Mi sono rivisto la registrazione del lungo "Satsang" (45 minuti)di Giovedì scorso, cui ho partecipato insieme a Nunzio Lopizzo e Massimo Capuano, e sono rimasto piacevolmente sorpreso.
Massimo e Nunzio erano in forma smagliante e sono venute fuori delle "chicche" che meriterebbero di essere approfondite.
Ne cito tre che mi hanno colpito profondamente:
1) La Conoscenza è un ostacolo alla Realizzazione.
2) La Cristallizzazione delle opinioni, ovvero lo scambiare le proprie opinioni per verità assoluta (anziché verità relativa) conduce alla "Polarizzazione" e quindi al conflitto.
3) La Gioia non è il fine della pratica e/o dell'esistenza, ma è uno strumento realizzativo.
In realtà si tratta di tre concetti profondamente legati tra loro:
L'attitudine alla Gioia di cui parlava Massimo è la tendenza alla convivialità e alla condivisione, un modo di essere lontano mille miglia dalla conflittualità, dall'intolleranza e dal sarcasmo che troppo spesso la fanno da padroni anche nel mondo dello Yoga.
Ma da cosa nascono conflittualità, intolleranza e sarcasmo?
Provo a banalizzare un po',per cercare di chiarire il mio (nostro) pensiero.
Partiamo dal presupposto che tutti noi, che ci occupiamo di yoga e di spiritualità, siamo in buona fede. Tutti.
Supponiamo che seguendo gli insegnamenti di quel particolare maestro o di quella particolare scuola uno yogin abbia realizzato uno stato di coscienza che ritiene elevato o una condizione psicofisica di grande benessere.
Ovviamente riconoscerà quegli insegnamenti come Veri e Autentici, e si darà da fare per condividere la propria Conoscenza (vidyā) per aiutare il maggior numero possibile di persone a godere di quelli stati di coscienza o di quel benessere che lui/lei ha realizzato.
Commetterà quindi, in buona fede, l'errore di credere oggettiva o universale una realizzazione relativa e individuale, senza tener conto delle diverse attitudini e bisogni e del diverso dispiegarsi delle energie negli altri praticanti.
"L'insegnamento è come l'acqua" - ammoniscono i testi antichi - "la vacca la muta in latte e il serpente in veleno".
In teoria si tratta di una cosa assai semplice da capire: ciò che per me è un bene, non necessariamente lo sarà per il mio vicino di casa.
In pratica la tendenza a trasformare in ontologica la propria verità relativa è più forte del buon senso comune, e lo yogin finirà, spesso, per cristallizzarsi nelle proprie opinioni, provocando un effetto di "polarizzazione".
Se il Maestro grazie al quale ho ottenuto dei risultati (realizzazioni?) ripete che "nella nostra epoca l'unico Yoga possibile è il Bhakti Yoga, la via della devozione" io automaticamente mi nominerò paladino della Verità e cercherò, in buona fede, di spargere il suo Verbo.
Coloro che seguono insegnamenti simili plauderanno, e si formerà, involontariamente, un "gruppo di opinione".
Se un altro ha ottenuto dei risultati (realizzazioni?) grazie ad un intenso lavoro sul corpo (haṭhayoga) si troverà invece, sempre per amore della verità, a dissentire, e intorno a lui si creerà, involontariamente, un altro "gruppo di opinione" con risultati, per chi disinteressato allo yoga osservasse dall'esterno, potenzialmente esilaranti.
Già, credo che gli scambi di accuse, i commenti sarcastici, le aggressioni verbali che si scatenano (si sono scatenate...) tra opposte fazioni di yogin e ricercatori della verità, siano veramente spassosi, soprattutto se i partigiani di questa o quella credenza continuano a ripetere che lo Yoga è Unione.
In realtà si tratta semplicemente di cristallizzazioni, create dalla mente che spaventata da quel viaggio verso l'ignoto che è la pratica realizzativa, usa le opinioni come salvagenti per non annegare nell'Oceano dell'esistenza.
Così facendo gli insegnamenti di Buddha e Patañjali sulla necessità di coltivare la gioia e la convivialità restano lettera morta.
Scrive Patañjali in Y.S. I.33:
maitrī karuṇā mudito-pekṣāṇāṁ-sukha-duḥkha
puṇya-apuṇya
viṣayāṇāṁ bhāvanātaḥ citta-prasādanam
॥33॥
ovvero:
"La purificazione della mente si realizza coltivando
la cordialità,
la compassione, la gioia e l’indifferenza nei confronti delle esperienze
che provocano piacere o dolore, successo o fallimento".
Ma perché ci si "cristallizza"?
Secondo me dipende dalla nostra mancanza di una visione di insieme, siamo cioè vittime di quella che Buddha e Patañjali chiamano saṃjñā, o Conoscenza distintiva.
Si legge nell’Abhidharma-Samuccaya:
“Qual è la caratteristica assolutamente specifica di saṃjñā?
È il sapere per associazione. Per vedere, ascoltare, specificare e conoscere un oggetto si prendono in considerazione le caratteristiche che lo definiscono e distinguono dagli altri oggetti”.
Significa in pratica che per conoscere la foglia di un albero nella foresta si pone l’accento sulle sue caratteristiche precipue, perdendo di vista l’insieme delle foglie, l’albero e la foresta.
Si tratta di un processo "naturale" della mente umana, un processo che conduce alla creazione e alla cristallizzazione delle opinioni.
Dato che è "naturale", è assai difficile da sradicare. Difficile ma non impossibile.
E qui tiro fuori il mio vecchio pallino della Filosofia perenne.
