Tratto da "IL FUOCO E LA LUNA", ISBN-10: 198061119X, ISBN-13: 978-1980611196
Il desiderio sessuale, cui è collegata la possibilità di perpetuare la vita umana sulla terra, è energia creativa allo stato puro e se la si vuole utilizzare per aprire la porta segreta (la “decima porta” che conduce alla “via mediana”) e far risuonare il nostro corpo al Canto delle Stelle, occorre utilizzarla con molta cautela. Immaginiamo che il ventre e il bacino siano una pentola a pressione piena d'acqua. Il desiderio sessuale è la scintilla con cui accendo il gas. Le carezze, i baci, lo sfregamento dei corpi e, in seguito, i movimenti sempre più rapidi della penetrazione sono il fuoco che aumenta la temperatura e, quindi, accelera il movimento delle molecole d'acqua nella pentola. Più sale la temperatura e più aumenta la turbolenza delle molecole d'acqua che, trasformandosi in vapore aumentano la pressione interna della pentola. Quando la pressione interna aumenta si apre la valvola sul coperchio ("valvola di esercizio") e, accompagnata da un suono acuto, esce una colonna di vapore. L'emissione del vapore corrisponde all'emissione dello sperma, ovvero alla conclusione del rapporto e alla fine del desiderio. Se la valvola posta sul coperchio della pentola a pressione fosse otturata, la pentola si trasformerebbe in una bomba. E' per questo che i costruttori hanno inserito una valvola di sicurezza, un diaframma che esplode quando la pressione interna diviene eccessiva. Anche nel corpo maschile, per il Tantra, ci sono due valvole, poste alla base del pene. La prima, corrispondente più o meno ai primi tre petali del secondo cakra, detto svadhiṣṭhāna[1], si apre per far uscire lo sperma quando, durante il rapporto sessuale, la temperatura interna supera i 39°[2]. La seconda valvola è invece rappresentata dagli altri tre petali dello svadhiṣṭhāna cakra, contrassegnati dalle sillabe
YAṂ, RAṂ, LAṂ
Ovvero le “sillabe seme” dei cakra del cuore, dell'ombelico e del perineo. Le sillabe seme sono le vibrazioni originarie di un fenomeno, anzi sono le note fondamentale che danno origine a quel particolare accordo o a quella melodia che noi chiamiamo fenomeno o ente. In altre parole le sillabe seme sono i veri nomi delle divinità e farle risuonare nel modo giusto, per il tantra significa far manifestare gli Dei. LAṂ ad esempio “è” la dea della Terra, VAṂ il Dio dell’Acqua, RAṂ il dio del Fuoco e YAṂ il Dio dell’Aria. Lo Spazio è legato alla sillaba HAṂ che sta per Hara uno dei nomi di Śiva.
Se si entra un pochino nella logica dei suoni su cui si fonda il sanscrito ci si apre un mondo, e l’apparente incomprensibilità di certi simboli e concetti si scioglie come la rugiada del mattino. Prendiamo ad esempio il nome Śiva.
Nell’alfabeto sanscrito (che si chiama devanāgarī, letteralmente “SCRITTURA DELLA CITTÀ DI DIO) le consonanti sono sempre sposate alla lettera A. La nostra B è BA, la C, sempre morbida, è CIA, la D è DA e così via.
La Ś di Śiva si scrive श e si pronuncia SCIA.
Se nella parola in cui è usata una determinata consonante non si deve pronunciare la A si aggiunge un segno aggiuntivo, una specie di virgola nel caso di श ŚA, ad esempio, se non si pronuncia la A scriveremo श्. Se si vuole che la SC sia seguita da una vocale diversa aggiungeremo un segno ulteriore, शु sarà SCIU, शो sarà SCIO e così via.
Se uniamo la sillaba श SCIA alla sillaba व VA si ottiene la parola शव SCIAVA che significa CADAVERE.
