”Se
l'uomo
vedesse le
stelle
una volta ogni cento anni conserverebbe il
ricordo
della città di Dio”.
L'ho
letto da qualche parte, una trentina di anni fa.
Lo
stupore svela la bellezza, la consuetudine la rende invisibile.
Da
bambino, al tramonto, mi chiedevo cosa sarebbe successo se il sole si
fermava, un attimo prima di sciogliersi nel mare d'oro.
La
meraviglia del principio si sarebbe presto fatta panico.
Astrologi
e profeti avrebbero gridato alla fine del mondo o all'arrivo di
alieni dalle mani appiccicose, i padroni avrebbero donato soldi e
gioielli ai servi, i timidi gridato il loro amore in piazza e mia
mamma sarebbe andata a Venezia.
Poi,
pian piano, il tempo avrebbe dipinto il prodigio di normalità.
Si
abitua a tutto l'essere umano.
Dopo
duecento anni mezzogiorno sarebbe stato un ricordo antico e chi
avesse parlato di notti stellate un pazzo.
Solo
ciò che si trasforma ci interessa: la bellezza dell'eterno, sempre
uguale a se stessa non riusciamo proprio ad apprezzarla, forse ci
annoia.
“Dio
è A-logico”, scrive Avalon, infinito come un oceano senza
sponde: come potremmo, noi che viviamo di regole e confini,
comprendere l'illimitato?
Senza
i ricordi e le speranze non ci sarebbero né TU né IO.
E
senza la morte, che ci dona la bellezza dell'effimero, lottare per
il bene, la gloria, la ricchezza non avrebbe alcun senso.
Dio
è oltre la morte, oltre il tempo, oltre lo spazio.
Dio
è senza forma, e questo per noi vuol dire il Nulla.
Bisogna
prendere confidenza con il vuoto se vogliamo conoscere Dio.
Nella
pratica dell' Iṣṭadevatā (Ydam in tibetano), gli
si disegna un corpo e lo piazziamo di fronte a noi o nel cuore o
sulla testa.
In
sanscrito la visualizzazione della divinità si chiama Samayasattva,
la promessa dell'essenza.
Jñānasattva,
invece, è quando la promessa (samaya) si fa conoscenza
(jñāna)
Così
come l'Attore, per vie misteriose, fa propri i gesti, le parole, i
pensieri di Amleto lo yogin diviene il Dio da lui stesso sognato.
È
solo un allenamento, un'educazione alla vacuità, ma ci si può far
male.
La prima volta che ho praticato la meditazione sull'Ydam è stato nel 1996, con i monaci Gelugpa,
La mia compagna di pratica era C.G. una danzatrice della scuola di Pina Bausch.
Ci eravamo seduti l'uno di fronte all'altra, armonizzato il respiro evisualizzato i cakra della tradizione tantrica [loto verde a trentadue petali ai genitali, giallo a sessaquattro petali all'ombelico, blu a otto petali al cuore, rosso a sedici petali alla gola, bianco a trentadue petali alla fronte]. Ad un certo punto senza volerlo, C.G. in forma di Tārā, si ficcò dentro di me e "si mise a curiosare nel mio pantano privato".
Le
radici del corpo si indovinano dai tratti del viso: un naso
pronunciato, uno zigomo sporgente o un occhio a mandorla ci
raccontano storie che non sapremo mai.
È
un mercante di ricordi, il volto: ogni tanto, raccatta un sorriso più
antico di noi, e i sogni, gli amori, le facce di quelli che ci hanno
preceduto, ci fanno compagnia per un tratto di strada.
La
forma delle labbra, il colore dei capelli, la forza o la debolezza
delle braccia vengono dagli incontri per caso di quelle donne e
quegli uomini dai nomi sconosciuti.
Le
radici dell'ego traspaiono, invece, dal gesto incontrollato e dalla
“voce dal sen fuggita”, i monaci le chiamavano dug lnga,
i cinque veleni:
- ignoranza e stupidità;
- odio e rabbia;
- orgoglio e presunzione;
- invidia e gelosia;
- avidità e cieca passione.
Ogni
nostra azione, ogni nostro pensiero, prende le mosse da quelle “
emozioni negative”, che si incontrano, si sposano, si lasciano
come gli antenati di carne.
Ma
non è bello da dirsi.
Qui,
alla luce, i vigliacchi, i violenti, gli arroganti devono sempre
essere gli altri.
