In sanscrito esiste un concetto di male chiamato पाप pāpa ed esiste un concetto di bene chiamato पुण्य puṇya.
Percorrendo il sentiero diretto o Pravṛtti il male, पाप pāpa, sarà tutto ciò che si oppone all'adempimento del nostro dharma ed all'ottenimento degli strumenti (अर्थ artha ) che ci permettono di soddisfare i nostri desideri (काम kāma).
Percorrendo il sentiero inverso, la via di ritorno o Nivṛtti, si è invece sulla via di rinuncia.Il sentimento di Pietà nei confronti degli altri che assume una connotazione positiva nel sentiero diretto (pravṛtti) rappresenterà invece un problema per chi percorre la via a ritroso.Per questo motivo alcuni shakta o alcuniadvaitin vengono giudicati dagli altri insensibili, immorali (meglio sarebbe dire A-morali) o addirittura, falsi maestri. Argomento delicato...prendiamola alla lontana:
tra coloro che si interessano di advaita , si sente parlare spesso di वासना vāsanā ( termine che indica sia impressioni inconsce sia un particolare metro poetico) e di मनस् manas (mente) in termini negativi.
Questo porta a vedere nel manas qualcosa che ha a che vedere con il demonio e nelle vāsanā qualcosa che riguarda la tendenza al vizio o al peccato.
Si tratta un errore dato dall'approccio ad una filosofia non duale da parte di chi non ha una comprensione della realtà , dovuta a cultura e tendenze personali, dualista, ovvero basata sulla contrapposizone bene-male, luce-ombra ecc..
Vāsanā, che potremmo rendere con idea, è tutta la conoscenza che nasce dalla memoria, mentre manas è semplicemente la mente percettiva,
Non hanno nè possono avere nessuna connotazione positiva né negativa perché sono strumenti.L'emozione che proviamo la prima volta che osserviamo il sorriso di un bimbo o la prima volta che baciamo una donna (o un uomo) è frutto del manas (nel senso che deriva da una percezione) e di vāsanā (nel senso che se non avessimo dentro di noi l'idea di quel sorriso e di quel primo bacio non potremmo goderne).
Il nostro stesso essere costituiti da mani, piedi, tronco testa, occhi bocca orecchie è frutto di vāsanā.
Se poi non ci fosse il manas non avremmo nessuna possibilità di percepire e quindi di discriminare tra bene e male e tra giusto e sbagliato.
Le vāsanā si devono consumare sulla via del ritorno, quando si è già portato a compimento il nostro karma-dharma, ed anche qui non devono avere una connotazione negativa, ma devono essere viste come impedimenti, una zavorra che ha perso progressivamente la sua funzione fino a rivelarsi inutile.
La roccia che impedisce all'acqua della sorgente di fluire, non è il male né il bene.
È solo una roccia, definirla male significa ragionare in termini dualistici.
L'affrontare l'advaita vedanta con una comprensione della realtà duale genera confusione e scatena furiose e inutili discussioni tra praticanti di yoga e aspiranti filosofiSi arriva all'assurdo di vedere l'advaita vedanta in termini positivi e altre tecniche o pratiche o punti di vista in termini negativi o comunque inferiori.
Come se potesse esserci una guerra di religione o una disputa tra uno shakta ed un advaitin!
Shankara è uno shakta, un adoratore della Dea. Ognuno dei centri (math) da lui fondati è consacrato ad una forma della Dea e i suoi versi dedicati alla Dea sono tra i più belli della letteratura indiana.
Eppure nascono continuamente delle dispute.
Il motivo è di ricercarsi nella difficoltà di molti a riconoscere il proprio livello coscienziale.
Advaita è un livello, uno stato di coscienza, corrispondente allo Yogachara. Si deve aver praticante molto e bene, essere riusciti a trasformare la mente, a renderla "informale" con la pratica del samadhi: non si può scegliere di essere advaita, magari perchè suggestionati dalla lettura di un libro o dall'ascolto di una conferenza.Per motivi che ignoro in molti praticanti o semplici lettori di testi filosofici nasce il desiderio di essere advaita, quasi fosse la casacca di un club calcistico o un partito politico. E' una sciocchezza. L'unica via possibile nello yoga è quella di conoscere se stessi utilizzando i tre strumenti che la Natura ci ha messo a disposizione: CORPO, PAROLA e MENTE. ed occorre aver cura di tutti e tre, tenerli in ordine e lucidarli, così come l'artigiano e l'artista fanno con mazze, scalpelli, pennelli o chiavi inglesi. dalla conoscenza di sè insorge la conoscenza dell'universo. le etichette vanno bene nei supermercati, non nella pratica dello Yoga.