Śava, nel mito dell’Isola delle Gemme, è lo stato del Dio che dorme di un sonno simile alla morte. Per trasformare Śava in Śiva, dovremo ovviamente aggiungere la vocale “I” e qui il devanāgarī ci riserva una sorpresa. La “I” ha l’aspetto di un serpente a tre spire, इ, ma quando viene unita ad altre sillabe cambia completamente forma.
Guardiamo che succede quando la inseriamo nella parola शव Śava:
इ + शव = शिव
La “I”इ non modifica affatto, graficamente, la parola शव Śava, ma si pone davanti a lei, raddrizza le spire ed emette quello che sembra quasi un fiotto d’acqua, शिव.
Quel fiotto è “Acqua di Vita”, l’effervescenza provocata dal desiderio sessuale. La “I”इ è l’Energia Creativa della Dea, Kuṇḍalinī. Quando dorme, all’estremità inferiore dell’osso sacro, Kuṇḍalinī viene descritta come un serpente avvolto in tre spire. Quando si desta si erge come un “BASTONE”. Nella differenza grafica tra शव Śava e शिव Śiva si cela, di nuovo, il Mito dell’Isola delle Gemme, con la I che interpreta il ruolo della “Bella dei Tre Mondi”, la Dea che risveglia il suo sposo per dare inizio alla creazione. Le sillabe, i suoni, sono divinità per gli yogin ed è nei suoni e nei simboli che dovremo ricercare il senso ultimo dell’insegnamento del Tantra Yoga.
Ma torniamo alle pratiche sessuali.
Come si è detto in precedenza nel corpo umano, per il tantra, ci sono due valvole, poste alla base del pene.
La prima, corrispondente più o meno ai primi tre petali del secondo cakra, detto svadhiṣṭhāna, si apre, nel maschio, per far uscire lo sperma quando, durante il rapporto sessuale, la temperatura interna supera i 39°.
La seconda valvola, quella di sicurezza, è invece rappresentata dagli altri tre petali dello svadhiṣṭhāna cakra, contrassegnati dalle sillabe YAṂ RAṂ LAṂ. Alcuni ritengono che per aprire la “valvola di sicurezza” sia sufficiente arrestare meccanicamente il flusso di sperma, strizzando la base del pene o il perineo, o raffreddando i testicoli con del ghiaccio, in realtà ciò che deve risalire nel canale mediano non è lo sperma, ma la vibrazione del desiderio.
Gli unici effetti che si possono ottenere arrestando meccanicamente l'emissione di sperma sono dei danni alla prostata ed una vaga sensazione di forza e potenza dovuta in gran parte a fattori psicologici e, in minima parte, all'eccesso di testosterone in circolazione nel corpo.
Il lavoro necessario per aprire la “porta segreta” è molto più sottile e delicato di quanto si possa pensare. La dinamica eccitazione - penetrazione - emissione di sperma corrisponde ad un processo fisiologico, naturale, finalizzato al mantenimento della specie umana. Le pratiche sessuali tantriche si basano sull'inversione del processo naturale e la conoscenza necessaria per attuare questa “'inversione dell'acqua e del fuoco”, come viene spesso definita, non è cosa che si possa imparare in poco tempo, affidandosi a letture approssimative o all'istinto.
L'uomo e la donna sono dotati di caratteristiche opposte e complementari. I canali sottili (nāḍī)dell'uomo sono stretti e rigidi e la maggior parte dell'energia che vi circola, ojas (termine che si può tradurre con vitalità o forza) tende naturalmente verso l'esterno. I canali sottili della donna sono invece morbidi ed ampi e l'energia che vi circola, definita genericamente prāṇa, tende all'interiorizzazione. Per cercare di capire cosa significhi possiamo provare ad osservare l'istintivo armonizzarsi dei respiri e dei gemiti durante il rapporto sessuale:
L'uomo tende ad inspirare quando il pene esce dalla vagina e ad espirare ed emettere suoni nella fase di penetrazione.
La donna, all'inverso, espira e geme, in linea di massima, nella fase di “vuoto”.
Se si considera la respirazione come una modalità di comunicazione la fase inspiratoria corrisponderà all'ascolto e la fase espiratoria all'espressione.