Le
nostre meschinità le leghiamo a un sasso e le buttiamo giù, nel
pantano e se un gesto brusco, una gomma bucata o un temporale estivo
le riportano a galla, ci inventiamo dei padri nobili e chiamiamo
onore l'orgoglio, giustizia l'odio e amore l'egoismo.
Quando
il “dio persona”, l'Ydam, ci entra dentro, afferra le
radici dell'ego e ce le sbatte in faccia.
La
nostra mente si ritrova nuda, senza alibi, ed è allora che dà il
meglio di sé: usa le emozioni negative per creare maschere
terrificanti e ci fa credere siano altro da noi.
Sono
tanti i libri di yoga che parlano del fenomeno della proiezione, ma
una cosa è leggere, un'altra è vedere, all'improvviso, le persone
amate mutarsi in mostri.
In
stati di alterazione percettiva, per le droghe o le malattie, a
volte, le emozioni negative vestono i panni di demoni usciti da
chissà dove, troppo brutti per esser veri.
Pensarli
frutto della pazzia o della chimica è facile e basta un raggio di
sole per scacciarli.
Un
abbraccio fraterno, il pianto di un bimbo, una risata improvvisa ci
riportano alla “realtà” e loro, i demoni, possono reimmergersi,
tranquilli, nel pantano interiore.
La
meditazione e l'autoanalisi poi, rinforzano l'anima: se mi fosse
apparso un drago rosso, con tre teste e sedici braccia, lo avrei
ammansito con il respiro e il sapere dei segni.
Ma
la mente è furba, gioca con i dettagli.
Per
passare dal sorriso triste alla piega del sarcasmo basta un cambio di
luce, e un pensiero, un solo pensiero, può trasformare uno sguardo
inquieto in una belva assassina.
Quando C.G. mi entrò dentro provai gioia infinita, amore puro. Il giorno dopo ebbi paura.
Non riuscivo neppure a guardarla negli occhi.
C.G. era sempre la stessa, piccola, dolce magra, occhi color miele: non vedevo
squame, né coda, né zampe pelose da fauno, niente.
Però mi faceva paura e dalla paura nasceva la rabbia.
Che strano!
Per spiegarmi cosa era successo Jinpa, il monaco che ci istruiva, fece l'esempio della perla.
All'inizio
c'è un'infezione: un parassita, un pezzo di conchiglia, un grumo di
sabbia che si infilano nella carne del mollusco.
Per
limitare i danni l'animale avvolge l'intruso in decine di strati di
madreperla, e dà loro forma sferica, forse perché più facile da
espellere.
Il
guscio dell'ostrica è l'aspetto esteriore dell'essere umano;
la
parte molliccia, le due valve, sono l'interiorità - “Forse i
due emisferi del cervello?”- la
perla è la personalità, l'ego;
i
grumi di sabbia e i pezzi di conchiglia sono, infine, i contenuti
psichici legati alle cinque emozioni negative.
La
perla non può esistere senza l'ostrica, mentre l'ostrica sarebbe
ben felice di starsene a guazzetto senza infezioni.
Tutto
molto chiaro, ma si può pensare ad un essere umano privo di ego?
Per
la Psicanalisi, la “perla” della personalità è formata da tre
strati:
l'Es,
il pantano interiore dove galleggiano i contenuti psichici rimossi,
l' Ego la parte conscia e il Super Io, il “gendarme” che
argina e reprime gli impulsi vitali dell'inconscio.
L'essere
umano di Freud rassomiglia a un campo di battaglia, da un lato le
forze primordiali, scure e possenti come i Dānava, dall'altro
i protettori dell'ordine e della legge, chiari e luminosi come i
Deva, in mezzo, a beccarsi bastonate da una parte e
dall'altra, il nostro piccolo io.
In
teoria non c'è partita: le energie dell'Es sono la natura stessa,
l'incredibile potenza che muove stelle e oceani mentre il Super Io
da solo non riuscirebbe neppure a soffiar via una foglia morta.
In
pratica il gendarme, con la scusa del potere destabilizzante del
desiderio, non solo ci convince che è giusto reprimerlo, ma
cancella dalla memoria gli eventi che potrebbero farci nascere dubbi
in proposito.
Non
so se i meccanismi della rimozione abbiano a che fare con i “cinque
veleni” del buddismo, ma il fenomeno del Super Io, per come lo
descriveva Freud, è comunque intrigante.
Dall'educazione,
con le sue dinamiche di punizione e premio scaturirebbe una specie
di entità sovrannaturale, un Dio personale che divide le cose in
bene e male e con il suo ditone, ti indica un modello ideale, un te
stesso bello, bravo e buono secondo i parametri dell'ambiente in cui
vivi.
