Tutte le immagini sono tratte da "Hathayoga, la lingua perduta dei veggenti",edizioni Aldenia, Firenze 2016. |
Ieri sera, sono stato ad una conferenza di un astrologo famoso, "Simon and the stars".
Simpatico, Simon, misurato nelle risposte che gli astanti, moltissimi, gli facevano e bravo a tenere l'attenzione del pubblico per quasi due ore.
Ho avuto l'impressione che facesse molta attenzione a separare il suo specifico di astrologo dal campo della psicologia e della spiritualità, cosa che ho apprezzato assai: di questi tempi, zeppi di ragionieri che si scoprono sciamani nei week end e, impiegati dell'Istat che insegnano tantra tibetano nelle ferie estive, rimanere nei limiti delle proprie competenze è cosa buona e giusta.
Oddio... a dir la verità ho conosciuto dei geometri che ne sapevano di Advaita Vedanta quanto e più di uno svami indiano, ma in genere, gli sciamani, gli yogin e i maghi improvvisati che ho conosciuto non mi hanno fatto una gran bella impressione...
"Dieci punti" a Simon!, quindi, che non si spaccia per maestro onnicomprensivo (e chissà...magari lo potrebbe essere)...
Il senso della misura di Simon l'astrologo, contrapposto ai minestroni New Age che vanno di moda ai nostri giorni, mi ha messo una pulce nell'orecchio.
Si è agitata tutta la notte nel mio cranio pelato, la pulce, e mi ha graffiato un paio di Sinapsi.
Le storture New Age, con le loro insalate russe di Cristalloterapia, PNL, Costellazioni Familiari, Yoga, Astrologia Karmica, Qi Gong, Carte degli Angeli, Bagni di Gong, ufologia hanno portato i ricercatori tra virgolette seri, a specializzarsi, con il risultato di parcellizzare il sapere tradizionale.
Paradossalmente credo che il "Ricercatore serio" e lo pseudo santone New Age, siano animati entrambi da buoni propositi, ma che entrando in conflitto, sia pure bonariamente, per difendere i rispettivi punti di vista si allontanino, inconsapevolmente, dalla possibilità di comprendere gli insegnamenti antichi.
Perché se è vero che il New Ager olistico, spesso pecca in superficialità e, scegliendo solo tecniche e teorie che "GLI RISUONANO", rischia di non mettersi mai in discussione,fino a credersi un maestro illuminato, è anche vero che il ricercatore "serio", rinchiudendosi nella torre d'avorio delle sue conoscenze, rischia di perdere di vista il quadro generale, finendo per scambiare,al solito, il "DITO PER LA LUNA".
Nello yoga ad esempio, si sta assistendo ad una specializzazione sempre più spinta.
Ci sono gli specialisti dei mantra, gli specialisti degli asana, anzi di particolari asana, gli specialisti della meditazione, gli specialisti del Nidra yoga...
Tutti bravi e preparati,solitamente.
Ilproblema,secondo me, è che lo Yoga nasce come "Arte dell'Essere Umano" e quelle che erano un tempo Tecniche Operative destinate a questo o quel praticante per fare un passo in avanti nel viaggio dello Yoga, sono diventate discipline a se stanti, il cui fine è il miglioramento o addirittura la perfezione in quell'attività specifica.
Lo yoga è la pratica del samadhi, edil suo fine è Moksha, la Liberazione o Realizzazione.
Se è vero che l'importante è il viaggio e non la meta, è anche vero che se non si ha chiara la meta di un viaggio, si rischia di perdersi strada facendo.
Ma torniamo all'astrologia.
Lo Yoga, lo Hathayoga, ad esempio,è strettamente legato ai moti del Cosmo, ma occupati come siamo, noi Hathayogin, a specializzarci in questa o quella branca e ad inventare nuove etichette per attirare gli allievi, abbiamo perso di vista i fini della nostra disciplina e l'insieme delle conoscenze su cui si basa.
Gli asana ad esempio sono costellazioni e stelle, ma non se ne parla mai nelle scuole di yoga.
Gli āsana tradizionali corrispondono, nel
nome e nella forma, a particolari asterismi e il quadro generale dello Yoga, se si tiene conto di questo,si fa molto più
complesso e affascinante di quanto si possa credere: i mantra sarebbero il canto delle stelle e i gesti
dello yogin la loro danza.
Sotto questa luce le posizioni, e le costellazioni cui corrispondono sul piano
macrocosmico, diventano sillabe di una lingua perduta, un codice grazie al
quale, come insegnano i testi antichi, l’essere umano può attingere
direttamente alle energie della creazione realizzando l’identità con
l’Universo.
Non lo dice nessuno che
gli āsana sono costellazioni,
asterismi.
Io l'ho scoperto in maniera assolutamente casuale.
Qualche anno
fa, per un video didattico, sono andato a cercare, su Google, immagini di
posizioni Yoga con nomi di uccelli.
