L’INVERSIONE
DELL’ACQUA E DEL FUOCO
Sogni lucidi
(tratto da "Estasi e Conoscenza",di Paolo Proietti e Laura Nalin. Edizioni Aldenia, Firenze 2018)
“In alto la dimora del Fuoco.
In basso la dimora dell’Acqua.”
(Morihei
Ueshiba)
Rimasi
in contatto con i monaci Gelugpa fino al 2000, poi più niente, sparirono dalla
mia vita improvvisamente, così come vi erano entrati. Mi dissero che Dhosam era
stato nominato Ghesce[1] e
si era trasferito in un monastero in Vermont. Di Jinpa non ho più avuto
notizie.
Nel
2010 feci un sogno strano, un sogno lucido. Era stato Jinpa, nel 1996, ad
insegnarmi a distinguere i “Sogni Veri”, come li chiamava lui, dai frutti
dell’immaginazione: quando sei testimone e attore del sogno e puoi vedere te
stesso come fossi il protagonista di un film puoi star sicuro che si tratta di
una fantasia ricostruita dalla mente. Se hai invece una percezione di te stesso
come nel mondo di veglia si tratta di un ricordo o, comunque, di un qualcosa
che può rivelarsi importante per il tuo cammino spirituale.
Nel
mio sogno ero lucido, sapevo di sognare, ma, come nella vita ordinaria, potevo
vedere di me stesso, abbassando lo sguardo, solo il naso, le braccia, e la
parte davanti del corpo. Ero vestito come un monaco tibetano e mi stavo
inerpicando su un sentiero di montagna insieme ad una ragazzina, anche lei con
la tunica amaranto. Non sembrava tibetana.
Aveva
la pelle scura, ma i lineamenti erano quelli delle donne Thai, con le labbra
carnose, gli zigomi alti e gli occhi grandi e scuri. I capelli erano ricci, e scomposti,
cosa che nel sogno mi sembrava normale, ma, a ripensarci era parecchio bizzarra
(quando mai si è vista una orientale con i riccioli?). Stavamo scherzando in
una lingua che non conosco. La terra era rossastra, e anche le rocce. Arrivati all’entrata
di una grotta, sento i lamenti del nostro maestro (nel sogno sapevo che era
lui) e qui il ricordo si fa confuso. Qualcuno lo aveva ferito, c’era un
coltello, strano, con la lama larga e ricurva. Il mio io di sogno era
furibondo. Prendo il coltello e colpisco una roccia che, a sorpresa si apre in
due come un’ostrica. Dentro ci sono le immagini di noi tre, il maestro, la
ragazza ed io, nelle vite precedenti, sempre insieme. Il maestro a volte aveva
la barba bianca e i capelli lunghi come i guru dei santini, altre era calvo, ma
era sempre lo stesso. Ricordo di aver sentito degli spari. Esco dalla grotta e
mi trovo davanti un sacco di soldati vestiti come gli esploratori dei fumetti
dell’Uomo Mascherato. Parlano in inglese. Distinguo le parole Young Husband, giovane marito. Sparano. L’ultima
immagine che ho prima di svegliarmi è quella di una specie di castello con le
mura bianche e i tetti rossi.
A
quei tempi seguivo gli insegnamenti dell’Advaita Vedanta sotto la guida di
Premadharma, un personaggio stravagante, amico personale dello Śaṅkarācārya[2] di
Kanci. Lo definivo “il mio riferimento”, come si usava dire allora. Gli
telefonai per raccontargli il sogno e lui dopo avermi fatto la solita ramanzina
- “le vite presenti e passate sono
un’apparenza fenomenica… I sogni non esistono…L’unica realtà è il
Brahman…mantieni stabilmente la mente sul Brahman…” - mi disse che, quando
avrebbe trovato il tempo, mi avrebbe scritto. La mail arrivò dopo un paio di
giorni. Le parole di PD erano, come sempre bellissime, ma non certo di
immediata comprensione:
- “Si usava un tempo legare un fratello e una
sorella per la vita. “- scriveva Premadharma - “Si attuava l'inversione fra fuoco e acqua.
Era uno dei primi passi per la completezza.
Ma solo se questa completezza doveva essere applicata.
Era un evento raro.
Attuare l'inversione.
Essere acqua, trovarne l'essenza acciaio, tornare alla madre e da
questa al padre.
E questo si dissolve verso l'alto per tornare come acqua.
Il cerchio è perfezione, è punto.
Lo percorro in un senso o nell'altro.
Se sei il cerchio sei il centro.
Se sei il centro sei il cerchio.
Non c'è "una" via, ci sono tutte le vie sul cerchio.
La spada serve per entrare nel cerchio dove non serve più alcuna
spada.
Sguaino la spada, non cerco il suo bersaglio, non sono l'artefice
del movimento, è la spada che mi muove, è la spada che è uscita dal fodero.
E' nel cerchio che crea che mi trovo, uscire ed entrare dal
fodero.
L'inizio e la fine coincidono, nel loro coincidere
"giace" l'intero universo lungo il cerchio creato.
La spada entra nel fodero. La spada esce dal fodero.
Da quell'unico fodero escono mille spade.