Più
ti avvicini all'ideale e meglio stai.
Se
ti ci allontani provi angoscia, vergogna, paura.
La
pratica dell'Ydam, l'assorbimento quasi fisico di una forma
che incarna tutto ciò che di bello e positivo riconosciamo in noi
stessi, fa piazza pulita del Super Io e, magari per un istante, ci
mostra la parte più antica di noi.
La
reazione immediata è di sollievo, ci sembra di essere uno con
l'universo, con il cuore straboccante di amore e comprensione verso
tutto e tutti.
Poi,
piano piano, i “parenti”, le abitudini mentali di una vita, si
re-infilano nel vuoto lasciato dalla meditazione e, chiamandoci per
nome, ci riportano i piedi per terra chi.
Tārā
era entrata in me, mi ero guardato con i suoi occhi e lo spettacolo
non mi era piaciuto affatto.
Fossi
stato a teatro mi sarei alzato per uscire.
Forse
avrei pure cercato di farmi ridare i soldi del biglietto, ma qui il
protagonista, quel grottesco bambinone di ottanta chili, con le
mutande bagnate e le mani nella marmellata, ero io: come facevo ad
andarmene?
Mentre Jinpa parlava scoppiai
a piangere.
Non
piangevo più dai funerali di mia zia, nel '71.
O
forse era il 72?
La sorella di mia mamma
morì d'estate.
Si era ammalata dopo un
viaggio in Grecia.
Nessuno ci ha mai detto
di cosa.
Cominciò a camminare
male, gli alluci si erano spostati all'infuori, accavallandosi con le
altre dita.
Poi perse il legame tra
i nomi e le cose: -“Dammi una sigaretta”- diceva a mia mamma.
La prendeva tra le
dita e rimaneva a guardarla per cinque, dieci minuti.
Senza capire cosa fosse
e cosa ci dovesse fare.
L'ultima volta che l'ho
vista viva era in ospedale.
Sembrava felice, mi
raccontò che il purè di patate si era messo a volare e che i
palloncini di patate sono belli, più belli degli altri.
La sera del funerale si
andò a cena dall'altro fratello di mia mamma.
Mi nascosi in camera
con le cugine più piccole.
Sentendo i gemiti mio
zio pensò che stessi piangendo, venne a prendermi e mi portò in
sala.
Disse che non dovevo
vergognarmi, che è giusto piangere quando se ne va una persona cara,
anche gli uomini grandi piangono.
Chissà perché il
mondo degli adulti è così lontano da quello dei bimbi.
Volevo tornare di là
per sentire il profumo dei capelli delle mie cugine e quell'altro
odore, quello che mi entrava nel cervello e mi riempiva la bocca di
saliva.
Avevo le orecchie
bollenti.
I
grandi mi guardavano, cominciai a singhiozzare.
C.G. mi baciò sulla fronte.
Non
so per quanto si rimase abbracciati.
Sentivo
solo il suo respiro che si fondeva nel mio.
Non
c'era altro.
Tab.
4 - Emozioni negative
EMOZIONI NEGATIVE Pañca kleśaviṣa |
ELEMENTI | DIREZIONI DELLO SPAZIOe E COLORI | DHYANI BUDDHA | FAMIGLIA MISTICA |
Avidyā
o Moha.
Ignoranza,
ottusità mentale
|
SPAZIO
|
CENTRO
(stella
polare)
BIANCO
|
Vairocana
(Tārā
bianca)
SAGGEZZA
SIMILE ALLO SPAZIO
|
Hūṃ
|
Pratigha.
Rabbia,
odio, avversione
|
ACQUA
|
EST
BLU
|
Akshobia
(Locanā)
SAGGEZZA
DELLO SPECCHIO
|
Vajra
|
Īrṣyā.
Invidia,
Gelosia
|
VENTO
|
NORD
VERDE
|
Amoghasiddhi
(Tārā
verde)
SAGGEZZA
DEL CONSEGUIMENTO
|
Siddhi
|
Rāga.
passione,
desiderio compulsivo, brama
|
FUOCO
|
OVEST
ROSSO
|
Amitābha
(Pandara),
SAGGEZZA DELLA
DISCRIMINAZIONE
|
Padma
|
Māna.
Orgoglio,
arroganza, superbia
|
TERRA
|
SUD
GIALLO
|
Ratnasaṃbhava
(Mamaki)
SAGGEZZA
DELL'EQUANIMITÀ
|
Guru
|
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