L'uomo esprime la propria interiorità, ovvero conduce le energie dal centro all'esterno, durante le fasi di pieno (penetrazione).
La donna all'inverso esprime la propria interiorità durante le fasi di vuoto.
Vediamo adesso come il tantrico Gorakhnath descrive il cakra dei genitali (Āmaraughaśāsana, 60. Traduzione di Lilian Silburn in “Kundalini o l’energia del profondo”):
"Tra l'ano e l'organo sessuale c’è il trikona circondato da tre cerchi. E qui, nel triangolo ci sono uno, due, tre nodi di [questo sostegno] radicale. In mezzo ai tre nodi si trova un loto i cui quattro petali sono rivolti verso il basso. Là, al centro del pericarpo è situata una conchiglia, estremamente sottile, come uno stelo di loto, in cui riposa l'energia kuṇḍalinī, l'attorcigliata, simile ad un giovane germoglio. Questa assunto l'aspetto di due, tre canali (nāḍī), dopo essere penetrata nella coscienza, è addormentata".
Il triangolo formato dal muscolo "trasverso superficiale del perineo"(in realtà due muscoli gemelli che si uniscono al centro fibroso tendineo del perineo) e dai due muscoli "ischio cavernosi" è la dimora di kuṇḍalinī, il luogo dal quale comincia il viaggio a ritroso delle energie. Secondo i testi tantrici il triangolo (trikona) va ruotato e fatto salire verso i cakra superiori. Per capire cosa significa bisogna considerare il ruolo della base del triangolo, il muscolo trasverso del perineo, nella dinamica dell'orgasmo.
L'orgasmo, sia nell'uomo che nella donna, si manifesta, con una serie di contrazioni ritmiche involontarie di muscoli e organi interni accompagnate da tremori, scosse e spasmi muscolari di varia intensità. La base del triangolo perineale (detto anche trigono ischio-cavernoso) ha l'aspetto di una corda elastica ed è formata, come si è detto, da due muscoli gemelli che si uniscono al centro tendineo del perineo, base del sistema connettivo del corpo. Quando la "corda" è ben tesa amplifica le vibrazioni provenienti dalla zona genitale prodotte dal ritmo della penetrazione, dalla masturbazione, o dallo sfregamento, e le trasmette agli organi interni [NB. Il tessuto connettivo è formato da tre fasce sovrapposte, la più profonda avvolge gli organi interni e la catena dei diaframmi] e contemporaneamente, amplifica le vibrazioni provenienti dagli organi interni e le trasmette agli organi genitali. È facile immaginare come l'intero triangolo perineale virerà (ovvero si sposterà ritmicamente, in alto e in basso rispetto al proprio asse) sempre più rapidamente fino al momento dell'orgasmo.
La percezione dei micromovimenti del triangolo pelvico è ovviamente un’esperienza tattile. È questa non è una banalità, ma un punto fondamentale dell’alchimia sessuale.
Il tatto, per i tantrici è il “principe dei sensi”. Scrive Abhinavagupta (Tantraloka XI, 29-33):
“Gli organi della vista, dell'udito, del gusto e dell'olfatto risiedono in modo sottile nella terra e negli altri elementi che appartengono a livelli di realtà inferiori, e il più elevato non va al di là dello stadio dell'illusione (māyātattva), mentre il tatto risiede al livello superiore dell'energia, in quanto sensazione sottile ineffabile a cui lo yogin aspira senza sosta; questo contatto sfocia infatti in una coscienza identica al puro firmamento, che brilla di luce propria”.
