- Copertina flessibile: 152 pagine. Editore: Independently published. Collana: Arte di Vivere. ISBN-10: 1549534831. ISBN-13: 978-1549534836)
Ciò che chiamiamo Manifestazione per il Vedanta è una combinazione di
cinque principi (Spazio, Aria, Fuoco, Acqua e Terra) e tre "qualità”
(Sattva, Tajas, Tamas). Questo significa che, a livello assoluto, non c'è
nessuna differenza tra IO (inteso come mente, sensazioni, emozioni, corpo) ed
un carciofo. I principi costitutivi sono gli stessi. Io però parlo, esprimo
desideri e sentimenti e costruisco cose e situazioni.
Costruire, parlare, esprimere sono tutte delle modificazioni del
linguaggio. L'IO è qualcosa che è costruito da pensieri/parole e produce
pensieri/parole.
In un certo senso, quindi, IO SONO
IL LINGUAGGIO. Ciò che definisco IO, il piccolo io empirico, l'Ego, è “la
mia maniera di dirlo”. “IO” sono le parole che uso.
“Mente” sono i pensieri che insorgono. Un vortice di pensieri/parole che,
quasi magicamente, diviene a sua volta un produttore di parole e pensieri, e
queste parole/pensieri si trasformano in una certa maniera di muoversi, di
comportarsi, di raccontare il mondo circostante ed infine di modificarlo a “mia”
immagine. Le parole/pensieri, la mia maniera di pensare e parlare, ad esempio,
in italiano, non può essere considerata innata, è frutto di un processo di
apprendimento che comincia, pare, a partire dai sei mesi di vita. Se è vero che
il bambino emette dei suoni più o meno articolati è anche vero che questi suoni
vengono interpretati dagli adulti a seconda della loro esperienza e dei loro
desideri. Difficile credere che Il bambino prima dei sei mesi abbia possibilità
di pensare in maniera discorsiva.
Una notte di una ventina di anni fa, mi sono svegliato di colpo ed ho visto
Angelica, mia figlia piccola (che ancora non parlava ma riusciva a stare in
piedi, poggiandosi sulle sbarre del lettino) che mi osservava.
Ci siamo guardati negli occhi per quasi un'ora, in silenzio.
Fu un'esperienza sconvolgente. Non riuscivo neppu-re ad immaginare cosa
pensasse, anzi sembrava che non pensasse proprio. Mi guardava negli occhi, e basta.
Dopo un po' anch'io mi sono trovato a guardarla negli occhi e basta.
Non un pensiero.
Non un'immagine che insorgesse nella mente.
La mattina dopo ho cominciato a pensare le cose più stravaganti. Ho pensato
che Angelica fosse un alieno, o la reincarnazione di un grande illuminato o
altro ancora. Poi, improvvisamente, mi sono ricordato di aver sperimentato
esattamente lo stesso stato di non pensiero dieci anni prima, con Francesca,
mia figlia maggiore. Lo sguardo del bambino è annichilen-te. E' immenso, ma
dopo pochi mesi, acquisendo la parola, anche in maniera limitata, cambia,
diviene un cucciolo piagnucoloso o sorridente. Fa tenerezza.
Il suo sguardo può imbarazzare, a volte ma non si riaccenderà più, se non
rarissimamente, di quella luce non luce che annichilisce e paralizza il
pensiero.
Apprendendo un linguaggio si crea un mondo.
Si imparano prima i nomi (pappa, mamma, babbu, tata...) poi i verbi che indicano
le azioni poi il numero di parole apprese comincia ad aumentare in maniera
esponenziale. Una cosa stravagante, che mi sembra di ricordare della prima
infanzia delle mie figlie, è che la parola IO nonostante sia semplice da
ricordare e riconoscere, non è stata tra le prime che hanno cominciato ad
usare. Parlando di se stesse usavano la terza persona: “Bimba ha sete” o semplicemente “Bimba
Ma” (usavano entrambe la sillaba MA per indicare l'acqua). Naturalmente non
si può generalizzare, è possibile che altri bambini imparando a parlare abbiano
usato per prima la parola IO, ma mi pare di ricordare che "IO"
stesso, da bambino, non usassi la prima persona singolare, ma mi riferissi a ME
in terza persona: "ha fame",
mi sembra dicessi.
Tanto è vero che mia madre si burlava di me dicendo che avevo un amico
invisibile. Gli dette pure un nome, Artù o Arturino. Non avendo parole
(intendendo per parole il linguaggio ovvero qualsiasi modalità di espressione
di un concetto) la mente del bambino è insondabile.
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