L'11 gennaio uscirà, in libreria, il mio ultimo libro, "ESTASI E CONOSCENZA" scritto a quattro mani con Laura Nalin.
Doveva uscire prima, in autunno, ma una svista del tipografo ha costretto l'editore a ristamparlo e a renderlo disponibile per quella data. L'11 gennaio è il compleanno di mio padre. Le coincidenze non esistono!
O forse si, ma è bello pensare ad un ordine prestabilito, all'architettura, geniale,di un qualche mago , demiurgo, o spirito irriverente che gioca con i numeri e le emozioni per ficcarci nell'orecchio la pulce dell'eterno,dellavita oltre la morte.
Babbo compirebbe 94 anni, se fosse vivo.
Non so se sarebbe contento del libro...diciamo di sì,ma moderatamente. A lui interessavano, veramente, la Juventus, lo star bene, il vino, il buon mangiare, ma soprattutto mia madre. Litigavano come pazzi e poi si addormentavano, mano nella mano, davanti alla televisione.
Sono stati insieme per 67 anni. Poi lui è morto, di una morte stupida, direbbe un romanziere in crisi di ispirazione.
Aveva sbattuto il ditone del piede contro un tavolo, era diventato nero,poi è andato in cancrena.
Quando hanno deciso di tagliarlo era troppo tardi. Era il 28 dicembre del 2015.
Era la prima volta che vedevo morire una persona cara.
Incredibilmente, quel corpo senza vita mi trasmise dolcezza, una dolcezza infinita, che roba strana!
Mamma ha resistito un paio di mesi. Poi ha spento l'interruttore.
"Estasi e Conoscenza" è un libro diverso dagli altri che ho scritto. C'è molta vita vissuta, le storie di Laura e di me, le nostre iniziazioni, e parlo anche di mio padre.
Non ne parlavo mai. Fino al momento della sua morte non ho capito la sua dolcezza, la sua maniera infantile di essere virile, e soprattutto non avevo capito quanto gli somigliavo.
Qua sotto incollo un testo dedicato a mio padre. fa parte di un altro libro, non ancora pubblicato, ma credo vada bene lo stesso.
Buona lettura... e buon anno.
Con Amore,
P.
"Una notte mi sveglio con la nausea, come se avessi lo stomaco pieno d'acqua.
Mi metto a sedere sul letto e cerco di raddrizzare la schiena.
La nausea è collegata alle lombari, a volte basta mandarci l'aria per
farla passare. Non è difficile, si visualizzano le vertebre e si immagina di
stringerle ed espanderle a ritmo del respiro, ma stavolta è diverso.
Faccio fatica anche a tener su la testa, ho le vertigini.
Dallo stomaco l'acqua si sparge alle gambe, alle braccia, al torace.
Divento acqua.
I muscoli e le ossa non ci sono
più.
Penso a qualche virus o ai funghi che avevo mangiato a cena.
Dei funghi non mi sono mai fidato, non li capisco: non sono animali,
non sono piante...non sono niente!
Però per far piacere al babbo li mangiavo lo stesso.
Era fissato, o così diceva. La domenica, quand'era tempo di porcini, si
svegliava alle cinque, si mascherava da incursore dei parà e spariva per sei o
sette ore nella macchia della Valle Benedetta. Andava sempre da solo. Diceva
che c'era un posto che conosceva solo
lui, la “ fungaia di Elio”, e non voleva che nessuno glielo fregasse, ma
secondo me era una scusa: nel '60 era in Aspromonte a dare la caccia ai
latitanti, poi era successo qualcosa, l'avevano promosso e rispedito a Livorno,
alla mensa della Questura.
Il suo segreto non era la fungaia, ma il coltello nascosto negli
anfibi, l'odore della terra bagnata, i rovi che ti graffiano la faccia e
nemmeno li senti. A volte è più facile sparare a qualcuno che confessare la
noia del quotidiano.
Sono strani gli esseri umani.
Però i funghi li portava a casa davvero: a cassettate.
Mi metto a quattro zampe e mi trascino in bagno.
Penso che è meglio vomitare. Cerco di tirarmi in piedi, ma la gambe non
reggono, casco con la testa sulla tazza del cesso.
Babbo si sveglia per il tonfo.
Lo ricordo mentre mi tira su e mi abbraccia forte
“- “Sto morendo” - dico -”sta uscendo...” -
C'è qualcosa che scivola via dai
pori della pelle, una roba verdastra e appiccicosa che si sparge sul pavimento
e risale sulle pareti, fino al soffitto.
Vedo le mattonelle bianche e lo smalto scrostato della vasca.
Una vasca troppo piccola.
Sto morendo....
Fino allora avevo sempre pensato alla morte come ad un evento
grandioso: l'anima, nell’ansia di Dio, spiega le sue ali maestose e spezza ad una ad una le catene dei ricordi, i dolori, le rabbie, i sorrisi,
per librarsi nello spazio infinito, e invece la mia, di anima, non solo era
senza ali, ma aveva l'aspetto di maionese andata a male e i miei ultimi
pensieri non erano rivolti ai grandi perché dell'esistenza, ma ad una vasca da
bagno scrostata e troppo piccola.
Ripenso a Marpa e Milarepa, -“Se tu
morissi prima del tempo uccideresti
un dio”-
Mi portarono in ospedale: pressione, analisi del sangue, ECG,
EEG....tutto a posto.
Io mi vedevo dall'alto, ma non era come nei libri e nei film. La stanza sembrava il mare e le persone onde
di luce. Bello.
Quando riscesi giù, sentì uno scossone, e un corrente fredda che mi
usciva dalla fronte. Mi pareva di guardare due film diversi nello stesso
momento.
A sinistra un gruppo di donne,
forse danzatrici indiane.
Ne distinguevo cinque, con le
vesti intonate al colore dei capelli, bellissime.
A destra lui, Milarepa, con la mano aperta attorno all’orecchio destro.
Aveva la pelle più scura di quanto immaginassi.
Sorrideva e in una lingua che non capivo mi invitava a seguirlo non so
dove.
Poi una spada mi entrò nel tallone.
Un male da morire.
Gridai, credo.
Ricordo mia nonna in piedi, davanti a me, tutta contenta: mi aveva
ficcato un ago da lana nel piede, come facevano durante la guerra per evitare
di seppellire i vivi…"
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