Tutte le pratiche si basano sul "sentire", ovvero sul percepire il flusso di energie sottili, dove sottile va inteso nel senso letterale del termine: alcuni canali energetici (rappresentati graficamente come i petali dei cakra) vengono descritti nei testi come "più sottili di un capello”. La sensibilità necessaria per le pratiche tantriche è quella, febbrile, della madre che avverte con i capezzoli il bisogno di latte del bambino prima ancora di udirne il pianto. Una sensibilità che è legata alla dolcezza, alla leggerezza, all'ascolto interiore. Tutto ciò che invece è connesso al possesso, alla brama di potere, all'invidia, alla gelosia diviene un ostacolo perché crea quella che Abhinavagupta definisce "rugosità" (vedi Tantraloka XXVIII). La rugosità è sinonimo di contrazione, di blocchi che impediscono la libera espansione della coscienza. I due amanti devono essere disposti ad annullarsi l'una nell'altro fino a fondersi in ciò che è definito kramamudrā, un termine tecnico che sta ad indicare l'insorgere di una particolarissima vibrazione non volontaria dei corpi, della quale il ritmo, alternato nell'uomo e nella donna, dell'assorbimento e dell'emergenza della coscienza di cui la penetrazione è una rappresentazione sul piano grossolano. Kramamudrā è una specie di danza dei ventri, una vibrazione sottile che partendo dall'ombelico (il muscolo pubococcigeo più probabilmente) mette in moto tutto l'asse dei diaframmi corporei (pelvico, urogenitale, toracico, gola, palato molle), ed è il sintomo del “risveglio” di kuṇḍalinī. Non si può imitare e non si può ricercare volontariamente: deve insorgere (parola che ricorre spesso nei testi) naturalmente, così come insorgono i gesti e i sospiri di piacere degli amanti. Detto così sembra facile, il problema nasce dalle strutture mentali degli occidentali che nella maggior parte dei casi, sono incapaci di liberarsi dai vincoli morali e culturali per affidarsi completamente al sentire e al godere. La sensazione della risalita di kuṇḍalinī nelle pratiche sessuali è così sottile, dolce che basta un pensiero tra virgolette "negativo" per far "ridiscendere l'energia.
La frase FAR RIDISCENDERE L'ENERGIA non è una metafora. Quello delle metafore è un altro problema degli occidentali. Spesso l'approccio con lo yoga è viziato dalle due tendenze eguali e di senso contrario, della devozione e della speculazione filosofica. L'approccio devozionale, per co-me lo intendo io, è quello che ti fa accettare per vere senza muovere un ciglio, le spiegazioni più assurde di tecniche e fenomeni. Per approccio filosofico intendo invece l'abitudine a interpretare i simboli e le immagini come metafore di qualcosa d'altro altrimenti inesprimibile. Bisogna tener conto che il Tantra è un qualcosa di eminentemente pratico, basato sull'esperienza. Se si parla di un cakra, ad esempio il cakra della Gola, bisogna vederlo come una tavola anatomica e non come il simbolo di chissà quale verità metafisica. Ogni petalo indica una nāḍī ovvero un canale energetico, un tubo, attraverso il quale si muovono le energie che SONO SEMPRE E COMUNQUE kuṇḍalinī, e le lettere iscritte nei petali ci danno la frequenza delle energie che scorrono in quelle particolari nāḍī. Il triangolo centrale ha una precisa corrispondenza sia nella fisiologia sottile (proiezione del KAMAKALA) sia nell'anatomia occidentale (ugola), il pericarpo (centro) è una sezione della VIA MEDIANA (interno della colonna), la sillaba che è iscritta al centro (HAṂ nel caso del cakra della gola) sta ad indicare la frequenza che "attiva" le energie dei singoli petali. Da ogni loto poi emanano i marīci o Raggi della Creazione. Se le sillabe iscritte nei petali rappresentano le NOTE FONDAMENTALI della manifestazione, i marīci identificati a seconda delle scuole con una serie di divinità o di maestri realizzati, combinandosi tra loro danno vita a tutte le possibili varianti dell'esistenza, sia universale che individuale. La conoscenza dei marīci è fondamentale per il lavoro sulle energie sottili e per la comprensione dell'identità tra microcosmo e macrocosmo. Sono 360 come i gradi dell'eclittica e i giorni dell'anno lunare e sono divisi in questo modo:
FUOCO - 118 RAGGI:
Mūlādhāra, plesso del perineo - 56 raggi,
Svadhiṣṭhāna, plesso dei genitali - 62 raggi.
SOLE - 106 RAGGI:
Maṇipūra, plesso dell’ombelico - 52 raggi,
Anāhata, plesso del cuore - 54 raggi.
