"Yoga Sutra" di Patanjali è uno dei testi più citati nel materiale informativo di scuole , circoli, associazioni che si occupano di Hatha, Raja, Bhakti, Kriya, Ashtanga, Bikram, Power ecc. ecc. ecc /Yoga, ma a volte ho il dubbio che, per intero, lo abbiano letto in pochi.
Patanjali (con la coda di serpente) e Vyaghrapada (con le zampe di tigre)
al tempio di Chidambaram
Il "praticante medio" sa che ci sono gli otto "anga" (Yama, nyama ecc. ) di derivazione Jainista e buddista, sa che "LO YOGA E' LA SOSPENSIONE DELLE MODIFICAZIONI DELLA MENTE", ma se gli chiedi delle siddhi (poteri paranormali) e della maniere di ottenerle o del rapporto tra Kshana (istante) e Krama (successione di "quadri evento"), che pare siano importanti (tanto importanti!) per Patanjali, fa scena muta, o quasi.
Secondo me varrebbe la pena di leggerseli per intero, gli Yoga Sutra, e di studiarsi anche qualcuno dei migliaia di commenti scritti da yogin e filosofi negli ultimi duemila cinquecento anni.
Un commento agli Yoga sutra assai interessante è quello di Vyasa (l'autore del Mahabaratha), ripreso e ri-commentato da Shankara Bhagavadpada.
Non è facile trovarlo, e lo trovo abbastanza strano: sul Web e in libreria abbondano commenti di studiosi moderni, grammatici, intellettuali, guru, Swami e Lobsang sconosciuti, ma non si parla quasi mai delle interpretazioni di Patanjali fatte da due tizi che si dice l'abbiano conosciuto di persona e che, si dice, siano due maestri riconosciuti universalmente.
E'un po' come se ci fosse un commento di Einstein al lavoro di Newton e non lo si citasse mai, concentrandosi invece sulla critica al filosofo della mela che cade, fatta da un professore di scienze della Scuola Media di Guasticce.
Insomma il commento di Vyasa e Shankara a Patanjali è difficile da reperire, ma se si ha la fortuna di darci un'occhiata si apre un mondo.
Lo yoga, per Vyasa e Shankara, è "la pratica del samadhi", e non vuol dire affatto unione, come si dice spesso (per certi versi giustamente...), ma "RIPOSO", "ABBANDONO".
Shankara dice altre cose che possono apparire stravaganti a chi conosce le interpretazioni usuali degli yoga sutra.
Tipo che Yama è lo stato di distacco dagli stimoli sensoriali ottenuto realizzando che BRAHMAN è TUTTO.
E Niyama sarebbe invece il frutto della realizzazione di IO SONO BRAHMAN.
Sembra quasi che Yama e Niyama, non siano prescrizioni, comandamenti, o divieti da imporre con la volontà, ma qualità che insorgono da certi stati realizzativi,
Dice anche, Shankara, che per asana, parlando di Raja Yoga, si intendono posizioni e tecniche specifiche, come mulabhanda in siddhasana.
Ma la cosa che, secondo me è più interessante è la differenza semantica tra unione ( yoga=giogo) e riposo (yoga=abbandono).
In fondo in unione o giogo possiamo sempre vedere un intervento della volontà individuale.
Ciò che dovrebbe essere soggiogato sono desideri, passioni, pensieri, in altre parole l'Ego.
In riposo o abbandono si potrebbe invece leggere il lasciare che la mente compia il suo mestiere.
Che si arrenda al "Gioco degli Dei" e cominci a giocare con loro, tra loro, come loro.
Tutto è il Brahman.
Noi siamo natura.
In ogni piccola porzione dell'Universo, per la filosofia indiana (e per il taoismo, per il buddismo) c'è il tutto.
Noi siamo la natura e imponiamo alla nostra mente di credere di non esserlo.
Lasciare andare, staccarsi, tendere al sahaja (stato naturale) significa imparare a liberarsi dagli steccati che impedidiscono di vedere la realtà così come è.
Per la Fisica moderna esistono dieci dimensioni, ma noi ne vediamo solo tre perché "pensiamo tridimensionale".
