Nelle scuole di Yoga si parla spessissimo di Yama e Nyama, le "proibizioni e le osservanze di cui parla Patanjali, ma ho il sospetto che molti non abbiano compreso di che si tratta ( o forse sono io a non aver capito...chissà).
Ho studiato almeno quattro diverse versioni degli Yoga Sutra di Patanjali, con traduzioni in italiano ed in inglese.Me le sono procurate perché, nel tempo, ho notato che vi sono delle discrepanze e, ho pensato che confrontando le varie interpretazioni mi sarei forse potuto fare un'idea più precisa di cosa volesse dire l'autore.
Cercare di capire gli Yoga Sutra non è impresa facile, seconda delle edizioni cambiano non solo i significati, ma anche i versi in sanscrito ed il numero dei sutra.
A questo si aggiunge il fatto che la maggior parte dei traduttori non pratica Hatha Yoga (Patanjali era uno dei Siddha di Chidambaram, i creatori dello Hatha Yoga) motivo per il quale sfuggono loro, spesso, alcuni dettagli "tecnici".
Cerco di spiegarmi meglio:
D'altro canto molti dei praticanti di Yoga che ne parlano non studiano Patanjali, ma fanno riferimento a questo o quel commento occidentale ed interpretano poi in base alla propria cultura, ai propri desideri, alle proprie credenze.
Va bene così naturalmente, ma è divertente notare che cultura personale , desideri e credenze fanno parte di ciò che Patanjali definisce vrtti, le "spirali di pensiero" che impediscono di raggiungere la consapevolezza.
Buffo, no? Si interpreta Patanjali sulla base di ciò che Patanjali afferma vada sospeso o risolto, essendo ostacolo alla consapevolezza...
Se leggiamo le varie interpretazioni/traduzioni degli yoga sutra scopriremo che esiste un Patanjali diverso per ogni commentatore occidentale.
Tra quelle più diffuse in occidente esistono , più o meno due scuole: quella che deriva dalla traduzione fatta da Mircea Eliade (che offre una visione intrisa di filosofia occidentale del Raja Yoga) e quella che deriva dai commenti di Shankara agli yoga sutra tradotti in inglese da studiosi e maestri indiani, ed entrambe le scuole mi pare si soffermino più sugli aspetti etici e morali degli Yoga Sutra che su quelli tecnici o "operativi" e, così maggior parte dei praticanti, tanto che nelle scuole di yoga, in genere, Yama e Nyama (proibizioni ed osservanze) fanno parte deiprimi insegnamenti proposti agli allievi.
Esaminiamo il sutra 30, quello delle proibizioni.
ahiṁsā = non-violence; not doing harm
satya = truthfulness; speaking the truth; not lying
asteya = to not steal
brahma = God; a higher ideal
carya = change to
brahmacarya = a change that results in a consicousness of a higher ideal; acting with an awareness of God; being a monk; celibacy; abstinence
aparigrahāḥ = (nom. from aparigrahā) non-covetousness; to not hoard; modesty
yamāḥ = (nom. from yamā) code of conduct vis-à-vis others
Yama sarebbe più o meno un sinonimo di Dharma, la Legge Naturale , ma ognuno deve scoprire la propria legge, il proprio Dharma (si dice svadharma, in sanscrito ) e per far ciò deve eliminare ciò che rende la mente impura.
Nei sutra successivi Patanjali spiega a cosa servono quelle che molti definiscono proibizioni:
La non violenza trasforma l'ambiente circostante, la ricerca della verità porta a discriminare ed a determinare il frutto delle proprie azioni, il non rubare porta al manifestarsi di ogni ricchezza, il rifiuto dei beni e degli onori porta alla conoscenza di ciò che regola la rinascita e il "brahma-charya" genera energia interna.
Patanjali è estremamente logico e gli yoga sutra seguono un percorso cronologico verso la "realizzazione".
Il sutra 27, che precede la lista delle indicazioni "etiche", recita:
I sette gradi sono le iniziazioni , e le iniziazioni coincidono con i vari tipi di samadhi (cfr. drigdrsyaviveka) ovvero le progressive trasformazioni della mente che lo yogin dovrebbe sperimentare nel corso della pratica, una serie di processi potentissimi che trasformano la visione del mondo e di se stessi.