LUNA - 136 RAGGI:
Viśuddha, plesso della gola - 72 raggi,
Ājñā, plesso della fronte - 64 raggi.
I 360 marīci sono i raggi irradiati dalle Dea, e danno vita alle stagioni, agli stadi della vita, alle emozioni, i pensieri ecc…E Marīci è anche il nome della Dea nell'atto di irradiare la manifestazione. I tibetani la chiamano Ozer Chenma (Regina di luce) o TARA. Nello stato tra virgolette "normale" dell'essere umano, la RADIANZA della Dea in forma di marīci si disperde in tutte le attività di "CORPO/PAROLA/MENTE", ma quando si scatena il desiderio sessuale i raggi si dirigono verso la "RUOTA CENTRALE", il cakra dell'ombelico, i cui dieci petali rappresentano i canali in cui scorrono i dieci "soffi vitali" (cinque fondamentali e cinque secondari). Il calore legato all'accendersi del desiderio così come il rossore delle guance, il turgore delle labbra, la maggior morbidezza della pelle e delle articolazioni, sono gli effetti della concentrazione delle energie "radianti" nel maṇipūra cakra. È Kuṇḍalinī che viene risvegliata dalla forza del desiderio. Le energie tendono a ridiscendere verso i cakra inferiori per dar luogo all'unione sessuale e all'emissione, l'orgasmo, che rappresenta un momento di "assorbimento" (samadhi) di uno o di entrambi gli amanti. Anche nel caso di rapporti ripetuti e del rinnovarsi del desiderio, l’unione sessuale segue sempre la stessa dinamica:
Eccitazione (sguardi, carezze, baci...) - cambio della percezione –penetrazione - emissione.
Può accadere, a volte di percepire un attimo prima dell'orgasmo, una specie di lampo, una luce CHIARA, come la definiscono i buddisti, e questa chiara luce è la visione della radianza della Dea, i Marīci. Per un istante gli amanti, o uno dei due, si immergono completamente in quella luce e nel suono che accompagna l'emissione (rappresentati nel tantra dalla sillaba AḤ) perdendo il senso del tempo, dello spazio e dell'individualità. Ma si tratta appunto di un istante, Kuṇḍalinī, normalmente, si risveglia, attiva tutti gli organi del corpo e quindi ridiscende per assopirsi nuovamente dopo l'emissione, detta per questo, dai Tantrici, "VELENO". Il lavoro che si compie nel tantrismo sessuale è quello di mantenere l'attenzione nello spazio intermedio tra la nascita del Desiderio e la produzione del Veleno, inserendo nella dinamica naturale del rapporto, dei “momenti di RIPOSO o ASSORBIMENTO IN SÉ. L’assorbimento in sé permette di rinnovare il desiderio prima che sia sopraggiunto l’orgasmo, aumentando progressivamente l'eccitazione di kuṇḍalinī mediante processi definiti di FRIZIONE ed EFFERVESCENZA, alimentando sempre più le energie delle dieci nāḍī del cakra dell'ombelico. Ad un certo punto, nell'alternarsi di eccitazione/assorbimento nell'altro e riposo/assorbimento in sé, l'energia accumulata nella "RUOTA CENTRALE" è così potente da far "drizzare kuṇḍalinī (che prima di allora si muoveva a spirale) come un bastone". I venti o soffi vitali dell'ombelico assumono quindi il ruolo di "PORTATORI DI BASTONE" e vengono rappresentati pittoricamente come
due servi intenti a far vento ai due Amanti o alla Dea o al Tridente del Dio. Nelle tecniche tantriche finalizzate a trasformare il rapporto sessuale nell'unione mistica con la divinità, bisogna apprendere l'Arte di raccogliere la "RADIANZA" della Dea nell'ombelico per permetterne la risalita. In altre parole si deve procedere alla trasformazione e al re-indirizzamento dell'energia vitale, detta ojas ed alla sua utilizzazione consapevole da parte di entrambi gli amanti. Questo re-indirizzamento dell’energia permetterà di raggiungere uno stato definito samadhi vigile, o samadhi stabilizzato. Nella pratica per non disperdere l’energia con l’emissione, l’uomo deve