Sono convinto che se noi yogin, di pari passo con lo studio dei testi indiani, approfondissimo la filosofia classica che parla un linguaggio a noi più familiare, avremmo più possibilità di sfuggire ai fenomeni della cristallizzazione e della proiezione.
Platone, ad esmpio, è molto chiaro quando parla di opinioni.
Doxa sarebbe uno strumento utile per comprender il divenire.
Epistème riguarderebbe invece l'Essere.
Doxa (ciò che noi chiamiamo opinione) si divide a sua volta in Eikasia, ovvero congettura-immaginazione, e pistis ovvero fede-credenza.
Epistème a sua volta viene suddivisa in Diànoia (Conoscenza ragionata o mediana) e Nòesis cioè intellezione (comprensione non mediata).
Un'altra suddivisione che fa Platone è quella tra opinione (doxa) errata e opinione retta. Fa dire a Socrate infatti nel Menone (XXXVIII,98):
"Giacchè anche queste [le rette opinioni] fino a che rimangono ferme sono una gran bella cosa e fanno tutto bene. Se nonché non vogliono rimanerci a lungo, ma disertano dall'anima umana, onde, non hanno gran pregio fino a che qualcuno non le leghi con un ragionamento di causalità. E questo Menone, è Rimembranza[...]. Ma poiché sono legate, divengono dapprima cognizioni stabili. Ed ecco perché la scienza è più preziosa della retta opinione,
dalla quale si distingue perché forma una concatenazione[...]"
Andando a leggere Patañjali (Nella traduzione di Raphael) si scopre che il suo dire non è dissimile da quello di Platone :
I,5.
Le modificazioni [della mente] hanno un quintuplice aspetto e sono penose e non penose.
I,6.
[Esse sono] retta conoscenza, non discernimento, immaginazione, sonno e memoria.
La parola che Raphael traduce con retta conoscenza è in realtà प्रमाण pramāṇa che non significa conoscenza ma "strumento di conoscenza" e anche "giustificazione" e "fino ad un certo punto".
Mentre la parola che viene tradotta con non discernimento è Viparyayo (विपर्यय viparyaya) che significa propriamente vicissitudine ed è usata (viparīta) nel senso di movimento errato, sbagliato, contrario.
Ecco che retta conoscenza, non discernimento, immaginazione, sonno e memoria (intendendo sonno come modificazione/movimento della mente che porta alla credenza della vacuità e memoria nel senso di movimento della mente teso a conservare l'oggetto percepito o immaginato) rientrano, a pieno titolo nelle categorie della doxa.
Diànoia e Nòesis sono invece ciò che (per Platone ) si potrebbe definire scienza, e riguardano due gradi diversi della conoscenza:
Diànoia è la conoscenza attraverso gli aspetti matematici e geometrici.
Si tratta cioè di una conoscenza che mantiene una traccia del mondo sensibile, un seme (le forme, i numeri).
Nòesis invece è il riconoscimento , senza semi di realtà sensibile, dell'identità con L'Idea.
Se consideriamo diànoia come concatenazione attraverso dei semi rappresentati dalle forme geometriche o dei numeri vedremo che la definizione di Patañjali (Y. S I,17) di samadhi samprajnata (samadhi con seme o contenuto mentale) vi si adatta perfettamente:
vitarka vicāra ānanda asmitā rupa anugamat samprajnatah
dove वितर्क vitarka (argomentazione), विचार vicāra (idea), आनन्द ānanda (beatitudine), अस्मिता asmitā (senso dell'io sono, ovvero identità con l'essere) sono in relazione con i quattro stati costituenti dei Guna.
Ancora più chiara è l'analogia se si considerano i sutra I.42 e successivi dove si scopre che il samadhi savitarka (con ragionamento) è mescolato a parola, idea e conoscenza, mentre il samadhi nirvitarka (senza ragionamento) si ha quando la mente perde la sua forma e libera da ogni impressione si identifica con la vera forma dell'oggetto di conoscenza
Ecco cosa dice Platone (Repubblica VII,XIV,534):
"...l'opinione si occupa del divenire, l'intelligenza dell'Essere e come l'essere sta al divenire così l'intelligenza sta all'opinione; e come l'intelligenza sta all'opinione così la scienza conoscenza sta alla fede credenza e la conoscenza ragionata alla congettura-immaginazione..."
Diànoia è quindi la pratica del samadhi savikalpa o con seme.
Nòesis è la pratica del samadhi nirvikalpa o senza seme.
Metànoia è la rettificazione mercuriale, simboleggiata nello yoga delle energie dallo scioglimento del nodo del cuore.
La scienza di cui parliamo comunemente, ovvero lo studio e l'interpretazione dei fenomeni viene intesa come una forma di opinione.
La vera Scienza indaga l'Essere.
La scienza con la s minuscola si occupa del divenire ed è proiezione della Scienza con la S maiuscola come il Divenire è proiezione dell'Essere.
I postulati e le dimostrazioni scientifiche e, per noi yogin, le realizzazioni parziali e le conferme dei testi, sono solo congetture-immaginazioni, ovvero in quanto eikasia sono solo un riflesso di diànoia.
La fede-credenza (pistis), tipica del Bhakti, è invece un riflesso della conoscenza intellettiva (Nòesis).
L'Essere è non duale, ciò significa, evidentemente, che ogni forma di dualità, compresi i conflitti e le divergenze che si accendono tra noi yogin, rimane sempre e comunque nel mondo del divenire, e che tutte le verità che crediamo ontologiche e per le quali siamo disposti a combattere, altre non sono che verità relative, semplici opinioni, destinate a mutare con il mutare del vento.
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