Provate a chiedere a un non danzatore che cosa significa "battement tendu e rond de jambe" : se biascica un minimo di francese potrà pure dare una definizione teoricamente corretta, ma non potrà mai comprendere il vero "sapore" di un passo di danza, se non ne ha fatto esperienza. In altre parole per il non addetto ai lavori battement tendu e rond de jambe è una serie di parole vuote.
Lo yoga, come la danza, è un Arte (tra l'altro Patanjali era un danzatore, vedi Tirumantiram), l'Arte dell'essere Umano, e il suo gergo tecnico è incomprensibile ai non addetti ai lavori.
Volete una prova?
Yoga sutra 3.32
Kurmanadyam sthairyam
Di solito viene tradotto così: "facendo Samyama su Kurma nadi lo yogin rende il corpo e la mente fermi e immobili come la tartaruga".
-"Ma che vuol dire?" - potrebbe chiedersi un non addetto ai lavori -" La tartaruga se non è in letargo non è mica immobile!"-
Uno yogin sa che Kurma nadi è un particolare canale posto nella zona della gola e sa anche che si sta parlando di una tecnica precisa, una particolare forma di Nyasa, pratica di Hatha Yoga che consiste nel "disegnare" con la mente delle divinità o dei processi fisici in determinate parti del corpo, ma un letterato, fosse anche un docente universitario di sanscrito che non ha praticato hatha yoga può avere la consapevolezza di cosa significhi "fare samyama su Kurma nadi"?
Va bene così naturalmente, ma è divertente notare che cultura personale , desideri e credenze fanno parte di ciò che Patanjali definisce vrtti, le "spirali di pensiero" che impediscono di raggiungere la consapevolezza.
Buffo, no? Si interpreta Patanjali sulla base di ciò che Patanjali afferma vada sospeso o risolto, essendo ostacolo alla consapevolezza...
(Nell'immagine sopra Patanjali, con la coda di serpente, e Vyaghrapada, con le zampe di tigre, imparano la danza di Shiva da Nandini, mitica maestra di danza di Chidambaram) |
Se leggiamo le varie interpretazioni/traduzioni degli yoga sutra scopriremo che esiste un Patanjali diverso per ogni commentatore occidentale.
Tra quelle più diffuse in occidente esistono , più o meno due scuole: quella che deriva dalla traduzione fatta da Mircea Eliade (che offre una visione intrisa di filosofia occidentale del Raja Yoga) e quella che deriva dai commenti di Shankara agli yoga sutra tradotti in inglese da studiosi e maestri indiani, ed entrambe le scuole mi pare si soffermino più sugli aspetti etici e morali degli Yoga Sutra che su quelli tecnici o "operativi" e, così maggior parte dei praticanti, tanto che nelle scuole di yoga, in genere, Yama e Nyama (proibizioni ed osservanze) fanno parte deiprimi insegnamenti proposti agli allievi.
Si tratta di scelte comprensibili, anche se, a ben guardare, nel lavoro di Patanjali, all'etica sono dedicate poche parole nel secondo capitolo, Sadhana Pada.
Esaminiamo il sutra 30, quello delle proibizioni.
Nella traduzione di Raphael (che potremmo inserire trai "mirceaeliadiani") si afferma:
"Le proibizioni sono: non violenza, non falsità, non appropriazione, non possessività".
Il testo sanscrito originale recita:
"Le proibizioni sono: non violenza, non falsità, non appropriazione, non possessività".
