"Yoga è Danzare la Vita", come dico spesso, è una definizione bella e poetica ed ha il pregio di poter essere intesa in mille modi diversi, così tutti son contenti.
Certo se si ha intenzione di approfondire risulta un po' vaga.
La verità, secondo me, è che ci sono almeno due Yoga, uno edulcorato, fatto di espedienti letterari, yogini lycrate e piacevoli discussioni tra illuminati della porta accanto ( è fantastico: ci sono più maestri realizzati oggi in italia che nell'India dei Veda!) ed uno "altro", "tosto", riservato a coloro che cercano senza neppure chiedersi il perché.
C'è chi danza per esibirsi, chi per guadagnarsi il pane e chi, invece non può fare altrimenti: la danza è la sua natura.
Se devo essere sincero lo Yoga tarocco, addolcito per i palati delicati del consumatore occidentale, a me non dispiace affatto.
Adoro immergermi in accese quanto inutili discussioni sui massimi sistemi, trovo spassose le conferenze, costosissime, e i libri dei nostrani Jivanmukta ("realizzati") e non disprezzo affatto le contorsioni sexy delle dee (goddess o devi, così si definiscono) di "Undressed Yoga". Anzi, credo davvero che siano un "inno alla vita", oltre che un piacere per gli occhi.
Però quando mi arriva una botta di yoga "tosto", quello di cui non si parla sui forum internettiani e sulle riviste patinate, ne riconosco immediatamente il sapore aspro e antico e mi succede una cosa strana, le chiacchiere sui massimi sistemi e le copertine patinate svaniscono.
Come i baci recenti, che la nostalgia del primo amore sfuma in rena di sogno.
Qualche giorno fa mi ha scritto Swayambu.
Un mio amico che invece di perder tempo con dispute filosofiche e balli in maschera, insieme alla sua splendida compagna, se ne va a zonzo in India per templi e sacre montagne.
Swayambhu è uno yogin, ed è un Aghori, ma se glielo chiedete negherà finché non gli si bloccano le cervicali.
Dire che è un mio amico è riduttivo.
Ci vediamo poco, è vero, ma se credessi alla reincarnazione direi che ci conosciamo da millenni.
Mi ha raccontato dello Shmashana di Tarapith, e mi ha ricordato la disperazione di Shiva per la morte di Sati, la prima moglie, il suo correre piangendo per l'Universo abbracciato al cadavere dell'amata, il corpo bellissimo della Dea poi fatto a pezzi e gettato sulla terra.
Gli antichi yogin costruirono un tempio per ogni brandello della dea, gli Shakti Pitha.
Ne esistono 51, o forse 54 o 108, non ricordo, ma quello di Tarapith si dice che sia il più sacro di tutti.
Raccontano che la Dea in forma di Tara vi sia apparsa in carne ed ossa almeno due volte: la prima, migliaia di anni fa, allo yogin Vashista, la seconda, nel XX secolo a Bhamakhepa (SIDDHA SADHAK SHRI BAM DEV), un maestro tantrico soprannominato il "Santo folle" o il "folle Amante della Dea.
Śmaśāna, letto dei morti, è il luogo dove gli Hindu cremano i cadaveri.
ma è anche un luogo di meditazione e i tantrika ci celebrano riti e cerimonie.
Sono strani gli indiani.
Swayambhu - "TARAPITH"
"A Tarapith siamo andati nello smashan a notte calata.
Non era tardi, penso fossero le nove di sera.
La moglie del mio amico indiano che era insieme a noi gli aveva affidato un messaggio per me. Non avrei dovuto pensare troppo perché non ero pronto (questo l'ho saputo il giorno dopo ) per lo smashan.
Io ho camminato tranquillo e abbastanza rilassato nonostante lo spettacolo non fosse tra quelli più usuali.
Tieni conto che questo smashan è molto importante.
Ci sono sepolti molti importanti Yogin e tra questi Bom Dev, non ricordo bene il nome, l'unico dicono insieme a Ramakrisna ad avere visto la Dea.
Un posto quindi particolare.
Comunque tutto bene.
Solo che quando esco dallo smashan comincio ad avvertire una sensazione forte sulla fronte.
Una sorta di pressione e la sensazione di come quando sei leggermente sballato.
Mi sono cagato sotto lì per lì.
Poi sono andato a letto gestendo abbastanza bene la cosa.
Pensavo la mattina che mi fosse passato tutto ma manco per il cazzo.
Siamo tornati nello smashan di giorno e tutto si è dissolto.
Non sono uno che si lascia suggestionare facilmente, e quindi posso dire che quella pressione non era un gioco della mente.
Ed allora cosa era?
La moglie del mio amico mi ha consigliato di pensare a Tarapith come ad una cosa del passato.
Ovvio che è così.
Non ho dato di matto e nemmeno sono diventato un fakiro, ma di certo ho preso una bella e salutare sberla ed è per questo che ho dedicato una poesia a Tarapith.
Jai Tara Maa."
Jai Tara Maa."
Tarapith
( Smashan)
La luce frenetica espulsa dai corpi sudati
asseragliati nell'energia primitiva
immobilizza lo spirito sul precipizio
che gli atomi in subbuglio annusano
Due passi e la bolla nera ti risucchia
Dismesse le mille maschere del mosaico
il corpo privo di peli
la mente incatenata al palo di Ulisse
inizia l'attimo predestinato
Non pensare non pensare non pensare
sussurra il mormorio lontano
perso ma presente
al cospetto di forme che scavano
urla che ti accolgono
cadaveri morti oliati per la festa dei folli
Questo buio totale denso
nel quale le membra lasciano impronte
si nutre del potere che esala dalla terra
dei miei fantasmi
delle mie secolari paure
in un via vai di mani aggrappate
al flusso della vita
alla speranza della morte
Occhi neri parlano la lingua che non sapevi di conoscere
fissando appuntamenti che non onorerai e
che le tempie devastate da una pressione sconosciuta
ti consigliano di dimenticare
Dimenticare? chi e che cosa?
forse le fioche luci, la condanna senza parole,
il sentiero disseminato di ossa e la loro energia,
o forse qualcosa di più intimo
quel barlume di te stesso
riposto come un diamante nello scrigno serrato
Uscito dalla bolla la luce abbaglia l'anima
orfana di Tarapith ma ora essa stessa Tarapith
ricongiunta con un ricordo
esploso dall'intimità del tempo.
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