"Ciò che è celebrato come fonte del flusso universale che spande la felicità è chiamato organo genitale, ma ha per essenza la via mediana"
(Jayaratha, Tantralokaviveka)[1]
Nel tantrismo sessuale l'accento è posto, ovviamente e senza possibilità di dubbio, sugli organi genitali (upastha), definiti spesso vajra (diamante) e padma (loto). In tutte o quasi le immagini tantriche il pene e la vagina sono posti in grande evidenza, ma bisogna considerare che si tratta di organi sessuali "sacralizzati" o "divinizzati".
Scrive Abhinavagupta[2] (Tantraloka V, 122)
"l'insieme degli organi divinizzati risiede senza sforzo in questo regno pieno di felicità, quello di una coscienza perpetuamente emergente".
Accrescere la propria energia sessuale significa, nel tantra, accrescere la capacità di vivere pienamente fino a raggiungere lo stato della felicità senza limiti definito sahaja, o stato naturale.
Scrive ancora Abhinavagupta, nella traduzione dalla Silburn (Paratrisikavivarana 49,50)
"Mancare di virilità significa mancare di vita, mancare della capacità di meravigliarsi [caratteristica] dell'essere dotato di cuore [sahṛdaya che significa "sensibile" "empatico", "di buon cuore"], immerso nel fervore e la cui potenza virile è in effervescenza, perché solo il cuore che fortifica questa potenza è capace di meraviglia".
È evidente che la nostra idea di virilità è assai diversa da quella dei maestri tantrici. Essere virili significa per Abhinavagupta essere dotati della capacità di meravigliarsi tipica del bambino. Il quieto stupore, il trasporto misurato degli amanti indiani vuole rappresentare non l'assenza di passione, ma l'effervescenza sottile della potenza sessuale quando la si usa per espandere gli organi sensoriali e, quindi, la coscienza.
Effervescenza, espansione, rapimento, meraviglia… nei testi tantrici queste parole ricorrono continuamente, e sono parole che fanno a pugni con l'immagine dello yogin come un asceta tutto assorbito in se stesso e occupato ad ottenere il distacco dai sensi. Per il tantra il distacco non è distacco dall'oggetto percepito, ma dal desiderio di possederlo e di esserne posseduti. Bloccare, arrestare, fermare sono invece verbi che non compaiono nel vocabolario del tantrismo, le cui tecniche si basano sulla leggerezza e sulla dolcezza, sull'abbandono controllato (nel senso di cosciente) al flusso del piacere. Cogliere "la potenza virile nell'atto di zampillare" ad esempio non significare impedire l'emissione dello sperma senza tener conto dei bisogni della nostra partner, come credono in molti.
Ciò che va bloccato o interrotto non è il processo naturale dell'eiaculazione, ma la dinamica nascita del desiderio - soddisfazione - morte del desiderio.
L'effervescenza dell'energia sessuale, che produce lo stato definito “il ruggito dello yogin”, può nascere solo dalla libertà. Il tantrico non ricerca il piacere, ma ne viene sorpreso. Con l'animo del fanciullo, o dell'artista, scopre la bellezza di un suono, di un colore, del volo di un gabbiano in maniera “tattile” e se ne stupisce. Questa specie di sinestesia e il divertito distacco che la accompagna, sono trai sintomi di quella che viene chiamata Ascesa di Kuṇḍalinī,
Il suono dei cembali durante la meditazione o una pietanza gustosa vengono "sentiti" come una carezza o un soffio di vento. Probabilmente la danza e i corpi dei danzatori sono così frequenti nelle rappresentazioni pittoriche, nelle sculture e nella simbologia tantriche perché rendono visibile l'invisibile, quella carezza divina che sfiora il corpo e il cuore dello yogin nello stato di ānanda, in ogni momento della sua esistenza.
Paradossalmente l'espansione dei sensi causata dall'accumulo di energia sessuale porta all'assorbimento nel Sé.
La diversa "qualità" degli stimoli sensoriali, permette di penetrare l'essenza dell'oggetto che li provoca favorendo l'identificazione dello yogin con la percezione (azione del godere) e con l'oggetto percepito (oggetto di godimento): è questa l’esperienza che viene definita Samadhi.
Il Samadhi è lo strumento che scioglie i cinque veli della Grande Dea dell’Illusione.
Nello Yoga ogni cosa nasce dallo Spazio Infinito.
