottenga automaticamente la Felicità Illimitata.

Non è che recitando milioni di volte un mantra tibetano faremo per certo conoscenza con il Dio annichilito.

Lo scopo primario dello yogin deve essere quello di conoscersi veramente, di tirar fuori i propri talenti e, soprattutto, le proprie meschinità.

Per addentrarsi nella intricatissima foresta della personalità umana, scoprire la bocca ostruita della sorgente e liberarla dai detriti occorre, si può contare solo sulle proprie forze e sui propri talenti;

Che questi talenti o predisposizioni dipendano da vite precedenti, colpi di fortuna o patrimonio genetica, a questo punto del percorso, è cosa assolutamente irrilevante.

La prima cosa da comprendere è che senza compassione verso se stessi e una dose oversize di Amore non si va da nessuna parte.

Poi cominceremo il viaggio verso la conoscenza di se stessi, o meglio delle modalità con le quali l’Essere si esprime attraverso i nostri gesti, parole e pensieri.

Per praticare "davvero" Yoga, bisogna utilizzare tutti i mezzi che la Natura ci ha messo a disposizione: 

Se siamo sensibili al linguaggio del corpo fisico, all'arte del movimento, all'azione dovremo percorrere la strada del Danzatore, dello Yoga come Arte.

Se siamo più sensibili alla voce del cuore, dell'amore inteso come fervore religioso dovremo percorrere quella strada, la strada del Monaco.

Se invece è la ricerca intellettuale, la logica, ciò che meglio ci riesce quella dovrà essere la nostra strada, anche se la via della “Ragion Pura” è la più impervia delle tre.

Non si tratta –si badi bene - di vie per la realizzazione, ma di metodi per ripulire la foresta e preparare il terreno alla fuoriuscita dell'acqua.

Quando comincerai ad avvicinarti alla sorgente cominceranno ad avvenire dei fatti, delle situazioni non ordinarie che pur se sempre nuove e diverse, avranno un sapore comune, particolare ed impossibile da confondere. Ti parrà di vivere all'interno di una bolla, di una dimensione inconsueta, ma in qualche modo familiare, in cui tempo e spazio acquistano un senso diverso e la paura, che sempre ci accompagna nel quotidiano, lascia il posto alla gioia immotivata.

 

Ma prima di allora non può far altro che praticare, con pazienza, molta pazienza:

Si sa, la forza della natura prima o poi farà uscire alla luce della coscienza l'Acqua della Sorgente, ma la natura non ha nessuna fretta, il suo tempo è l'Eternità



[1] Maitrī = “amicizia, convivialità, cordialità”.

Karuā = “compassione”.

Mudita = “gioia”.

Upekā = “indifferenza”.

Sukha = “piacere, piacevole, confortevole”.

Dukha = “pena, dolore”.

Punya = “successo”.

Apunia = “fallimento”.

Viayā = “esperienza, oggetto dei sensi”.

Cittaprasādana = “purificare la mente, calmare la mente, rallegrare la mente”.

 


 . 

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