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HAṂSA, L'OCA COSMICA






I versi dei Veda, dei Purāṇa, del Mahabharata sono poesia e scienza insieme, il che può forse apparire strano per noi abituati, erroneamente, a pensare che la scienza sia una roba fredda, razionale in antitesi con la passione creativa dell'artista. La poesia è rivelazione e può permettersi, oggi come cinquemila anni fa, di viaggiare oltre i confini della logica, in quegli spazi infiniti ai quali la mente, attonita, non può che arrendersi.
Una delle immagini poetiche più ricorrenti nei testi vedici è quella del Cigno[1] immerso in un fiume o in un Oceano di latte (vedi ad esempio Atharva Veda, XI,4,21). Significa tante cose il Cigno: è una delle costellazioni più luminose della Via Lattea (l'Oceano di Latte!), sicuro riferimento per gli antichi naviganti; è un asana dello Haṭhayoga; è l'uomo universale (il “Puruṣā”) ed è il Brahmān, l’Assoluto. Ma è anche la paura, l'ansia di incompiutezza che spinge l'essere umano a cercare delle stelle con cui orientarsi non solo nell'oceano indiano o oltre le colonne di Ercole, ma in quel fluire a-logico che chiamiamo vita.
Nella Muṇḍāka Upaniṣad (I,4-5) il Cigno viene trascinato via dalle acque di un fiume ed è solo, e spaventato, come il marinaio nel Maelström di Poe. Paura in sanscrito si dice bhaya,parola legata probabilmente l alla radice bhā che significa luce, luminescenza.
I Veda ci raccontano che la paura nasce con la consapevolezza (luce) di esistere: io sono qui, e come un guscio di noce vengo trascinato dalla corrente, sbattuto qua e là da onde che non posso controllare. Il cigno della Muṇḍāka Upaniṣad è così sorpreso da non riuscire neppure a volare o a nuotare. Le piume delle sue ali smisurate, al pari dei petali del loto, non temono certo l’acqua, ma lui, il cigno cosmico, non riesce neppure a ricordarsi chi è: dalla consapevolezza di esistere insorge la visione dell’abisso - “se adesso ci sono, esisto, vi sono luoghi, nel passato e nel futuro in cui non sono e non sarò mai…” - e le due forze, uguali e contrarie (essere e non-essere…), cancellano l’attitudine al nuoto e al volo. La paura di vivere nasce dalla consapevolezza di non poter dominare gli eventi, le passioni, i desideri. Di non poterli controllare con la volontà individuale. Ma l'individuo cos'è? Non è forse ciò che chiamiamo Ego? L'Ego è l'insieme delle relazioni con l'ambiente esterno, una serie di azioni e reazioni dovuti al contatto con qualcosa "altro da me", azioni e reazioni che, piano piano, come per magia, creano nella mente una specie di fantoccio, un vuoto simulacro del sé, intessuto con i fili della paura, dell’orgoglio, del desiderio.
Ciò che spinge a muoversi verso un oggetto sono la prefigurazione o il ricordo del piacere. Ciò che, invece, spinge a fuggire da un oggetto sono la possibilità o la memoria del dolore, ed in questa dinamica riconosciamo ciò che chiamiamo vita, una vita dominata dalla paura: paura di non raggiungere l’oggetto del desiderio, paura di perderlo, paura del dolore, paura della morte soprattutto.
Alla fine arriviamo sempre lì, al Grande Mistero. Gli dei indiani non sono immortali: nascono, vivono e muoiono esattamente come noi, e come noi sono dominati dalle passioni e dai lacciuoli dell’Ego. Śiva, il signore del Tempo, si è ritirato orgogliosamente in se stesso, illudendosi di poter fare a meno della Dea, ma la Dea “è” la Vita! Rifiutare di bere alla sua fonte, mettendo il cuore in inverno, non ci darà mai la felicità, la beatitudine assoluta (Ānanda) che per il Tantra spetta a tutti noi (uomini e dei) per dignità di nascita.
Il Cigno Cosmico dei Veda, a guardar bene ha tre possibilità: Può decidere di rimanere con le zampe a guazzetto trasformando la sua esistenza in una serie di escamotage per sopravvivere alla paura. Ma di certo, così, non sarà mai felice. Al limite può aspirare alla serenità, alla quiete, ma sarebbe come costringerlo, lui che è avvezzo alle tempeste, a godere dei pomeriggi televisivi sdraiato su un divano.
Oppure può spiccare il volo verso il cielo infinito. Come fanno gli yogin che mettono in dubbio la reale esistenza di quegli oggetti il cui contatto provoca azioni e reazioni. Chi ne fa le spese è (o dovrebbe essere) l'ego che vede le sue certezze svanire inesorabilmente. Svanisce l'idea/immagine che si ha di se stessi, e insieme vediamo modificarsi l'ambiente con le sue categorie di tempo e spazio. Ma la caduta di queste certezze (o il dubbio...) crea a volte ancora più paura, maggior consapevolezza di non essere padroni del nostro destino: nel cielo infinito non ci sono case, non ci sono volti familiari, non c'è niente che possa dare certezze e sicurezze. C’è solo il panico di chi improvvisamente si ritrova, da solo, in un deserto silenzioso o nell'oceano in tempesta. 
La terza ipotesi è quella di tuffarsi a volo d’angelo nel fiume dell’esistenza, arrendendosi all'onda fino a scoprirsi onda.



[1] In realtà sarebbe l’Oca Cosmica), ma è abitudine occidentale tradurre erroneamente, la parola haṃsa con Cigno.

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