TAPAS, L’ARDORE
Se
il sole ci mostra il mondo senza pudore, è con discrezione che i ricami oro e
argento delle stelle ci portano fuori dalle tempeste, e addolciscono il vuoto
angosciante della notte. Troppo caldo il sole per fartelo amico, neppure puoi
guardarlo negli occhi. Con le stelle è diverso: godi della loro danza, sempre
nuova, le saluti prima dell'alba, come un Romeo sorpreso dal canto
dell'allodola, e dopo il tramonto le ritrovi lì, appese al cielo.
La
meditazione non è altro che farsi spettatori di sé, guardarsi, come si guarda
il campo scosso dal vento o l'onda che si spinge fino in cielo per abbracciar
la Terra. Śiva, straziato dalla morte di Satī, immobile nel ghiaccio e nella pietra
per centinaia, migliaia di anni non aveva fatto altro che “vedersi visto”, poi
il suo cuore cominciò a nutrirsi della nostalgia delle stelle così come l'onda
si nutre di quella della Terra. E il suo corpo si rammentò della danza della
Vita, la “Sua” danza, così simile al girotondo, consolatorio, degli astri.
Consolatorio, perché è vero che "Se
le stelle apparissero una volta ogni cento anni l’uomo conserverebbe il ricordo
della città di Dio", ma che angoscia sarebbe, notte dopo notte,
annegare gli occhi nel vuoto! Il sorriso della luna piena parrebbe triste e il
disciogliersi delle sue sorelle, puzzerebbe di morte, come il pesce vecchio.
Fu
così che Śiva si arrese alle stelle. Fu così che il suo corpo si arrese alla
gravità. L’immensa colonna cadde sulla terra, spezzandosi, nel fiume Narmadā e l’acqua,
nel corso dei millenni, levigò i frammenti di roccia, arrotondò gli spigoli, e
creò le pietre sacre conosciute come Śiva Lingam. Si racconta che proprio in
quel giorno il Naṭarāja aprì il terzo occhio.
Può
apparire strano, ma per gli indiani anche gli dei devono illuminarsi. Anche gli
dei devono realizzare il proprio Sé. Śiva comprese la sua vera natura, che era
danza, e bellezza. E capì che l’esistenza è un gioco cui non si può non
partecipare.
Nello
Yoga ogni canto, ogni gesto, ogni rito è rappresentazione, della Vita e
dell'Essere. Si tratta di un’arte che, come la musica e la danza, si basa sulla
comprensione di Tempo, Ritmo e Melodia. Il Tempo stabilisce la durata della
"rappresentazione": ogni canto, gesto, rito hanno un inizio, una fine
e una storia da narrare.
Il
Ritmo rappresenta il numero dei singoli eventi: i gesti e le parole sono come
amanti che si rincorrono, si abbracciano, si lasciano e si ritrovano.
La
Melodia, infine, sono le emozioni che nascono dai gesti e dalle parole, e da
cui gesti e parole insorgono. Senza emozioni non c’è Tantra, perché è solo
dalle emozione che può nascere Tapas, l'Ardore.
Nell'Universo
tutto è vibrazione. Anche Tempo, Ritmo, Melodia sono vibrazioni e se noi ne percepiamo
la diversità dipende dal pensiero, dai sensi e dalle emozioni. Il fluire del
tempo si percepisce con la mente, è un calcolo matematico, l'azione volontaria
di chi segna il confine tra un prima e un dopo.
Il
ritmo va sentito con il tatto, con la pelle, con la pancia. La melodia risuona
nel cuore. Quando, nello Yoga, si assume una posizione o si recita un mantra si
stabiliscono un inizio e una fine, per aprire e concludere il rito. È come per
il teatro: si apre il sipario, attore e spettatore entrano in una dimensione
altra, in uno "spazio", appunto, rituale. Quando il sipario si chiude
c'è un attimo di silenzio, di vuoto, poi le emozioni si sciolgono in applausi,
sorrisi e inchini.
I
gesti, il respiro (che pure è un gesto!) l'alternarsi di tensione e
rilassamento che riempiono il tempo del rito, sono il ritmo, la successione di
eventi (krama in sanscrito) che
scandisce il rito e lo racconta.
Le
emozioni che nascono nel cuore sono la melodia. Emozioni che possono apparire
diverse per ciascuno di noi, ma alla fine il rito tantrico porta sempre nello
stesso luogo: la Città della Luce (Ra)
e dello Stupore (La).