Ho digitato
“Pavone, Corvo, Cigno, Gru, Colomba...” e mi sono apparse le immagini della Via
Lattea. La cosa mi ha incuriosito, ed ho provato a rintracciare nei testi
indiani di astronomia, i nomi delle posture fondamentali. Ebbene, tutti gli āsana
che conosco, da Trikonāsana (Posizione del Triangolo), a
Maṇḍūkāsana (Posizione della Rana), da Garudāsana (Posizione
dell’Aquila) alla Postura del Natarāja, corrispondono a
stelle, costellazioni o asterismi.
Śiva, il Re della Danza (questo significa Natarāja)
non è altri che Orione il Cacciatore. Per rendersene conto basta confrontare le
immagini del Dio che Danza con quelle del Cacciatore innamorato delle Pleiadi:
Gli āsana sono
corpi e fenomeni celesti e le sequenze tradizionali sono mappe del cielo, forse
rotte di antichi naviganti.
A prescindere
dagli eventuali risvolti pratici, è comunque bellissimo: ogni volta che
assumiamo una serie di posizioni stiamo raccontando la storia di un viaggio!
Con le
corrispondenze astrali lo Yoga si rivela immediatamente danza sacra e ci fa
vivere con il corpo, fisicamente, quelle corrispondenze tra essere umano
(Microcosmo) e Universo (Macrocosmo), che spesso prendiamo per metafore di
stati di coscienza, o poetici tentativi di ovviare alla nostra ansia di
incompiutezza.
Bellissimo.
Ma l'identità
tra āsana e stelle è anche la chiave per cogliere il senso
vero dello Yoga: lo svelamento della nostra origine celeste e la trasformazione
insieme, del corpo e della mente.
Non solo gli asana sono stelle, ma la grafia sanscrita con cui vengono scritti, le collega direttamente alle costellazioni.
Prendiamo un āsana tradizionale, la posizione del corvo.
Corvo in sanscrito si dice kāka scritto, in devanāgarī[1]: काक
Se leggiamo da sinistra a destra riconosceremo la sillaba ka: क, poi la stanghetta verticale della a: का e infine di nuovo ka: काक . Ora disegniamo la posizione:
Se leggiamo da sinistra a destra riconosceremo la sillaba ka: क, poi la stanghetta verticale della a: का e infine di nuovo ka: काक . Ora disegniamo la posizione:
Per trasformare il disegno nella
sillaba ka क basta aggiungere il trattino
orizzontale che per gli indiani ha la stessa funzione del rigo superiore dei
nostri quaderni a righe.
Se adesso confrontiamo la
sillaba e la posizione con la costellazione del Corvo potremo trovare delle
analogie singolari.
Bizzarro,
vero? Nella posizione del Corvo come in tutti gli altri āsana tradizionali c’è
una qualche relazione tra nome, la forma se ci mettiamo a giocare con le parole
possiamo fare delle scoperte interessanti Prendiamo, sempre per divertirci,
un'altra posizione della serie Rishikesh, Halāsana:
Mi hanno sempre detto che Halāsana significa posizione dell'aratro, e in effetti la
somiglianza con lo strumento agricolo è evidente.
Per divertirmi un po’ ho fatto una ricerca sui dizionari di
sanscrito online[2] ed ho scoperto che per
“aratro” in sanscrito si usano decine di termini diversi a seconda della forma
e, probabilmente, della zona geografica. Si
dice lāṅgala quando ha la forma di un arco, sīra quando si attacca
ai buoi, godāraṇa quando
è di metallo con la forma simile ad una vanga ecc. ecc. Hala usato talvolta per aratro, è
[anche] il nome di una costellazione di particolare importanza, l’Orsa Maggiore
o Grande Carro[3].
Nel corso dell’anno le sette stelle dell’Orsa Maggiore,
disegnano uno svastika[4],
simbolo di gioia e prosperità[5]
per induisti, buddisti e giainisti girando, in senso antiorario, attorno
alla
stella polare, o Polaris.
(L’Orsa Minore, chiamata dagli antichi greci “Ala del Dragone” o “Coda del
Cane”, è a sua volta formata da sette
stelle, come sua sorella maggiore, stelle chiamate dagli astronomi indiani, che
evidentemente non brillavano di originalità, saptaṛṣi, “i sette Veggenti”.
La Stella Polare in sanscrito è
chiamata Dhruva Tārā, “stella fissa”[6],
e le due Orse sono definite, anche, Saptaṛṣi Tārā Maṇḍala e Laghu Saptaṛṣi Tārā
Maṇḍala, dove लघु
Laghu significa “piccolo”, “leggero”, “non evidente”.
Nel cielo quindi ci sono, per
gli antichi indiani, due gruppi di “Veggenti”, identici nella forma, di cui uno
è meno visibile, nascosto[7],
come i sette Veggenti e i sette “parenti rivali”, le potenze dei sensi e le
potenze dell’azione)
Forse
è per questo che in India le sette
stelle dell’Orsa vengono chiamate saptaṛṣi[8],
come i “sette Veggenti”, mitici autori dei Veda, che hanno cercato di
tramandarci le tecniche per realizzare lo Stato naturale: indicano la giusta
rotta ai naviganti così come i versi vedici
tracciano la via per la conoscenza, invitandoci a fare un viaggio a ritroso
nella nostra memoria genetica fino a scoprire che “Realizzazione”, “Illuminazione”, “Stato Naturale”, “Terra dell’Oltre”
sono dei semi nascosti nel nostro inconscio, nel nostro sistema nervoso, nel
nostro DNA.