Quell'unica spada entra in mille foderi.
L'uno e il molteplice.
Eppure sono una spada e un fodero nel presente.
E sono sempre uno in ogni presente.
Nel divenire essi sono mille e mille che si incontrano tutti non a
caso.
Ma sono sempre la spada, fatta di un'anima e di un fodero.” –
IL GIOVANE
MARITO E IL MASSACRO DI GURU
L’ipotesi della reincarnazione
“La spada entra nel fodero. La spada esce dal fodero.
Da quell'unico fodero escono mille spade.
Quell'unica spada entra in mille foderi.”
(Premadharma, maggio 2010)
Se
la vita “è il sogno sognato da un dio che
dorme”, come dicono i poeti indiani, le vere o presunte vite precedenti
sono un sogno al quadrato. Perdere tempo ed energie ad inseguire improbabili
tracce di esistenze passate, per un ricercatore, è attività inutile, se non
dannosa. L’ho sempre detto ai miei allievi, però la ragazzina con i capelli
ricci, la conchiglia delle incarnazioni e il castello bianco continuavano a
graffiarmi le sinapsi. Feci una ricerca immagini su Google, Tibet + castello, e, lo so che può
sembrare assurdo, trovai immediatamente la fortezza bianca con i tetti rossi
che avevo sognato: il Gyantse Dzong, o Fortezza di Gyantse. Ero emozionato, in
barba all’atteggiamento distaccato che mi aveva suggerito di assumere PD, e
quando lessi la storia del Castello
Bianco cominciai a dondolarmi sulla sedia come un bimbo che sta per aprire
i regali di natale.
Nel
1904 le truppe anglo-indiane agli ordini di Francis Edward Younghusband (Young
Husband!) erano entrati in Tibet, avevano occupato il Gyantse Dzong e prima di
marciare verso Lhasa avevano pensato bene di massacrare migliaia di monaci
tibetani.
Quando,
continuando le ricerche scoprii che la guardia scelta di Younghusband era
formata da Gurkha nepalesi, e che molti monaci erano stati sgozzati con i loro
Kukri, gli strani coltelli dalla lama ricurva uguali uguali a quello del mio
sogno, non ebbi più dubbi.
I
ricordi di vite precedenti, i déjà vu, le precognizioni possono essere spiegate
in decine di maniere diverse, senza bisogno di aggrapparsi al paranormale o al Misticismo Quantico tanto di moda ai
nostri tempi. Forse avevo visto e dimenticato qualche documentario da bambino,
o magari avevo sfogliato distrattamente qualche rivista tipo “Storia
Illustrata” che parlava del “massacro di Guru” (nome con cui sono ricordate le
gesta di Younghusband), ma in quel momento ero intimamente convinto di essere
la reincarnazione di un monaco tantrico ucciso nel 1904.
Quando
sfioriamo la dimensione magica si entra in uno stato alterato. Una semplice
assonanza di parole, o un vago sentore di familiarità si trasforma in coincidenza
significativa e tutti gli eventi singolari, strani o inspiegabili che la mente
bambina ha accatastato nella memoria in attesa di risposte, improvvisamente si
legano tra di loro seguendo una logica che, magari solo per noi, assume l’aspetto
della verità incontrovertibile.
Ma
la ragazzina con i ricci e la faccia da dea birmana che fine aveva fatto?
-
“Si usava un tempo legare un fratello e
una sorella per la vita. “- aveva
scritto PD - “Si attuava l'inversione fra
fuoco e acqua. Era uno dei primi passi per la completezza. Ma solo se questa
completezza doveva essere applicata. Era un evento raro. ”-
[1]
Il termine Ghesce indica un maestro di Dharma. In tibetano significa «dottore
in studi buddhisti», ed è comunemente usato nella scuola Gelugpa. Considerato
il più alto titolo di studio possibile, viene conseguito dopo quindici o
venticinque anni di studio, secondo la specializzazione che il candidato
desidera conseguire. Comprende tre livelli: Dorampa, Tsogrampa e Lharampa.
[2]
Śaṅkarācārya, "maestro Shankara", è il titolo con il quale sono
chiamati i capi dei quattro monasteri che la tradizione Advaita vuole fondati
da Adi Shankara e per tale motivo considerati le più alte autorità spirituali
dell'Induismo.
Il primo Shankaracharya della storia fu -
secondo la tradizione induista - lo stesso Adi Shankara che fondò in India
quattro monasteri (detti matha o mutt) in corrispondenza dei quattro punti
cardinali:
A nord il monastero di Joshimath detto Jyotish
Peetham o Uttaramnaya matha “monastero del nord");
A est il monastero di Puri detto Govardhan
Peetham o Purvamnaya matha “monastero dell'est");
A ovest il monastero di Dwarka detto Sharada
Peetham o Paschimamnaya matha ("monastero dell'ovest");
A sud il monastero di Sringeri detto anch'esso
Sharada Peetham o Dakshinamnaya matha (“monastero del sud").
A questi quattro monasteri originari si è
aggiunto in seguito quello di Kanchi dove, secondo la tradizione locale,
sarebbe morto Adi Shankara.
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