Per
trasformare la pratica in Opera d'Arte lo yogin deve amalgamare
Tempo-Ritmo-Melodia o meglio Pensiero-Sensazione-Emozione, con l'abilità di un
alchimista. Senza Alchimia non c'è Arte. Il Tapas, l'Ardore, è il fuoco degli
alchimisti, che arde l'Ego e lo dissolve.
Mi
chiedo spesso se, chi pratica o dice di praticare lo Yoga abbia coscienza di
cosa significhi dissolvere l'Ego. Un conto è dirlo, leggerlo e raccontarcelo,
cosa diversa è osservare l'implacabile annichilirsi dei ricordi e
dell'immaginazione. L'Ego si ciba di nostalgia, rancori e speranze: vuoi vivere
nell'eterno presente? Vuoi cogliere l'attimo?
Bene!
Sappi che non avrai più passato né futuro.
Assieme
alla paura della morte svanirà il sapore del primo bacio e con le smorfie
orrende di nemici immaginari spariranno sorrisi e sguardi fino a ieri eterni.
Ne vale la pena? Se si pratica Yoga "veramente" prima o poi si
affronta l'abisso, il deserto silenzioso che svuota il cuore. Il Tempo è il
signore della morte: sconfiggi il Tempo e vivrai in eterno, il vuoto invece,
non ha padroni. Ma se ci si arriva, al vuoto, "accade".
"Accade"
punto.
Il
cuore svuotato dai ricordi e dai sogni, svela se stesso, ed emozioni più
antiche dell'uomo si fanno brace e scintille. Il fuoco sacrificale che ha
divorato il piccolo io rinasce come Kāma,
l'Antico dei Tempi. Śiva si arrende alle stelle e comprende che la sua natura è
la Danza. Ma per il Tantra non si può danzare da soli.
-
“Senza la sua Śakti anche il dio più
grande è privo di potenza creativa” -
Lavorando
in due il gioco dell'abbandono si fa più facile, ascolti te stesso e ascolti
l'altro, il tuo respiro si fonde col suo e la pelle si fa sottile per meglio
sentire il gioco dei muscoli. Ci si arrende all'amato come alla gravità e la
bellezza, la grazia, sbocciano. Inconsapevolmente. Involontariamente, giacché
non c'è volontà nel Gioco della Creazione. Volontà forse, con la maiuscola, ad
intendere una Legge che non può essere scritta né detta, ma nel Tantra non c'è
spazio per l'io voglio: l'Onda della
Bellezza è anarchica e bizzosa. Tu non puoi decidere quando inarcherà la
schiena, come un drago antico, per slanciarsi verso il Cielo, verso le stelle,
né puoi costringerla a rimanere al tuo fianco, quando il richiamo della sua
casa di cristallo si farà risacca. Puoi solo aspettare.
La
Bellezza è eterna, proprio perché effimera. Su di Lei il Tempo non ha potere
alcuno. Quando arriva la riconosci subito. Il gesto, anche il più banale, si
muta in poesia, si fa rotondo, morbido, dolce e sembra che dia luce. Questo è
proprio strano. Però accade, nel Tantra. Sarà suggestione, ma quando ti
"arrendi" il corpo pare più luminoso e il movimento, anche solo di
una mano, disegna l'aria come fosse sabbia. Forse al richiamo della Bellezza,
le stelle nascoste in noi, nell'oscura memoria delle cellule, fanno capolino. O
magari è il corpo degli amanti a rendere l'aria specchio, e la luce che si vede
non è altro che il riflesso della Vita che sgorga dalla pelle, la carne, i
muscoli. Quando in una coppia insorge la Danza degli Dei, lo spazio si fa denso
e il corpo irradia luce. Normale per chi
prende sul serio i versi antichi dei Veda e dei Purāṇa, straordinario per chi
non sa che la Poesia è rivelazione e l'Arte scienza. Gli dei dormono in noi e come i sogni, si
destano al primo sonno. Non il sonno del corpo, intendo, ma l'affievolirsi
della presunzione, del credere che la volontà possa dominare la Natura. Basta
arrendersi alla saggezza del corpo e gli dei aprono gli occhi (i tuoi occhi!)
per mostrarti ciò che è. Non la realtà fantastica e barocca della mente, ma
proprio quello che è. La mente umana è golosa di sistemi, calcoli e progetti.
Il corpo, invece, vuole solo danzare.
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