E così come un profumo desueto ci riporta a vivere
l’emozione del primo bacio o il dolore del primo addio, così una posizione, un
gesto, un mantra, possono risvegliare in noi l’esperienza dell’identità con
l’universo vissuta da uomini che oggi chiamiamo dei.
Lo Stato Naturale, per i Veggenti, è la condizione
originale dell’essere umano.
“Oggi” - ci dicono - “l’uomo è schiavo, ma noi vi diamo la
possibilità di liberarvi dall’angoscia e di tornare allo Stato Naturale in cui
vivrete nella beatitudine e nell’armonia” -
Questa roba del “liberarsi dalle catene” ritorna spesso
nello Yoga, e si ritrova nella maggior parte delle religioni e delle filosofie.
Ma di cosa siamo schiavi?
Della
nostra mente?
Delle
emozioni?
Della
paura della morte?
Oppure,
come dicono i “Complottisti” alla Icke, c’è qualcuno in carne ed ossa che ci
tiene in uno stato di servitù?
Quando
Vishnudevananda Saraswati insegnava la serie
Rishikesh, insisteva molto sull’importanza della verticale sulla testa.
Secondo lui guardare il mondo alla
rovescia serviva soprattutto ad imparare ad “uscire dal seminato”.
Cambiare prospettiva significa
cambiare la realtà.
Lo sanno anche i ragazzini delle
scuole medie: la forma di un oggetto dipende dal punto di vista
dell’osservatore. Una verità banale dietro alla quale si nasconde
l’insegnamento più grande degli “antichi Veggenti”.
Il viaggio dello Yoga, alla fine,
non porta da nessuna parte.
Non si tratta di andare in un luogo
diverso da quello in cui siamo: la “Terra dell’Oltre”, il “Paradiso Perduto”,
l’Età dell’oro, sono qui ed ora.
Non bisogna cercare di cambiare il
mondo, ma bisogna cambiare la nostra percezione del mondo.
[1]
देवनागरी devanāgarī,
letteralmente “scrittura della città degli dei” è un alfabeto
alfasillabico (abugida) usato per trascrivere più di 120 lingue orientali. È
una evoluzione dell’alfabeto brahmi,
conosciuto almeno dal V secolo a.C., e considerato un adattamento indiano delle
scritture semitiche.
[2] Spokensanskrit.de,
MONNIER-WILLIAMS, Cologne Sanskrit Project.
[3] In Gran Bretagna l’Orsa Maggiore è chiamata “Aratro”
[4] स्वस्तिक Svastika è un sostantivo maschile, come tutte le parole che,
in sanscrito finiscono con la “a”. In italiano viene reso con “svastica”
sostantivo femminile e tradotto a volte, erroneamente, con “felicità”.
[5] Il termine sanscrito svastika deriva da svastí (sostantivo neutro; benessere, successo,
prosperità) a sua volta composto dal prefisso “su-“ (buono, bene; linguisticamente affine al greco ευ, “eu-“, con lo stesso significato) e
da “asti” (coniugazione della radice
verbale as: "essere"). Il suffisso “-ka” forma un diminutivo, per cui
svastika è traducibile letteralmente
come "essere il bene" o “essenza del bene”.
[6] ध्रुव Dhruva, nome di un bambino di stirpe reale trasformato in
stella da Viṣṇu, significa stabile, permanente, ma indica anche la "punta
del naso". तारा Tārā, letteralmente “stella”, è il nome della Dea Madre nella forma della
Conoscenza.
[7] I Saptaṛṣi Tārā
Maṇḍala sono molto importanti nello Yoga e nella cosmogonia hindu, vedi ad
esempio Vishnu Purana IV, 24.105-106, Matsya
Purana, 273, 42-44, Bhagvad Purana, XII, 2.27-32 ecc. ecc.
[8] I ऋषि ṛṣi, “veggenti” o “cantori ispirati”,
sono esseri umani dotati degli stessi poteri delle divinità. Con il termine saptaṛṣi si intendono in genere, i sette saggi citati nella Bṛhadāraṇyaka upaniṣad, una delle upaniṣad
più antiche: Vaśiṣṭha, Bhāradvāja, Jamadagni, Gautama (o Maharṣiḥ
Gotama), Atri, Viśvāmitra e Kaśyapa, ma i nomi variano a seconda dei testi ed ogni era ha i suoi ṛṣi che, tradizionalmente sono molti
più di sette. Nei testi Hindu sono citate anche molte donne “veggenti”: Romasha, Lopamudra, Apala, Kadru, Visvavara, Ghosha, Juhu, Vagambhrini, Paulomi, Yami, Indrani, Savitri, Devajami, Nodha, Akrishtabhasha, Sikatanivavari, Gaupayana.
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