La Dea stessa è Spazio infinito, incomprensibile e incommensurabile, come l'Oceano senza Sponde che bagna l'Isola delle Gemme, il talamo degli amanti divini.
Ma l'Universo, per essere percepito, deve avere delle misure.
Dallo Spazio illimitato nasce, nella mente, lo spazio limitato dai punti cardinali (Est, Ovest, Nord e Sud), dall' alto e dal basso.
È il primo velo di Māyā e viene generato dal desiderio della Dea di risvegliare il suo Sposo.
La limitazione è creazione.
Lo spazio limitato contiene in sé una indefinita possibilità di architetture, generata dal potere del desiderio, Icchā Shakti.
La continua alternanza di pieno e vuoto e chiaro e scuro che chiamiamo esistenza è ritmo ed il ritmo è vibrazione.
Il seme di tutte le vibrazioni, il primo suono potenzialmente udibile, ma ancora inespresso, è rappresentato nell’Isola delle Gemme, dalle tre vocali A, I ed U.
La seconda limitazione è la conoscenza, Vidya, la possibilità di udire il primo suono. È l'Aria che conduce la vibrazione da un luogo all'altro.
La dea prende il nome di Jnana śakti. Il Dio la riconosce e la desidera con gli occhi, con la pelle, con l'anima. Il desiderio si fa passione, raga, e la passione è il Fuoco, il terzo velo limitante, radice dell'Azione, Kriya Shakti.
Desiderio, Conoscenza, Azione. La conoscenza nasce dal desiderio, l'azione dalla conoscenza, di fatto l'Universo è creato: c'è un prima, il Dio che dorme un sonno senza sogni e c'è un dopo, il Dio che dimentica se stesso nel corpo della Sposa.
Nasce allora il Tempo, la quarta limitazione, il quarto velo della grande Dea.
Il Tempo è il fiume che trascina i pensieri, le azioni e i loro frutti come fossero ciottoli, o rami spezzati
Alcuni lo chiamano inconscio.
È il Tempo a creare la Terra e in ogni porzione di Terra si ritrova un po' di Spazio e di Vento e di Fuoco e d'Acqua.
Pure l Uomo è una porzione di Terra, ma racchiude in sé l'intera manifestazione.
Le orecchie, la bocca la capacità di esprimersi sono figlie dello Spazio.
La pelle, le mani, la voglia di conoscere, sono figlie dell'Aria.
Gli occhi, i piedi, l'impulso ad andare da un luogo all'altro, sono figli del Fuoco.
La lingua, i genitali, la volontà di creare sono figli dell'Acqua.
Quando i cinque vāyu, la forza di coesione che tiene insieme la materia, abbandonano il corpo, nel samadhi come nella morte, tutto ritorna a prima dell'inizio e la Terra si fa Acqua, l'Acqua si fa Fuoco e così via.
Come il moribondo, lo yogin smette di percepire con chiarezza il mondo esterno e sente, vede, tocca la furia degli elementi dentro di sé.
La materia solida diviene liquida e nell’estasi si sentono l'odore della Terra bagnata e il sapore dei fluidi corporei.
Forma e colore si scontrano, si fondono, si mutano l'una nell'altro.
La forza di disgregazione consuma il corpo dall'interno.
Si ascoltano suoni dimenticati e meravigliosi.
Poi tutto sfuma.
Dapprima sono gli odori a farsi meno intensi, poi i sapori.
Poi si smette di vedere.
Alla fine non rimane che un suono, il suono della vita.
Il suono che ci accompagna da sempre e che gli yogin percepiscono in meditazione. Ci si aggrappa a quel suono e ci si fa strada nel vuoto.
E nel vuoto si torna a vedere, ma si vede dentro.
Lo Spazio è un uovo blu dai contorni indefiniti.
Al centro un punto di luce bianca, accecante, luce che riempie e dà quiete.
So’ham …Io sono Lei, So'Ham...Io sono Lui.
[1] Jayaratha - Tantralokaviveka vol. III, pag. 430, citato da Lilian Silburn in "LA KUNDALINI O L'ENERGIA DEL PROFONDO “-ed. Adelphi
[2] Abhinavagupta (950 circa – 1020 circa) è stato uno dei più grandi filosofi, mistici ed esteti dell'India. Fu yogin, musicista, poeta e drammaturgo. La sua opera più famosa è il Tantrāloka, un trattato sugli aspetti teorici pratici del Tantrismo.
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