combattere la tendenza ad accelerare il ritmo della penetrazione. La donna invece deve resistere all’impulso di contrarre i muscoli delle cosce, delle braccia e delle spalle. Ogni volta che i due amanti sentono avvicinarsi l’eiaculazione maschile, devono ritornare all’ascolto della respirazione e alla percezione delle energie sottili dei cakra. Dopo un po’ la sensazione di calore e pienezza della zona genitale, nell’uomo, comincia a spostarsi nella zona del sacro, trasformandosi in un sottile formicolio o in una leggera corrente elettrica. A questo punto deve visualizzare il pene all’interno della vagina. Quando la visualizzazione è corretta si percepisce un’ulteriore ondata di energia, assai leggera, che scorre nella zona inferiore del prepuzio, nel perineo e nell’ano. La visualizzazione successiva sarà quella di un tubo sottile e trasparente che dal glande si infila nel sacro e, scorrendo lungo la colonna vertebrale, arriva fino alla nuca. L’energia tenderà a risalire naturalmente e ci si dovrà limitare ad assecondare il movimento naturale della “respirazione ossea” spostando leggermente il sacro indietro e il mento in avanti inspirando e distendendo i muscoli della nuca espirando. La nostra compagna, percepito il cambio di ritmo, visualizzerà a sua volta un tubo sottile e trasparente che dal punto tra le sopracciglia risale alla fontanella per poi ridiscendere fino alla vagina. La visualizzazione di solito è accompagnata da una sensazione di piacevole calore “vibrante” alla fronte e al petto. Se si è in uno stato di “vigilanza” si può far circolare l’energia in questo modo:
- L’uomo inspirando conduce l’energia dal sacro al punto centrale delle scapole, in corrispondenza con il cuore. Espirando la conduce al punto in mezzo alla fronte e da lì alla bocca.
- La donna inspirando conduce l’energia dalla bocca al centro delle scapole (passando per il punto in mezzo alla fronte, la fontanella e la nuca). Ed espirando, dal cuore, la porta direttamente al pene del compagno.
Arte erotica Mughal. XVII secolo |
La leggera effervescenza (o formicolio, o sensazione del passaggio di una corrente elettrica) che gli amanti percepiscono nell’orgasmo vigile, nel Tantra viene definita “Grazia” o “Carezza divina”. La si percepisce come un formicolio, appunto, o come una vibrazione sottopelle, che diviene sempre più profonda e sottile man mano che, tramite gli asana e la pratica della meditazione si sciolgono i blocchi psicofisici. Le zone più sensibili sono la clitoride e il glande collegati direttamente ai cakra superiori mediante il canale energetico chiamato vajra nāḍī, che viene descritto “sottile come un capello” all’interno del quale è presente un altro canale detto citriṇī, “sottile come la tela del ragno”. Quando nel rapporto sessuale, la stimolazione di clitoride e glande diviene fastidiosa o dolorosa, come accade spesso dopo l'orgasmo, significa che l'energia del desiderio (che è sempre e comunque Kuṇḍalinī) è risalita fino al cakra dell'ombelico per poi ridiscendere alla zona genitale. È questo, per così dire, il percorso ordinario, naturale, di Kuṇḍalinī, Ogni volta che i sensi "entrano in effervescenza", a causa dell'eccitazione, non solo sessuale, Kuṇḍalinī, viene risvegliata e sale al cakra dell'ombelico, ma se il corpo non è addestrato mediante la pratica yoga, tende naturalmente a ridiscendere verso il basso, a “riassopirsi”, per così dire. Lo scopo degli esercizi psicofisici tantrici non è tanto quello di ridestare la "Dea " (presente come energia potenziale in tutti gli elementi della materia), ma “aprire i cancelli” (la “decima porta”) o “sciogliere i nodi” (granthi) che ne impediscono la “risalita” ai "piani alti". Il primo nodo o blocco è detto Brahmā