Il testo sanscrito originale recita:
अहिंसासत्यास्तेय ब्रह्मचर्यापरिग्रहाः यमाः ॥३०॥
ahiṁsā-satya-asteya brahmacarya-aparigrahāḥ yamāḥ ॥30॥
E gli indiani (vedi a.e. https://www.ashtangayoga.info/philosophy/yoga-sutra-patanjali/chapter-2/item/msaa-satya-asteya-brahmacarya-aparigrahaa/) lo traducono così:
Respect for others (yama) is based on non-violence (ahimsa); truthfulness (satya); not stealing (asteya); non-covetousness (aparigraha); and acting with an awareness of higher ideals (brahma-charya). ||30||
(ovvero: "Il rispetto per gli altri (Yama) si basa su: non-violenza (ahimsa); veridicità (satya); non rubare (asteya); non cupidigia (aparigraha) e sull'agire con la consapevolezza di ideali più alti (brahma-charya)".
ahiṁsā = non-violence; not doing harm
satya = truthfulness; speaking the truth; not lying
asteya = to not steal
brahma = God; a higher ideal
carya = change to
brahmacarya = a change that results in a consicousness of a higher ideal; acting with an awareness of God; being a monk; celibacy; abstinence
aparigrahāḥ = (nom. from aparigrahā) non-covetousness; to not hoard; modesty
yamāḥ = (nom. from yamā) code of conduct vis-à-vis others
Yama sarebbe più o meno un sinonimo di Dharma, la Legge Naturale , ma ognuno deve scoprire la propria legge, il proprio Dharma (si dice svadharma, in sanscrito ) e per far ciò deve eliminare ciò che rende la mente impura.
Nei sutra successivi Patanjali spiega a cosa servono quelle che molti definiscono proibizioni:
La non violenza trasforma l'ambiente circostante, la ricerca della verità porta a discriminare ed a determinare il frutto delle proprie azioni, il non rubare porta al manifestarsi di ogni ricchezza, il rifiuto dei beni e degli onori porta alla conoscenza di ciò che regola la rinascita e il "brahma-charya" genera energia interna.
Patanjali è estremamente logico e gli yoga sutra seguono un percorso cronologico verso la "realizzazione".
Il sutra 27, che precede la lista delle indicazioni "etiche", recita:
तस्य सप्तधा प्रान्तभूमिः प्रज्ञ ॥२७॥
tasya saptadhā prānta-bhūmiḥ prajña ॥27॥
che si può tradurre così: "la conoscenza/consapevolezza la ottiene colui che passa attraverso sette gradi(stadi) definiti". I sette gradi sono le iniziazioni , e le iniziazioni coincidono con i vari tipi di samadhi (cfr. drigdrsyaviveka) ovvero le progressive trasformazioni della mente che lo yogin dovrebbe sperimentare nel corso della pratica, una serie di processi potentissimi che trasformano la visione del mondo e di se stessi.
Ecco! questo è il punto fondamentale: se Patanjali parla prima dei Samadhi e poi di proibizioni ed osservanze mi pare ovvio che ritenga possibile la comprensione piena di quelle proibizioni ed osservanze solo dopo aver sperimentato i samadhi.
Le cosiddette "proibizioni ed osservanze (Yama e Nyama), al contrario di ciò che affermano molti, non sarebbero delle regole da seguire, dei "comandamenti", ma il frutto, spontaneo di precise pratiche yogiche.
Chi non ha ancora svelato la propria vera natura tramite la pratica del samadhi può sforzarsi di essere non violento, sincero e onesto quanto gli pare, ma non arriverà mai alla conoscenza/consapevolezza di cui parla Patanjali!
"Fare" il sincero, o il non violento non serve a niente, nella pratica dello Yoga: bisogna Essere. punto.
Bisogna scoprire che onestà e sincerità sono caratteristiche innate della natura umana, senza sforzarsi di apparire diversi da ciò che siamo.
Lo yogin non deve mai sforzarsi di apparire diverso da ciò che è: se è rabbioso o ladro deve osservare la sua rabbia e la sua disonestà, deve guardarsi in faccia, senza maschere ed alibi.
Più in profondità nascondiamo le nostre emozioni negative è più violentemente riemergeranno alla luce della coscienza.
Lo yoga è CONOSCERE-COMPRENDERE-ESSERE, e visto che possiamo essere solo noi stessi, il nostro primo passo, nel "sentiero dei sette gradini", prima di avventurarci in testi antichi e complicate filosofie, deve essere quello di "vedersi visti", accettandoci fino a provare compassione per le nostre meschinità e difetti.
Bisogna amare noi stessi, solo così potremmo imparare ad amare gli altri. e allora la nostra natura autentica verrà alla luce, dolcemente e irresistibilmente, come acqua di sorgente.
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