Il vuoto è pieno di universi e la nostra visione del mondo vi si smarrisce. La Realtà dei Veda e della fisica contemporanea è un infinito mare senza sponde Solo lì nell'oceano infinito, la mente può finalmente riposarsi.
Per chi volesse avere un'idea del commento di Vyasa e Shankara: Sankaracarya; Patañjali; T. S. Rukmani; Vyasa. Yogasutrabhasyavivarana of Sankara: Vivarana Text with English Translation, and Critical Notes along with Text and English Translation of Patañjali's Yogasutras and Vyasabhasya. Munshiram Manoharlal Publishers
Un commento agli Yoga sutra assai interessante è quello di Vyasa (l'autore del Mahabaratha), ripreso e ri-commentato da Shankara Bhagavadpada.
Non è facile trovarlo, e lo trovo abbastanza strano: sul Web e in libreria abbondano commenti di studiosi moderni, grammatici, intellettuali, guru, Swami e Lobsang sconosciuti, ma non si parla quasi mai delle interpretazioni di Patanjali fatte da due tizi che si dice l'abbiano conosciuto di persona e che, si dice, siano due maestri riconosciuti universalmente.
E'un po' come se ci fosse un commento di Einstein al lavoro di Newton e non lo si citasse mai, concentrandosi invece sulla critica al filosofo della mela che cade, fatta da un professore di scienze della Scuola Media di Guasticce.
Insomma il commento di Vyasa e Shankara a Patanjali è difficile da reperire, ma se si ha la fortuna di darci un'occhiata si apre un mondo.
Lo yoga, per Vyasa e Shankara, è "la pratica del samadhi", e non vuol dire affatto unione, come si dice spesso (per certi versi giustamente...), ma "RIPOSO", "ABBANDONO".
Shankara dice altre cose che possono apparire stravaganti a chi conosce le interpretazioni usuali degli yoga sutra.
Tipo che Yama è lo stato di distacco dagli stimoli sensoriali ottenuto realizzando che BRAHMAN è TUTTO.
E Niyama sarebbe invece il frutto della realizzazione di IO SONO BRAHMAN.
Sembra quasi che Yama e Niyama, non siano prescrizioni, comandamenti, o divieti da imporre con la volontà, ma qualità che insorgono da certi stati realizzativi,
Dice anche, Shankara, che per asana, parlando di Raja Yoga, si intendono posizioni e tecniche specifiche, come mulabhanda in siddhasana.
Ma la cosa che, secondo me è più interessante è la differenza semantica tra unione ( yoga=giogo) e riposo (yoga=abbandono).
In fondo in unione o giogo possiamo sempre vedere un intervento della volontà individuale.
Ciò che dovrebbe essere soggiogato sono desideri, passioni, pensieri, in altre parole l'Ego.
In riposo o abbandono si potrebbe invece leggere il lasciare che la mente compia il suo mestiere.
Che si arrenda al "Gioco degli Dei" e cominci a giocare con loro, tra loro, come loro.
Tutto è il Brahman.
Noi siamo natura.
In ogni piccola porzione dell'Universo, per la filosofia indiana (e per il taoismo, per il buddismo) c'è il tutto.
Noi siamo la natura e imponiamo alla nostra mente di credere di non esserlo.
Lasciare andare, staccarsi, tendere al sahaja (stato naturale) significa imparare a liberarsi dagli steccati che impedidiscono di vedere la realtà così come è.
Per la Fisica moderna esistono dieci dimensioni, ma noi ne vediamo solo tre perché "pensiamo tridimensionale".
Il vuoto è pieno di universi e la nostra visione del mondo vi si smarrisce. La Realtà dei Veda e della fisica contemporanea è un infinito mare senza sponde Solo lì nell'oceano infinito, la mente può finalmente riposarsi.
Per chi volesse avere un'idea del commento di Vyasa e Shankara: Sankaracarya; Patañjali; T. S. Rukmani; Vyasa. Yogasutrabhasyavivarana of Sankara: Vivarana Text with English Translation, and Critical Notes along with Text and English Translation of Patañjali's Yogasutras and Vyasabhasya. Munshiram Manoharlal Publishers
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