Percorrendo il sentiero diretto o Pravṛtti il male, पाप pāpa, sarà tutto ciò che si oppone all'adempimento del nostro dharma ed all'ottenimento degli strumenti (अर्थ artha ) che ci permettono di soddisfare i nostri desideri (काम kāma).
Percorrendo il sentiero inverso, la via di ritorno o Nivṛtti, si è invece sulla via di rinuncia.Il sentimento di Pietà nei confronti degli altri che assume una connotazione positiva nel sentiero diretto (pravṛtti) rappresenterà invece un problema per chi percorre la via a ritroso.Per questo motivo alcuni shakta o alcuniadvaitin vengono giudicati dagli altri insensibili, immorali (meglio sarebbe dire A-morali) o addirittura, falsi maestri. Argomento delicato...prendiamola alla lontana:
tra coloro che si interessano di advaita , si sente parlare spesso di वासना vāsanā ( termine che indica sia impressioni inconsce sia un particolare metro poetico) e di मनस् manas (mente) in termini negativi.
Questo porta a vedere nel manas qualcosa che ha a che vedere con il demonio e nelle vāsanā qualcosa che riguarda la tendenza al vizio o al peccato.
Si tratta un errore dato dall'approccio ad una filosofia non duale da parte di chi non ha una comprensione della realtà , dovuta a cultura e tendenze personali, dualista, ovvero basata sulla contrapposizone bene-male, luce-ombra ecc..
Vāsanā, che potremmo rendere con idea, è tutta la conoscenza che nasce dalla memoria, mentre manas è semplicemente la mente percettiva,
Non hanno nè possono avere nessuna connotazione positiva né negativa perché sono strumenti.L'emozione che proviamo la prima volta che osserviamo il sorriso di un bimbo o la prima volta che baciamo una donna (o un uomo) è frutto del manas (nel senso che deriva da una percezione) e di vāsanā (nel senso che se non avessimo dentro di noi l'idea di quel sorriso e di quel primo bacio non potremmo goderne).
Il nostro stesso essere costituiti da mani, piedi, tronco testa, occhi bocca orecchie è frutto di vāsanā.
Se poi non ci fosse il manas non avremmo nessuna possibilità di percepire e quindi di discriminare tra bene e male e tra giusto e sbagliato.
Le vāsanā si devono consumare sulla via del ritorno, quando si è già portato a compimento il nostro karma-dharma, ed anche qui non devono avere una connotazione negativa, ma devono essere viste come impedimenti, una zavorra che ha perso progressivamente la sua funzione fino a rivelarsi inutile.
La roccia che impedisce all'acqua della sorgente di fluire, non è il male né il bene.
È solo una roccia, definirla male significa ragionare in termini dualistici.
L'affrontare l'advaita vedanta con una comprensione della realtà duale genera confusione e scatena furiose e inutili discussioni tra praticanti di yoga e aspiranti filosofiSi arriva all'assurdo di vedere l'advaita vedanta in termini positivi e altre tecniche o pratiche o punti di vista in termini negativi o comunque inferiori.
Come se potesse esserci una guerra di religione o una disputa tra uno shakta ed un advaitin!
Shankara è uno shakta, un adoratore della Dea. Ognuno dei centri (math) da lui fondati è consacrato ad una forma della Dea e i suoi versi dedicati alla Dea sono tra i più belli della letteratura indiana.
Eppure nascono continuamente delle dispute.
Il motivo è di ricercarsi nella difficoltà di molti a riconoscere il proprio livello coscienziale.
Advaita è un livello, uno stato di coscienza, corrispondente allo Yogachara. Si deve aver praticante molto e bene, essere riusciti a trasformare la mente, a renderla "informale" con la pratica del samadhi: non si può scegliere di essere advaita, magari perchè suggestionati dalla lettura di un libro o dall'ascolto di una conferenza.Per motivi che ignoro in molti praticanti o semplici lettori di testi filosofici nasce il desiderio di essere advaita, quasi fosse la casacca di un club calcistico o un partito politico. E' una sciocchezza. L'unica via possibile nello yoga è quella di conoscere se stessi utilizzando i tre strumenti che la Natura ci ha messo a disposizione: CORPO, PAROLA e MENTE. ed occorre aver cura di tutti e tre, tenerli in ordine e lucidarli, così come l'artigiano e l'artista fanno con mazze, scalpelli, pennelli o chiavi inglesi. dalla conoscenza di sè insorge la conoscenza dell'universo. le etichette vanno bene nei supermercati, non nella pratica dello Yoga.
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