granthi e anche se viene localizzato spesso sul glande e sulla clitoride, corrisponde alla zona compresa tra l'ombelico e il pavimento pelvico. Brahmā granthi è il nodo che lega i primi tre cakra, quello cioè che impedisce di far risalire l’energia alla testa e al cuore. A proposito di cakra, si leggono e si ascoltano spesso storie sui cakra chiusi e sulle conseguenze che tale chiusura avrebbe sul corpo e sulla psiche. Si organizzano addirittura dei corsi in cui si insegna ad aprirli nei modi più bizzarri. In realtà, per lo yoga, i cakra sono naturalmente aperti: se non lo fossero saremmo morti! Casomai, nelle pratiche tantriche, i cakra andrebbero in un certo senso chiusi. Un'altra credenza fantasiosa riguarda l'appartenenza dei cakra ad una qualche dimensione superiore, ad una realtà parallela o alla sfera metafisica: quello che chiamiamo corpo, nello Yoga, è l'insieme di Corpo (materia cioè carne, ossa, sangue ecc.), Parola (Le emozioni e le loro interazioni con i processi fisiologici ovvero respirazione, digestione ecc.), Mente (capacità di pensare, percepire, elaborare le percezioni ecc. ) se sostituiamo a Corpo/Parola/Mente le parole Materia, Energia e Coscienza riconosceremo questa triplice partizione in tutto ciò che esiste, dall'Universo alla singola cellula. Ciò che chiamiamo illuminazione consiste nella comprensione/realizzazione dell'identità fondamentale tra Materia, Energia e Coscienza, percepite come un unico flusso o Potenza, che nel tantrismo è detto Kuṇḍalinī, Śakti o, semplicemente Dea. I cakra sono, anzi devono essere una realtà fisica, perché ogni fenomeno, secondo lo Yoga, per esistere, per essere riconosciuto come reale, deve essere "godibile". Più precisamente per essere “vero” un oggetto deve possedere tre qualità:
Asti, che significa Esistenza;
Bhāti, Splendore, Luce Interiore.
Priyam o Priya, Piacevolezza, possibilità di essere Goduto.
Un oggetto che non è conoscibile e di cui non si può godere, semplicemente non esiste. In altre parole per il Tantra non c'è nessuna differenza sostanziale tra sfera fisica, psichica o mentale. Ogni simbolo, pensiero o emozione deve avere una sua corrispondenza visibile e tangibile, se non l'avesse non esisterebbe. I cakra sono una realtà fisica e sono localizzati nel corpo con estrema precisione. Ogni plesso energetico[3] dista dal successivo e dal precedente 12 dita, ovvero il palmo di una mano aperta dal pollice al mignolo. A partire dal primo, corrispondente al perineo, ad una distanza di 12 dita[4] troviamo l’osso pubico e la base dei genitali, poi, a dodici dita da questo, l'ombelico, quindi, il cuore, la gola, il punto tra le sopracciglia e il sincipite. Ognuno dei cakra è formato da un centro (pericarpo) individuabile con un punto sull’asse centrale della colonna vertebrale e da una serie di canali (nāḍī) rappresentati come petali, ma che in realtà sono dei tubicini (“Canali Sottili”) nei quali scorrono energie la cui frequenza è, indicata dalle diverse sillabe dell'alfabeto sanscrito.
[1] Svadhiṣṭhāna significa “la sua propria casa”, ad indicare che è la dimora naturale di Kuṇḍalinī.
[2] È divertente notare che all'interno di questi tre petali sono iscritte le sillabe BA, BHA e MA combinando le quali si ottengono le parole sanscrite corrispondenti a babbo e a mamma in gran parte delle lingue conosciute
[3] Ci sono molti cakra nel corpo umano. Questa descrizione riguarda i cakra più conosciuti, quelli sui cui petali sono iscritte le lettere dell’alfabeto sanscrito.
[4] Si parla delle “nostre” dita, non di una unità di misura valida per tutti! Il corpo umano, se lo si conosce bene, ha proporzioni ben definite ed una simmetria spaventosa.
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