Saundaryalaharī ("Onda della
Bellezza") è il testo base della Śrī Vidyā, la
pratica di mantra, yantra e meditazione legata allo Śrī Yantra.
Si tratta di 103 versetti dei quali i
primi 41 (considerati un testo a parte chiamato ānandalaharī, "Onda di
Beatitudine") furono trasmessi oralmente
da Gaudapada a Śaṅkara Bhagavatpāda e gli altri sarebbero
stati aggiunti da Śaṅkara stesso.
I versi sono belli ed eleganti, ma le traduzioni occidentali, che tentano di
restituirne l'afflato poetico, risultano spesso incomprensibili.
Secondo alcuni le difficoltà di interpretazione nascono dall'uso di un linguaggio segreto, o gergale, una specie di codice, ma ritengo possibile,più semplicemente, che Gaudapada e Śaṅkara, rivolgendosi a degli yogin dell'epoca, diano per scontate la conoscenza di testi e di "tecniche operative" per lo più ignorate dai traduttori moderni.
In occidente, e soprattutto in Italia,chi traduce dal sanscrito è quasi sempre un erudito, un linguista o un filosofo, con scarsa conoscenza delle pratiche yoga. Può apprezzare la bellezza delle parole, o la profondità dei concetti, ma difficilmente si renderà conto della valenza operativa di ciò che sta tentando di interpretare.
Gli eruditi occidentali, per esempio, raramente hanno esperienza delle kriyā intese come tecniche di circolazione delle energie sottili.
D'altra parte, al giorno d'oggi, i
praticanti di yoga difficilmente hanno una conoscenza del sanscrito e dell'impianto teoretico dello Yoga paragonabile a quelle dei linguisti o dei docenti di filosofia.
[N.B. Sarebbe augurabile, oltre che estremamente logico, che gli eruditi e i "corpisti" (come spesso vengono chiamati in modo dispregiativo gli haṭhayogin) lavorassero sempre a strettissimo contatto, e chi sa che, grazie a personaggi i spessore come i sanscritisti Diego Manzi e Purnanda Zanoni, ciò non diventi una prassi consolidata in breve tempo]
Secondo me un
praticante di yoga dovrebbe affrontare un sutra di Patañjali o
di Śaṅkara pensando che contenga sempre
istruzioni precise sulle tecniche operative, ovvero su quelle pratiche psicofisiche destinate a modificare la percezione
di se stessi e del mondo.
Per fare un esempio prendiamo lo śloka 34 dell'ānandalaharī:
शरीरं त्वं शंभोः शशिमिहिर वक्षोरुहयुगं
तवात्मानं मन्ये भगवति नवात्मानमनघं
अतः शेषः शेषीत्ययं उभयसाधारणतया
स्थितः संबन्धो वां समरसपरानन्दपरयोः
śarīraṃ tvaṃ śaṃbhoḥ
śaśimihira vakṣoruhayugaṃ
tavātmānaṃ manye
bhagavati navātmānamanaghaṃ
ataḥ śeṣaḥ śeṣītyayaṃ
ubhayasādhāraṇatayā
sthitaḥ saṃbandho
vāṃ samarasaparānandaparayoḥ
Le traduzioni, fatte dagli eruditi, che
si trovano sui testi di yoga e sui siti web sono tutte simili e non c'è
ragione di dubitare della loro attendibilità. Più o meno in Italiano
suonerebbe così:
"Il tuo corpo, che ha il sole e la luna come seni, con gli occhi
della mente diviene il corpo di Śiva.
Nel suo corpo
circondato da nove fossati, c'è il tuo corpo.
Per questo
tra Śiva e la Devi non c'è differenza e il rapporto
tra chi possiede e chi è posseduto diviene l'Uno
perfetto ed eterno".
Con un minimo di immaginazione ed una spruzzata di filosofia
il brano non pare difficile da interpretare: con gli occhi della mente
visualizzo la Dea e la vedo unita al Dio, l'amato e l'amante divengono una cosa
sola ecc. ecc.
Bello e poetico.
L'immagine della
Dea, con i seni paragonati Sole e Luna è una metafora (o un allegoria?) apparentemente facile da interpretare... la Madre del Mondo che si unisce al Padre ecc.
ecc...
Ma, come spesso accade, credo che le cose siano un pochino diverse da
ciò che sembra.
Innanzitutto
il saundaryalaharī è un testo nato per essere e, forse, danzato.
In secondo luogo per ogni śloka ci fornisce uno Yantra (un grafico)un mantra e una si indicazioni assai precise sulle loro utilizzazioni.
Lo yantra dello
śloka 34 è un triangolo equilatero con tre tridenti ai vertici e la
sillaba ह्रीं hrīṃ al
centro
Il triangolo, che
ci rimanda alla figura centrale dello Śrī Yantra, il kāmakalā ("Spazio del Desiderio") ai cui vertici sono posti SOLE, LUNA e FUOCO che nella Sri Vidya vengono
collegati a kāma, śiva e śakti, è il CORPO
DELLA DEA", una particolare configurazione stellare
("asterismo") detta Triangolo di Primavera.
Il "triangolo
di primavera" è formato da tre stelle fisse:
Arcturus, il "seno destro della Dea", è una
stella Gigante Rossa e va a rappresentare il Sole e il dio kāma. Denebola, il "seno sinistro della Dea", è una
stella "spettrale" di colore blu e circondata da un pulviscolo a
bassa temperatura e va a rappresentare la Luna e il dio śiva (detto mahapreta,
"grande defunto" o "grande spettro"). Spica, l'ombelico o la vagina della Dea, è la stella
più luminosa della costellazione della Vergine.
Il nome
sanscrito della stella Spica è citrā, parola che
indica un metro poetico, un serpente e il canale sottile del corpo (nāḍī)
all'interno della colonna, lungo il quale risale la
"serpentessa" kuṇḍalinī.
Interpretare tutto
il versetto in chiave astronomica sarebbe troppo lungo (il CORPO DEL DIO,
visibile con gli occhi della mente, è un altro asterismo di cui fa parte
il "triangolo di Primavera" detto "diamante della vergine",
in sanscrito vajra, come il canale sottile associato a citrā
nadi) e forse non è argomento da sviscerare in un blog.
Quello che è
importante, credo sia il cominciare a pensare alla possibilità che
dietro alla simbologia spesso oscura dello yoga ci sia una scienza antica che
analizzava e utilizzava rapporti tra stelle, vibrazioni e corpo umano.
L'Onda di Bellezza (questo è il significato di saundaryalaharī) sarebbe qualcosa di simile alla "musica delle sfere" e ogni organo del
nostro corpo sarebbe in grado di entrare in risonanza con questo o quel corpo
astrale, trasformando il nostro corpo e la nostra mente per darci modo di
partecipare"fisicamente" alla danza dell'universo.
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